Storie di Scienza

Clorofilia, il podcast

COME FUNZIONA IL PODCAST E DOVE LO TROVO?

Un gruppo di scienziati ed i loro figli attraversano a piedi l'Isola di Ponza, alla scoperta del “progetto Clorofilia”. La Ponza di Clorofilia, nel 2040, è un laboratorio a cielo aperto, un esperimento di adattamento al Climate Change.

Il viaggio, si intreccia con la storia dei Testimoni di GEA, una nuova religione nata sui Social.
Che rapporto c’è tra le due storie? Lo scopriremo durante l'ascolto.

La Ponza di Clorofilia è un espediente narrativo, un esperimento mentale per immaginare come potremmo essere tra 20 anni!

In più, un'appendice: una serie di interviste a scienziati e storici che ci guidano in questo lungo viaggio.

Il  Podcast è tratto da un racconto pubblicato su questo Blog tra 2020 e 2021.
Lo trovi qui

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I dinosauri di Sezze

I Dinosauri di Sezze

Di Daniele Raponi e Marco Mastroleo

 

No, non sto parlando di personaggi con idee antiquate o professoroni che non vogliono “mollare” la cattedra! Anche quelli sono “dinosauri”, ma di genere diverso! Parliamo di Dinosauri veri… stile Jurassic Park! E non provengono da luoghi lontani tipo Cina, Argentina o America… vengono da Sezze! Anche a Sezze c’erano i Dinosauri, cento milioni di anni fa!

È una storia grandiosa e incredibilmente affascinante. 

È una storia, quella della scoperta delle impronte dei dinosauri, che ha cambiato il volto della paleontologia italiana. 

È una storia che non può far altro che farci sognare ad occhi aperti!

In un articolo pubblicato lo scorso Gennaio 2021 avevamo già “imparato” che da queste parti circolavano bestioni cretacei, grazie all’intervista a Stefano Panigutti che ci ha parlato delle impronte di Rio Martino ma, prima della scoperta di Rio Martino, un’altra scoperta ha tracciato questa via: a Sezze, in una cava, è stata scoperta una serie molto abbondante di impronte prodotta da sauropodi (bestioni erbivori dal collo lungo) e da teropodi (piccoli carnivori che assomigliavano ai moderni struzzi). 

Il tema è talmente affascinante che si è meritato un video di approfondimento, oltre a questo articolo, prodotto in collaborazione con Dario Valeri, alla parte tecnica, ed a Daniele Raponi, un geologo esperto della materia e grande conoscitore di questa scoperta.

Proprio a Daniele lascio la parola per approfondire l’argomento con i giusti termini, come solo un geologo sa fare!

M.M.


Le impronte di Sezze, un tesoro per la scienza

La scoperta delle numerose impronte (circa 200) di sauropodi (dinosauri esclusivamente vegetariani quadrupedi) e teropodi (dinosauri carnivori bipedi) nel comune di Sezze è stata (ed è) di grande rilevanza scientifica, poiché si è inserita all’interno di un dibattito tutto interno al mondo accademico che, negli ultimi anni, ha coinvolto numerosi paleontologi e geologi.
Infatti, la scoperta di queste tracce fossili, avvenuta nel luglio del 2003 ad opera dei geologi Raponi, Morgante e Dalla Vecchia, che si somma a quelle di impronte e resti scheletrici di dinosauri nell’Italia centro-meridionale (Rio Martino/Terracina, Rocca di Cave, Esperia, Rocca di Mezzo, Pietraroja, Altamura, Gargano), è fondamentale per ricostruire l’ambiente nel quale questi dinosauri vivevano circa 95 milioni di anni fa, nel mezzo dell’era Mesozoica e, più segnatamente, nel Cenomaniano, ovvero, la parte basale del Cretacico superiore. 

Le impronte di Sezze si sono impresse, ovvero fossilizzate, su un fango carbonatico da cui poi si sono originate le attuali rocce calcaree/dolomitiche che costituiscono la struttura dei nostri Monti Lepini. Queste rocce indicano che nel momento in cui i dinosauri vivevano, durante il Cretaceo, nell’area che attualmente ospita i Monti Lepini, essi erano ben adattati in un’area che i geologi oggi definiscono di piattaforma carbonatica. Si tratta di un ambiente molto particolare formato da un’ampia distesa di acque poco profonde (10-20 cm), il cui fondale è costituito da sedimenti generati dalla deposizione, dopo la morte, di piccole alghe, molluschi e di altri organismi che per lo più vivevano sul fondale, essenzialmente con guscio esterno formato da carbonato di calcio. Attualmente un ambiente molto simile a quello delle cosiddette piattaforme carbonatiche si ritrova nelle isole Bahamas. 

In questo ambiente, i dinosauri, pur essendo animali prevalentemente terrestri, potevano tranquillamente spostarsi e lasciare impronte grazie al fondale poco profondo, oppure le loro orme venivano impresse su un suolo fangoso che periodicamente veniva ricoperto dalle acque, o al contrario, era esposto in ambiente subaereo ma soggetto a continue oscillazioni del livello delle acque. Un ambiente, tra l’altro, caratterizzato da depositi tipo “tempestiti”, il che testimonia la vicinanza relativa ad una linea di costa, cioè soggetto continuamente ad eventi deposizionali di una certa energia. Inoltre, nel sito di Sezze, il ritrovamento di dinosauri teropodi, predatori carnivori, e di sauropodi erbivori, le loro prede, implica un sistema ambientale molto complesso nel quale era necessaria la presenza di numerosi animali erbivori per soddisfare i bisogni alimentari dei predatori. L’analisi e lo studio delle impronte conservate nel sito paleontologico di Sezze ha fatto emergere dati particolarmente interessanti. 

Il Sauropode di Sezze (una pista integra con diverse coppie mano-piede) sembrerebbe appartenere al Gruppo dei Titanosauridi e, nello specifico, si tratterebbe di Titanosauri “nani”, ovvero, caratterizzati da nanismo insulare, il che dimostrerebbe la presenza di questi animali in aree separate da una zona continentale per un tempo molto prolungato. Il recente rinvenimento di alcuni resti scheletrici di “Tito” nei pressi di Rocca di cave (Roma), un sauropode titanosauriano “nano”, confermerebbe tale ipotesi. Per quanto riguarda, invece, i Teropodi gli studi delle impronte isolate e di alcune piste (orme tridattile e tetradattile) hanno consentito di correlare questi dinosauri bipedi a Ornithomimosauria o Oviraptosauria. 

È da sottolineare, inoltre, che visto il grande volume di piante necessario per nutrire gli erbivori, alcuni paleontologi hanno ipotizzato la presenza di un ambiente continentale emerso dalle acque e con vegetazione rigogliosa, molto vicino alla piattaforma carbonatica (Nicosia et al., 2007). In tal modo i dinosauri potevano vivere in un ambiente a loro favorevole e spostarsi in aree caratterizzate da acque basse e vicine alla terraferma. 

In questo contesto, le impronte di Sezze hanno rafforzato l’ipotesi sulla presenza di un’area continentale emersa nelle vicinanze. Determinare la sussistenza o meno di un continente emerso è molto importante, anzi è fondamentale, per ricostruire l’evoluzione geologica e geodinamica dell’area mediterranea durante il Cretaceo. Infatti, nel mondo scientifico, si contrappongono due ipotesi riguardo l’evoluzione geodinamica di quest’area. Circa 100 milioni di anni fa le rocce carbonatiche si depositavano al di sopra della placca Adriatica (l’attuale penisola italiana), interpretata come un prolungamento verso nord della più grande placca africana posta a sud. Lo studio di Nicosia et al. (2007), dimostra che i dinosauri che hanno lasciato le impronte nel sito di Sezze hanno una chiara origine “africana”. Ciò implica che dinosauri “africani” si sono spostati durante il Cretaceo dalla placca africana verso nord, raggiungendo la placca Adriatica e la piattaforma carbonatica, attraverso un collegamento permanente costituito da un continente emerso o comunque da collegamenti terrestri. 

Tuttavia, queste conclusioni sono in contrasto con quanto affermato da altri autori (es. Dercourt et al., 2000; Catalano et al., 2001; Passeri et al., 2005) che invece propongono la presenza, durante il Cretaceo, di un tratto di oceano con fondali molto profondi (2000-3000 metri) posto tra la placca africana e quella Adriatica. 

Un oceano così profondo sarebbe stato invalicabile da dinosauri terrestri non in grado, con molta probabilità, di nuotare e quindi di spostarsi lungo bracci di mare più o meno ampi. In questo panorama, le impronte di Sezze sostengono la prima ipotesi scientifica. 

Tuttavia, è ancora necessario studiare, approfondire, fare ricerca sul campo, e soprattutto tutelare le testimonianze geologiche e paleontologiche del territorio dei monti Lepini. 

Un’istantanea unica, una ricchezza scientifica enorme, una traccia fondamentale per capire l’evoluzione dell’area mediterranea e quindi contribuire a “ricostruire” la storia del nostro Pianeta.

D.R.

 


Bibliogarfia

  • Catalano, R., Doglioni, C., & Merlini, S. (2001). On the Mesozoic Ionian Basin. Geophysical Journal International, 144, 49–64.
  • Dercourt, J., Gaetani, M., Vrielynck, B., Barriere, E., Biju-Duval, B., Brunet, M.F., Cadet, J.P., Crasquin, S., & Sandulescu, M. (2000). Atlas Peri-Tethys, Palaeogeographical Maps. CCGM/CGMW, 269 p., 24 maps.
  • Nicosia, U., Petti, F.M., Perugini, G., Porchetti, S., Sacchi, E., Conti, M.A., Mariotti, N., & Zarattini, A. (2007). Dinosaur Tracks as Paleogeographic Constraints: New Scenarios for the Cretaceous Geography of the Periadriatic Region. Ichnos, 14, 69-90.
  • Passeri, L., Bertinelli, A., & Ciarapica, G. (2005). Paleogeographic meaning of the Late Triassic-Early Jurassic Lagonegro units. Bollettino della Società Geologica Italiana, 124, 231–245.

Dinosauri, Sezze, Impronte, Daniele Raponi, Giurassico, Monti Lepini, Pianura Pontina

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Il dinosauro di Rio Martino

Di Stefano Panigutti e Marco Mastroleo, Latina 30 Gennaio 2021 

Ogni luogo ha una storia da raccontare…

Facendo la guida turistica in Provincia di Latina, ho capito che non esistono luoghi più importanti di altri, più "immaginifici" di altri. Perché, ho scoperto, ogni luogo ha una storia da raccontare, bisogna solo volerla scoprire!

Così, ho cominciato a raccogliere storie e racconti, in un blog chiamato passeggiando.info, che spero possa diventate una mappa interattiva ed emozionale di quello che ci circonda. 

Rio Martino, di storia, ne ha una davvero incredibile da raccontare. Per cui ho chiesto a Stefano Panigutti, di condividerla con noi. Stefano è un Paleontologo ed è stato il protagonista di questa incredibile scoperta.

"Una storia di contingenze

Questa storia inizia un giorno di 110 milioni di anni fa, un giorno come un altro, sulla spiaggia di bianchissimo calcare di un atollo corallino in mezzo al Mar della Tetide. 

Un piccolo dinosauro bipede, come ce ne sono molti altri, sta camminando sulla porzione di spiaggia lasciata libera dal ritirarsi della marea. Cammina, curioso, in cerca di cibo, su quella che si definisce una piana tidale: quella parte che emerge e viene sommersa dall’andirivieni costante della marea. Allora come adesso, la luna domina il risalire e il ridiscendere incessante del mare. 

Il dinosauro cammina e, chissà per quale motivo, decide di accucciarsi. Non si cura delle impronte che ha lasciato sulla spiaggia, perché mai dovrebbe farlo? Non sappiamo cosa abbia fatto poi il nostro animaletto di circa tre metri, dove sia andato, chi o cosa abbia incontrato; quello che sappiamo però, è che le sue impronte hanno avuto un destino ben diverso dal suo. Non sono state distrutte, alterate, perse per sempre. Sono state preservate in qualche modo, magari coperte da una tempesta che ha trasportato abbastanza sabbia da sigillarle per sempre; la sabbia poi si è pian piano trasformata in roccia, cementando le tracce. 

Qui inizia una nuova storia di contingenze: una storia che diventa la storia del nostro pianeta e dei movimenti che costantemente lo trasformano. 

Quella spiaggia è diventata roccia, quelle isole si sono trasformate in seguito allo scontro tra le placche tettoniche, in montagne. 

Quelle montagne sono state erose dagli agenti atmosferici e, infine, abitate da noi uomini. 

Da quelle montagne abbiamo tratto delle cave, utilizzando le pietre per creare la foce di un canale di bonifica. 

Una di quelle pietre, salvata dalle mine usate dai cavatori, poggiata sul lato giusto per essere osservata, finisce su quel molo, a Latina. 

Resta li, in attesa! In attesa che un fotografo, appassionato di paleontologia e amico di un geologo, la riconosca come una possibile traccia di vita del passato. L’amico geologo (appassionato di dinosauri fin dai 9 anni e la cui tesi di laurea riguardava proprio impronte di dinosauro) conferma la scoperta: si tratta di una traccia importante, le impronte di un dinosauro. 

La scoperta è confermata dai ricercatori dell’università La Sapienza e quello che avviene dopo è storia nota.

Questa è quindi una storia di contingenze, di tutti quegli eventi senza i quali il nostro dinosauro non sarebbe giunto fino a noi. 

Quali probabilità ci sono che proprio quelle impronte si conservassero? Quale probabilità che la formazione delle montagne non le distruggesse per sempre? Quale probabilità che l’uomo aprisse una cava proprio là dove le impronte si erano conservate e che la cava stessa non le distruggesse? Quale probabilità che il masso fosse posizionato in modo utile perché permettesse alle impronte di essere scoperte? Quale probabilità che un fotografo appassionato di fossili e con l’amico geologo le trovasse? Se davvero potessimo calcolare tutte queste probabilità, il numero sarebbe così piccolo da non dare alcuna speranza, invece le impronte sono state scoperte li, a Rio Martino, a Latina: la contingenza le ha portate qui, le ha volute qui! 

Proprio perché questa è una storia di contingenze dovremmo, almeno per questa volta, ascoltare le contingenze ed accettare che le impronte restino nel posto che le ha accolte e che ha permesso a tutti di conoscerle. Il luogo più giusto per conservarle e preservarle per le generazioni future, affinché le impronte generino altre contingenze. Immagino un ragazzino che le possa osservare e che, magari si innamori della paleontologia e diventi a sua volta scopritore di altri fossili... Secondo me, il posto che questa storia ha deciso essere la sede finale della camminata iniziata 110 milioni di anni fa resta il Procojo di Borgo Sabotino a Latina."

Dove sono le impronte?

Al contrario di quanto aveva sperato Stefano e, con lui, un gruppo di associazioni e professionisti di Latina (Sempreverde Pro Natura, Italia Nostra e Fondazione Marcello Zei), le impronte non sono andate al Procojo di Latina ma sono state trasferito presso la sede del Parco dei Monti Ausoni, lontano dal luogo che ne ha permesso la scoperta.
Una decisione presa dalla Soprintendenza, dopo che per anni Parco Nazionale del Circeo e Comune di Latina non sono stati in grado di raggiungere un accordo su conservazione e valorizzazione di questo inestimabile reperto.
Chissà come andrà a finire… e se davvero le impronte, così, finalmente troveranno un riparo. 
Staremo a vedere!

Nel frattempo, ecco un video realizzato con Dario Valeri, che ne racconta la storia.
Buona visione.

M.M.

 


Qualche  informazione in più sulla vicenda delle impronte:

Un ringraziamento speciale a Dario Valeri per la disponibilità e la professionalità mostrata nella realizzazione del video, dalle riprese al montaggio finale.

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La favola di Mino e Teo

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Sulle tracce di Martino - Monti Volsci

Sono giornate animate! Un masso di diverse tonnellate viaggia per la Provincia di Latina.

Non si capisce se abbia usato il servizio pubblico o un Taxi. 
Non si capisce neanche se il dinosauro stesso che ha lasciato le impronte su quel masso sia venuto personalmente a riprendersele!
Ma quello che si capisce meno è: perché in Italia per prendere una decisione su dove mettere il vecchietto ci vogliano anni? Il vecchietto dove lo metto, dove lo metto, non si sa... 

E così, qualche giorno fa Luca Cardello, dell'associazione Sempreverde - Pronatura di Latina, ha segnalato che le impronte di Dinosauro scoperto a Rio Martino da Bruno Tamiozzo e Stefano Panigutti nel 2013, non erano più dove dovevano essere, a Rio Martino appunto!

Per ricostruire precisamente come è andata la vicenda, Monti Volsci - anima selvaggia del Lazio, ha scritto un lungo post, che cito e incorporo con piacere in questo articolo.

Buona lettura.

 

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da un'idea di Marco Mastroleo

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