Racconti di Storia e Preistoria

Viaggi nell'Agro Pontino - Vita Vitis Vinum

a proposito del libro di Mauro D’Arcangeli e Antonio Scarsella 
Intervista di Marco Mastroleo

In questo blog, fatto di passi, musiche e racconti, non poteva mancare una storia fatta di profumi e di sapori. 

E così, tra i libri pubblicati da Atlantide Editore, abbiamo voluto raccontare “Viaggi nell’Agro Pontino, Vita vitis vinuum”. Lo raccontiamo attraverso le parole di Antonio Scarsella, che abbiamo intervistato per farci raccontare questo libro davvero particolare.

- Antonio Scarsella, perché un romanzo e non una guida?

L’idea alla base del libro è legata all’identità culturale del territorio e non ad un intervento turistico. Un racconto definisce l’identità culturale di un territorio, meglio rispetto ad una guida. Ci siamo chiesti, qual è l’identità culturale di questa zona?
Da Velletri al Circeo… quali sono le nostre radici? 

Dopo aver effettuato una ricerca storica, abbiamo scoperto che l’identità di questa zona non va collocata al periodo della bonifica, come per lunghi decenni abbiamo pensato. Questo territorio aveva una identità definita già nel 500 a.C e si chiamava Latium Vetus.

- Quale elemento collega questa identità al vino?

Abbiamo capito che la nostra identità, dal 500 a.C. ad oggi, è stata tramandata attraverso due elementi: la viabilità e l’agricoltura. Quindi, il nostro spirito, nei secoli, ha viaggiato lungo tre strade: la pedemontana, l’Appia dal 300 a.C., poi di nuovo la pedemontana quando nell’800 d.c. l’Appia fu abbandonata ed infine la Severiana, ovvero la litoranea, che da Ostia, correva fino a Sabaudia ed a Terracina. 

satricum1SATRICUM, TEMPIO DELLA MATER MATUTA

Attorno a queste strade è nata l’altra identità, quella rurale, agricola. A Roma, non potevi far parte della vita pubblica e politica se non avevi un po’ di terra da coltivare. Questo territorio è stato il bacino agricolo principale per i senatori di Roma, soprattutto per il vino e per l’olio. I vini di questa zona erano molto rinomati a Roma: il Bellone, il Moscato di Terracina, il Nero Buono di Cori, il Cecubo coltivato a Sezze e nella Piana di Fondi...
I vigneti correvano e corrono, lungo la pedemontana e lungo la Severiana. 
La vite ha determinato la vita di questo territorio e lo ha delineato. 
Latina è figlia di questa cultura, una cultura latina e romana, fondata sull’agricoltura. Ed ecco che abbiamo due identità, il Latium, la cultura latina profonda e la Vitis!

- Quali sono i luoghi principali in cui è ambientata questa storia?

Il romanzo è collocato in due tempi: il tempo è una metafora, che viaggia su binari paralleli.
Nel tempo moderno, la storia è quella di un professore Olandese che, ogni anno, viene a scavare a Satricum con i suoi studenti. Gli scienziati non si limitano a scavare, si pongono il problema di conoscere il territorio e lo fanno attraverso il vino, seguendo le strade dell’antichità: viaggiano, seguendo le strade del vino, da Velletri a Giulianello, a Cori, e poi giù, fino a Terracina, dove incontrano i vitigni antichi che dicevamo prima. 
(NdR: come si chiama il professore protagonista del romanzo? Ve lo lascio scoprire… sappiate solo che è il pro pro nipote di un illustre viaggiatore …)

Parallelamente, sulle stesse strade, rivive un’altra storia, la storia di Tullio Flavio Apuleio, che cuce l’identità del territorio in epoca romana. Questa affascinante vicenda viene scoperta dagli archeologi presso l’archivio comunale di Sezze dove un documento del 1600, racconta della rivolta degli schiavi di Setia.

- Questa storia ve la lasciamo scoprire leggendo il romanzo…
Antonio, a che tipo di pubblico è rivolto questo libro?

Con Mauro D’Arcangeli, abbiamo avuto l’ambizione di rivolgerci rivolgerci ad un pubblico vasto, non solo agli appassionati di storia o di enologia, si rivolge ad un pubblico curioso, che ha voglia di “gustare” il territorio combinando storia e profumo di vino.

- … un vino che “sa di antico”, direi…
Così, su due piedi, ci suggerisci dei luoghi simbolo di questa storia? Luoghi in cui è possibile rivivere pezzi del racconto o che lo rappresentano?

A me vengono in mente, ovviamente Satricum ed il monumento naturale di Campo Soriano a Terracina, dove ora si coltiva di nuovo, come una volta, il moscato… altri?

Oltre a quelli che hai citato tu, vi indico due posti in cui è possibile associare buon vino a ricette della tradizione: Ristorante Da Checco, a Cori, dove il Nero Buono si sposa con i piatti coresi e l’Agriturismo La Valle dell’Usignolo dove è il Bellone che incontra il buon cibo dell’agro pontino.

CampoSorianoMONUMENTO NATURALE DI CAMPO SORIANO E VIGNETO CON MOSCATO

Grazie Antonio


Sinossi

«… Il vino dei Lepini sa di terra vulcanica e di profumi di bosco, la vite respira insieme agli olivi. Come le genti che vivono su quei monti è forte e gentile. Le colline da cui proveniva il vino degli imperatori continuano, abbracciate dal sole, a produrre nettare di vita e sogni alcolici. Quello di Satricum si nutre di storia, di tufo e dell’annuncio del mare. Il vino della Litoranea affonda le sue radici nella sabbia, nella duna. È dolce come il miele e odora di salsedine e di mito…»

Un romanzo che è un viaggio nei sentieri dell’Agro Pontino, seguendo illustri e antiche orme, lungo il filo conduttore del vino, secolare eccellenza e linfa vitale di queste terre. Il vino come sublimazione del rapporto dell’essere umano con il territorio e il paesaggio, sia dal punto di vista dell’appartenenza e del radicamento che della sua trasformazione, della mobilità degli uomini e delle idee. Un legame fatto dell’ancestrale vincolo tra uomo e natura e, in questo senso, i viaggi qui raccontati sono prima di tutto frutto di un percorso interiore, che dal territorio in cui vivono prendono vita ma che, inevitabilmente, finiscono per andare oltre fino ad appartenere a tutti e a tutti i luoghi.

Viaggi AgroPontino


Viaggi nell'Agro Pontino, Vita Vitis Vinum è acquistabile nelle principali librerie di Latina e Provincia o direttamente dal sito dell'Editore, spedizione gratuita con Corriere, consegna in 3-4 giorni lavorativi.

https://www.atlantideditore.it/prodotto/viaggi-nellagro-pontino/

Grazie a Dario Petti e ad Atlantide Editore per la disponibilità nella realizzazione di questi articoli

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Rosso Camilla

ROSSO CAMILLA

C'è un uomo. C’è un fuoco. Un cerchio di pietre con al centro una fiamma. Una di quelle belle fiamme che servono a scaldare le fredde serate passate nel bosco o a cucinare quando si dorme fuori da una calda e accogliente casa.

- Vedi ragazza mia, guardo questa fiamma e penso a lei. Perché lei era così. Quando sei seduto al buio intorno ad una fiamma come questa, i tuoi occhi riescono a guardare solo lì, verso quella luce! È come se tutto quello che c'è intorno scomparisse. Tutti gli sguardi e le attenzioni sono rivolte a quel preciso punto. A quella fiamma. È come se ci fosse un muro invisibile che separa quello che è dentro quel cerchio di luce da tutto quello che ne rimane fuori. Lì, vicino a quella fiamma, ti senti al sicuro. Fuori, ci sono solo ombre e buio.
Lei, Camilla, era così. Era così che ti faceva sentire la sua presenza! Bellissima, altera, fiera, in groppa al suo cavallo. Sembrava invincibile. Ed era seguita da donne altrettanto magnifiche. Non si era mai vista una armata così, guidata da una donna che spandeva intorno forza e fiducia come mai prima d'allora era stato per i nostri popoli riuniti.

- Ma, oggi viviamo nei boschi, Nascosti come vermi, Con la paura che i romani di Enea ci prendano e facciano schiavi. Come è potuto accadere, se quell’armata era così magnifica?

- Per me vivere nei boschi non è “nascondersi”, non è una vergogna. È proprio nei boschi che Camilla ha cominciato la sua storia.
Suo padre, Metabo era il re di Privernum. Ma la sua smania di potere lo aveva condotto ad una sorta di pazzia. Tutti ormai lo chiamavano “il tiranno” perché ogni sua decisione portava morte e terrore nella città.
Scoppiò una rivolta, i cittadini di Priverno cacciarono via Metabo cercando di ammazzarlo. Così il re prese in braccio sua figlia e scappò via, verso il fiume Amaseno. Inseguito dal suo stesso popolo, arrivò al fiume e lo trovò gonfio per via delle ultime piogge. Non poteva guadarlo, bisognava attraversarlo a nuoto. Ma sua figlia, Camilla, era ancora solo una neonata. Così la avvolse in una corteccia, la legò ad una lancia e la scagliò sull'altra sponda del fiume. Poi la raggiunse a nuoto e la portò in salvo nei boschi.
I Privernesi, vedendo quel miracolo, capirono che la piccola era protetta da Diana, la dea della caccia. Così smisero di inseguire sia lei che Metabo, suo padre.
Una vita cominciata in un modo del genere non poteva terminare se non con la la Gloria eterna della morte in battaglia.
La madre di Camilla, Casmilla, era morta nel darla alla luce, così crebbe allevata solo dal padre, in mezzo ai boschi. Per mangiare dovevano andare a caccia, per vestirsi e riscaldarsi dovevano procurarsi pelli di animali. Camilla crebbe con arco, frecce e lancia come suoi unici amici. Solo i pastori dei Monti Lepini avevano contatto con i due esuli e ci raccontavano che il re stava crescendo sua figlia come una guerriera, vestita solo di pelle di tigre, invincibile forte e sapiente.
La leggenda di Camilla, la guerriera dei boschi, cresceva e la precedeva nella sua fama.
Anche perché, devi sapere, che il nostro popolo è nato nei boschi e tutto quanto viene da lì è per noi sacro e divino. Siamo un popolo di pastori e abbiamo sempre vagato tra queste montagne per sopravvivere. La città di Priverno è la nostra città più grande, è la nostra capitale, proprio perché la nostra terra è coperta più dalle volte degli alberi che dai tetti delle case.

Così quando Enea con la sua armata romana arrivarono in questa pianura e cercarono di varcare l’Amaseno, Camilla si presentò a Priverno offrendosi di guidare l'esercito che avrebbe ricacciato indietro gli invasori.
La regina guerriera, che fino ad allora era stata solo leggenda, divenne reale. Camilla apparve in sella ad un magnifico cavallo, seguita da un gruppo di altre donne cavaliere: le Amazzoni. Nella sua armatura rossa, sul suo cavallo, splendeva … bellissima ed invincibile.
La regina dei Volsci, protetta da Diana era tornata.
Così Privernum guidò un’armata composta da tutte le città Volsche e Latine che opponevano resistenza all’avanzata dei Romani in una grande battaglia nella quale Camilla era la testa dell'esercito.
Il popolo delle Matres, la cui discendenza era dettata dalle donne, sfidava il popolo dei Patres, la cui discendenza era dettata dagli uomini.
Un esercito guidato da donne contro un esercito guidato da uomini: dovevi vederla!
Quel giorno era proprio come questa fiamma: capelli rossi ricci, armatura, lancia, arco e spada, sembrava davvero invincibile, in sella al suo cavallo.
Invece, Camilla era umana. E, come tutte le cose umane, ha conosciuto la sua fine.
La sua tracotanza, “hybris” la chiamerebbero i greci, la tradì.
Nel campo di battaglia era la migliore, vinceva ogni scontro, inseguiva i suoi nemici, guidava gli assalti ma… non le bastava, voleva di più! Voleva la testa dell’esercito nemico. Voleva uccidere Corleo, il sacerdote di Cibele, la Dea Madre greca. Uno scontro tra Diana e Cibele nel quale Diana, protettrice di Camilla, doveva vincere...
Ma Arunte, un guerriero etrusco, cercava la stessa gloria. La osservò, la inseguì a lungo, cercando il momento giusto. E mentre Camilla inseguiva Corleo, Arunte scoccò una freccia che la trafisse dritta qui: al seno. Apollo stesso guidò quella freccia …
Morta Camilla l'entusiasmo dell'esercito calò e la battaglia fu persa.

- E …  i romani invasero le nostre terre… ed io e te ci rifugiammo nei boschi ....

- Tua madre era una delle Amazzoni, una guerriera a cavallo del seguito di Camilla. Non potevo accettare che tu, sua figlia, venissi allevata dai romani.
Così ti portai nei boschi, per allevarti io stesso, come fece Metabo. Se sono pastore di greggi, posso essere anche un allevatore di uomini, mi dissi.

- Ma, domani arriveremo a Privernum, città romana. Perché hai cambiato idea? Ti sei arreso?

- L'antica Privernum era lì sui monti, quella romana sorge in pianura. Hanno conquistato tutto, sono i signori di tutto quello che ci circonda. Addirittura, non hanno bisogno di città fortificate.
Sì, stiamo andando a Privernum perché ormai, bisogna ammetterlo, il buon governo dei Romani è riuscito a fare quello che nessun popolo prima aveva fatto: ha riunito tutte le nostre genti sotto un unico grande nome, ITALIA.
Quella di Camilla, ormai, è solo legenda... Racconta di quando in queste terre abitavamo noi, i Volsci, i pastori.
Ma ora non più. Ora siamo Italici, ed è così che dobbiamo sentirci…
Da domani, anche noi diventeremo romani ed abiteremo a Privernum, quella bellissima città che sorge sulle sponde dell’Amaseno.


Nel racconto di narra dell'antica città di Privernum e del mito che racconta della Città Volsca, prima che diventasse romana.
Se questa storia vi interessa, vi invitiamo a visitare il sito archeologico di Privernum ed il Museo Archeologico di Priverno. 
Per informazioni: www.privernomusei.it


Racconto d Marco Mastroleo
15 Dicembre 2018

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Le rotte di Circe

Ulisse non fu il solo a ritrovarsi con i suoi compagni nel mare della 'dea tremenda dai riccioli belli': il capo di San Felice Circeo era infatti sulla rotta degli antichi popoli che navigavano il Mediterraneo. E ai ritrovamenti di imbarcazioni e di quello che trasportavano a largo della costa è dedicata la mostra "Le rotte di Circe - I rinvenimenti archeologici subacquei', inaugurata nel centro storico della cittadina, presso il locale di Piazza Vittorio Veneto e visitabile dalle 18 alle 22, tutti i giorni ad ingresso gratuito, fino al 30 settembre.

[continua a leggere...]

https://www.lescienze.it/news/2020/08/21/foto/circeo_mostra_reperti_subacquei-4782620/1/

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Venere o madre

VENERE O MADRE?

di Marco Mastroleo

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Sommario

All’interno della Mostra Homo sapiens ed Habitat di S. Felice Circeo un posto di rilievo è dato alle “veneri paleolitiche”, una delle più antiche forme d’arte, tra le poche rappresentazioni antropomorfe della preistorica (spesso concentrata sulla fauna) da sempre associate solo all’homo sapiens. Queste statuine sono datate tra 40.000 e 12.000 anni BP, coincidenti con l’arrivo di Homo Sapiens in Europa. Rimarcano la volontà dell’uomo di utilizzare tempo e fatica per produrre qualcosa di non strettamente necessario alla sopravvivenza, segno di senso estetico, di volontà di rappresentare il mondo in modo simbolico oltre che una forma di esplorazione delle capacità delle mani e della mente. Oppure, secondo alcuni, rappresentano una forma di religione o di culto. 

Homo Sapiens è spesso ritenuta l’unica specie umana in grado di produrre arte, per via della riconosciuta capacità cognitiva di “astrazione”. Per questo motivo, appaiono rivoluzionarie o addirittura azzardate, le ipotesi di alcuni studiosi di attribuire alcune veneri anche ai Neanderthal.
Stilisticamente tutte le veneri sono rappresentate sempre con lo stessa schema: figure femminili con fianchi, seni e ventre molto pronunciati (spesso definite steatopigiche). Proprio per via di queste caratteristiche alcuni studiosi pensano che siano rappresentazioni di donne incinta. Se fosse così questa forma d’arte o di culto ci porta a riflettere su una caratteristica peculiare di Sapiens, piuttosto che su un suo punto debole: la difficoltà di venire al mondo. Il rischio di morire nascendo, nelle società preistoriche, era davvero molto elevato ed il parto aveva bisogno di assistenza e quindi di una comunità di sostegno per madre e figlio. Un momento che ha richiesto attenzioni quasi addirittura religiose.

Con l’evoluzione della società da caccia-raccolta ad agricola, anche il culto della madre/venere si è evoluto, le società antiche erano molto spesso matriarcali e quindi la donna era non solo una madre ma anche il punto di riferimento del gruppo familiare, per questo si è sviluppato un forte culto della Dea Madre che, volendo collegarlo ai giorni nostri, si è trasmesso fino alla religione Cristiana nel culto della Madonna.

Chiunque abbia visitato la Mostra Homo sapiens ed Habitat di S. Felice Circeo avrà notato che Marcello Zei, nel suo allestimento, ha voluto sottolineare la figura di quelle che normalmente si chiamano le “veneri paleolitiche”. Sono presenti intorno a un fuoco nella scena mista Sapiens-Neanderthal del dipinto dell’Evoluzione, c’è una teca con numerose copie e c’è una statuina neolitica nella stanza dell’ossidiana.

Perché questa figura è così importante? Innanzitutto perché si tratta di una delle più antiche forme d’arte della storia dell’uomo, in alcuni casi più antica dei dipinti murali. Poi perché, di solito (anche se questa cosa è oggetto di discussione) sono associate solo all’homo sapiens (ovvero a noi) e non ad altre specie umane. E, infine, perché sono tra le poche rappresentazioni antropomorfe ritrovate nei siti archeologici del Paleolitico, ovvero, di solito l’arte paleolitica si concentrava su animali e paesaggio, quasi mai sull’uomo, tranne che per le cosiddette “veneri” che, per altro, raffigurano donne.

Vediamo nel dettaglio i tre punti e cerchiamo di analizzarli per poi capire cosa sono e cosa rappresentano questa statuine.

Dicevamo che si tratta de la più antica forma d’arte della storia dell’uomo. Bisogna riflettere su due punti: l’arte e l’antichità.

Alcuni autori riconoscono in una pietra datata 230-800.000 anni BP (da oggi) proveniente da Berekhat Ram (Golan settentrionale, Israele) scoperta negli anni ’80 la più antica “venere paleolitica”. Questo significherebbe che la statuina in questione sia stata prodotta da homo Heidelberghensis o erectus. Nella maggior parte dei casi invece, le statuine provengono da un periodo compreso tra 40.000 e 12.000 anni BP, coincidenti con l’arrivo di Homo Sapiens in Europa. Ovvero, sarebbero una invenzione che sapiens ha portato con se dall’Africa. In ogni caso, prima di allora non erano state prodotte altre forme di scultura o lavorazione “ritrovabili” in contesti archeologici che testimoniassero una volontà dell’uomo di utilizzare tempo e fatica per produrre qualcosa di non strettamente necessario alla sopravvivenza, qualcosa di altro dal semplice mangiare-riprodursi-prosperare che la biologia ci impone.
Qui entra in gioco il termine “arte”, usato dagli archeologi per indicare appunto qualcosa di “bello” non strettamente utile. Il termine implica anche molto altro, come la ricerca del bello, un
senso estetico, una volontà di rappresentare il mondo, una forma di esplorazione delle capacità delle mani e della mente dell’uomo operata per il solo e semplice gusto di farlo … ovviamente, alcuni autori non concordano con questa interpretazione. Per molti si tratta dello “strumento” rappresentativo e simbolico di una qualche forma di religione o di culto. Non a caso, infatti, verrebbero sempre raffigurate solo delle donne e sempre con lo stesso schema stilistico. Questo è, in effetti IL punto su cui riflettere, e ci torneremo dopo aver affrontato gli altri due punti di unicità.

SAPIENS O ANCHE NEANDERTHAL?

Fino a non molti anni fa, le veneri erano sinonimo di Homo Sapiens, erano state ritrovate solo in contesti sapiens e erano associate sempre ad una forma di tecnologia di lavorazione della pietra (in molti casi l’unico mezzo che hanno a disposizione gli archeologi per datare un contesto archeologico) tipica di sapiens. Questo dava la possibilità di “classificare” sapiens come l’unica specie umana in grado di produrre arte, il tratto distintivo rispetto alle altre specie era quindi la sua capacità cognitiva di “astrazione”. Questa riflessione spiega molto bene tutto ciò che viene dopo, dall’estinzione di Neanderthal allo sviluppo di nuove tecniche e tecnologie prima e fino ad allora assenti. C’è però qualcuno che assegna delle statuine anche ai Neanderthal. In particolare questi autori riconoscono anche nelle fattezze del volto delle statue dei tratti Neanderthal. Ci sono molti punti critici da sbrogliare ma, se così fosse, si aprirebbe un nuovo e più approfondito filone di riflessione sul rapporto tra Sapiens e Neandethal: è neandethal che ha imparato l’arte da sapiens o viceversa? O l’hanno inventata insieme? Se è vero che Neanderthal produceva statuine femminili, si può affermare che avessero anche loro una forma di culto per una divinità femminile o …?

Insomma, come al solito, ogni volta che si prova a cambiare dei numeri che riguardano le date di un resto in preistoria si apre un mondo di riflessioni da approfondire, ed il motivo è legato a questa semplice regola: in Preistoria tutto è vero fino a prova contraria! Si tratta di una scienza che utilizza piccole o piccolissime tessere come indizi per ricostruire un puzzle di dimensioni enormi e le tessere, spesso, possono essere indizi fuorvianti.

Proprio sulla base di questa riflessione, in questo articolo preferiamo non entrare nel merito della questione, ci limitiamo a evidenziare quanto possa essere vasto il dibattito intorno a delle “semplici statuine di pietra”.

SOLO DONNE E STESSO SCHEMA RAPPRESENTATIVO

Resta però, di base, un dato inconfutabile, la cosiddetta prova certa … tutte le veneri sono rappresentate con lo stessa schema e, potremmo azzardare, con lo stesso stile: in piedi, testa braccia e gambe poco rifiniti o comunque privi di particolari naturalistici, forte attenzione verso gli organi sessuali primari e secondari. Le veneri hanno sempre i fianchi ed i seni molto pronunciati, spesso hanno il pube molto evidente e, soprattutto sono “steatopigiche”. Qualunque specie le abbia prodotte (anche se sono state prodotte da più specie contemporaneamente) l’idea che volevano trasferire era esattamente la stessa!

È bene soffermarsi su questo termine per capire bene di cosa stiamo parlando e, se possibile, di fare un passo avanti che ci permette di fare la nostra riflessione finale sul tema.

Per steatopigìa si intende il carattere di spiccata lordosi lombare di alcune costituzioni fisiche e la tendenza ad accumulare adipe sui glutei e sulle cosce. La steatopigia è tipica delle donne di alcune etnie africane come quella degli ottentotti o dei boscimani.” (http://it.wikipedia.org/wiki/Steatopigia)

Quindi, da vocabolario, si tratterebbe di una caratteristica genetica, eppure sfido chiunque a non aver mai visto nella sua vita una donna “steatopigica”! Proviamo a riflettere e ad osservare meglio queste statuine. Oltre ad avere i fianchi, i seni ed i glutei marcati hanno anche un discreto ventre. E, indovinate un po’, quando succede che una donna accumula adipe sui fianchi, ha i seni più grandi del solito e si vede spuntare una discreta pancia?

E se le Veneri, le divinità o, in generale queste affascinanti statuine di pietra non fossero altro che “semplicemente” incinta?

UNA INTERPRETAZIONE CHE METTE TUTTI D’ACCORDO:

Questa è una interpretazione torna spesso nella storia degli studi, a proposito di statuine di provenienze diverse. Bisogna ammettere che non sempre le statuine sembrano incinte ma, vera o meno a me questa teoria piace molto perché ci aiuta a riflettere su diversi argomenti riguardanti sapiens ed il rapporto con il mondo durante la preistoria.

Quanto è difficile venire al mondo!

Qual è il momento più difficile della vita di tutti gli uomini? Non sforziamoci a cercare risposte filosofiche, la risposta nella nostra società è sottovalutata ma in molte società anche attuali le statistiche lo chiariscono bene: la nascita!
Oggi, in caso di complicazioni si pratica il taglio cesareo ed i problemi sono risolti ma, nelle società preistoriche,
il rischio di morire nascendo era davvero molto elevato. Ne consegue che il parto, negli uomini (quasi solo negli uomini nel mondo animale), ha bisogno di assistenza e quindi di una comunità che possa unirsi a dare sostegno sia al cucciolo appena nato che alla madre.

Dal punto di vista evolutivo è un sistema insoddisfacente e pericoloso per madre e figlio. Il punto di riferimento per tutte queste peripezie e la persona che, alla fine dei conti, ha più bisogno di aiuto e assistenza, è proprio la madre, la madre incinta. Niente di strano quindi, e niente di meno biologico e naturale che le madri, in preistoria, abbiano goduto di attenzioni quasi addirittura religiose.

Nelle statuine, la rappresentazione mira ad evidenziare tutto tranne il volto della donna e le parti del corpo (quali braccia e gambe) non interessate all’atto della nascita. Il culto e l’attenzione erano rivolte a quell’elemento, come quando si va dal ginecologo per accertarsi che la gravidanza proceda bene!

Con l’evoluzione della società da caccia-raccolta ad agricola, anche il culto della madre si è evoluto. Ormai la donna/madre non rappresentava più solo il mezzo attraverso cui continuare la specie ma addirittura il punto di riferimento della comunità ed il simbolo stesso della fertilità. In una società agricola servono più mani e braccia per portare a casa il cibo rispetto ad una di caccia e raccolta e quindi la madre, il mezzo di produzione delle braccia diventava per assonanza l’elemento fondamentale per produrre le messi. Il momento stesso della nascita viene associato al ritorno della primavera e quindi del cibo e delle messi.

Le società antiche erano molto spesso matriarcali e quindi la donna era non solo una madre ma anche il punto di riferimento del gruppo familiare da cui la società era composta. Da questo concetto nasce e si evolve il culto della Dea Madre che vediamo rappresentato in Giunone Lucina, nella Mater Matuta e, a farci caso osservando bene lo stile con cui queste divinità vengono rappresentate (aureola e bambino in braccio) anche la Madonna stessa (che infatti si celebra a Maggio quando ritornano le messi).

Il discorso sarebbe davvero lungo e articolato, fiumi di inchiostro sono stati spesi intorno a questi temi, a noi basti sapere che tutto ha avuto origine lì, con le veneri preistoriche che ci ricordano quanto sia faticoso e rischioso nascere homo sapiens e quanto sia importante la comunità nella crescita dei bambini.

Per concludere, le veneri sarebbero state prodotte da sapiens per, in qualche modo, “sperare” che il momento tanto critico del parto venisse superato senza troppe complicazioni. Avendo il Neanderthal una testa tutto sommato più “parto-dinamica” della nostra, in teoria questa specie non avrebbe dovuto avere la necessità di “pregare” per il buon esito del parto. Se ha prodotto delle statuine di donne incinta, magari l’ha fatto per via dei rapporti di scambio (ormai appurati) con sapiens che gli hanno permesso di permutare qualche forma di culto, oppure anche loro avevano le loro difficoltà nel venire al mondo, difficile a dirsi. Fatto sta che questa teoria potrebbe mettere tutti gli autori d’accordo … almeno fino a prova contraria!

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da un'idea di Marco Mastroleo

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