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Terra pontina, podere 599

di Carla Zanchetta
Illustrazioni a cura della Prof. SERENA PIRANI

Inseguendo le “storie dei luoghi”, oggi incrociamo quella di Carla Zanchetta, autrice di Terra Pontina 599. In queste righe ha pensato di dar voce alle case coloniche. Qui, infatti, è ambientato il suo libro ed ai poderi come il suo, ha voluto dedicare questo racconto, colmo di riflessioni profonde:

Le case coloniche raccontano: sono i musei della terra che potrebbero continuare efficacemente ad insegnare. Come sfogliare con gli occhi il nostro passato e costituire tappe in un itinerario storico-turistico. Riscoprire le nostre radici, perché la nostra identità pontina si rafforzi dovrebbe essere perseguito con passione.

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Tra le esperienze che più mi hanno segnato indubbiamente c’è il fatto di essere nata in un podere. Un tempo, era consuetudine partorire in casa. 

Nel podere 599 nella campagna di Borgo Podgora ho trascorso la mia infanzia e la mia giovinezza fino al matrimonio.

Nonostante il Borgo avesse assunto questo nome già dal 1927, tutti si continuava a chiamarlo Sessano. Sessano era il nome di una torre preesistente, per questo il primo Villaggio Operaio fu appunto chiamato “Villaggio Operaio Sessano”.

Il podere è legato ad una storia ben nota di cui si continua ad argomentare, quella dell’immigrazione in Agro Pontino negli anni 1932-1936, quando migliaia di famiglie abbandonarono la terra di origine per trasferirvisi.

Come per lestra s’intendeva un villaggio che sorgeva in una radura, lontano dagli acquitrini e comprendeva, oltre alla capanna, i vari ricoveri per gli animali, il pozzetto e il forno, così il podere comprendeva, oltre all’abitazione con annessa la stalla, l’appezzamento di terra, la porcilaia, il pollaio, il forno, il gabinetto e la concimaia. 

Da un’abitazione destinata ai transumanti (in palude durante l’estate non si poteva resistere perchè aumentava in modo esponenziale la probabilità di contrarre la malaria), ad un’abitazione pensata per essere vissuta in modo permanente: la casa colonica.

Attraverso l’abitazione si coglie il passaggio che ha visto scomparire, in seguito alla bonifica, il fenomeno del nomadismo sia del popolo della palude sia delle genti del nord est.

 Questi ultimi fiaccati dalla mancanza di lavoro erano in cerca di terra e di una casa. 

“Terra Pontina Podere 599” è il titolo che ho voluto dare al mio libro per dire una volta di più che il podere è, per certi versi, il protagonista della storia dell’immigrazione, un testimone discreto. Mentre le persone che vi abitano si agitano, i bambini crescono e diventano adulti, le famiglie scelgono e progrediscono affrontando ogni tipo di prova e fatica, apparentemente immobile, il podere partecipa silenzioso. 

Le case che l’Opera Nazionale Combattenti costruì tra il 1927 e il 1934 erano state progettate di diversi tipi e venivano assegnate tenendo conto del numero dei componenti della famiglia.

Al piano terra la grande cucina e il magazzino, al piano superiore le camere, da tre a cinque.

Le finestre avevano delle reti contro le zanzare e anche davanti alla porta d’ingresso vi era un piccolo vano con la zanzariera. Alcuni poderi avevano il portico che separava la stalla. Altri la stalla l’avevano addossata sul fianco o sul tergo. Podere599 2

Con lo scoppio della guerra le case furono abbandonate per sfollare in luoghi più sicuri. Molte con i bombardamenti subirono danni pesanti. 

Con i contributi per i danni di guerra concessi dallo Stato le case poderali potevano essere ricostruite o restaurate rispettando la tipologia originaria. 

I poderi traboccavano di gente e la terra non dava più da mangiare a sufficienza per tutti.

L’industria segnò il cambiamento. 

Da un lato venne in aiuto alle famiglie offrendo lavoro, guadagno e la possibilità di allargare la casa colonica per ottenere più spazio. Fu la fine della famiglia patriarcale e i nuclei discendenti, grazie al salario della fabbrica, diventano indipendenti.
Un passaggio per certi versi lacerante, tra chi restava sulla terra e chi in fabbrica guadagnava molto di più.
L’industria segna il punto di non ritorno per l’Agro Pontino, che muta velocemente i suoi tratti e tradisce la sua vocazione agricola.
Accanto alle case coloniche hanno cominciato a sorgere altre case nuove che presentano le caratteristiche ibride della nuova economia dell’Agro Pontino. 

Oggi vedere una casa colonica ristrutturata secondo i criteri originali è piuttosto raro.

Molte case coloniche sono state abbandonate, la loro aia è infestata da erba alta, il tetto pericolante, oppure se sono ancora abitate sembrano, avendo ormai perso il loro colore azzurro originale, agonizzare nel loro grigiore.

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Un tempo la casa colonica non aveva recinto, si accedeva nell’aia direttamente dal ponticello (e si lasciava anche la grande chiave sempre nella toppa). Ora invece, quasi tutte le case, tutt’intorno presentano un recinto a protezione, una palizzata, in cemento o delle reti metalliche con un cancello in ferro battuto. Segni di difesa della propria vita privata e di una tendenza all’isolamento impensabile agli inizi.

La casa e la terra erano un tutt’uno. La terra si distendeva dietro casa e sulla strada, davanti alla casa, transitavano di rado e lentamente le persone. Il saluto era sincero, naturale e rispettoso.

Un’umile storia quella delle case poderali che riflette il processo sociale della nostra popolazione.

Quando la pala meccanica ha cominciato a demolire le originali case coloniche perché si pensava a soluzioni “migliori”, ha significato la fine dell’antica civiltà contadina carica di valori. La civiltà contadina che se ne stava immobile e silenziosa da millenni ha ceduto il passo all’avanzare della civiltà industriale della fretta e del rumore. E purtroppo anche dell’inquinamento. Le fabbriche hanno arricchito una generazione ma hanno lasciato alla successiva le loro macerie. Vi abbiamo assistito come se ci trovassimo davanti ad una fatalità ineluttabile.

Quel tipico paesaggio dell’Agro Pontino che dalla collina si poteva ammirare, fatto di strade, canali e case coloniche disegnate e disposte secondo un ordine geometrico è scomparso. La lottizzazione dei poderi vede lo spuntare di altre case di varie dimensioni, di capannoni industriali e anche il grattacielo di Latina.

Ma le mura delle case poderali salvate alla distruzione e all’abbandono potrebbero ancora raccontare alla generazioni di oggi di una storia importante che ha il profumo del sacrificio, della fatica e del riscatto. 

Non vi sono nati personaggi illustri, non sono stati tutelate come ville nobiliari, ma vi hanno abitato contadini, uomini semplici con la sapienza scritta nelle mani callose sostenuti da donne forti e innamorate. 

Silenziosamente con la loro umanità hanno scritto la pagina più bella e per questo indimenticabile della storia dell’Agro Pontino. 

Con rammarico possiamo constatare che le case coloniche non sono state tutelate, che si è fatto finta di nulla davanti ai vari interventi che li hanno deturpati quasi che dopo la caduta del fascismo non gli si attribuisse più un valore. 

Valore che era stato messo in ombra forse perchè associato al periodo buio della dittatura.

E se salvassimo quelle poche case che sono rimaste? 

Quelle che sopravvivono restano testimoni di un’epoca.

Se le considerassimo come patrimonio da tutelare e proteggere?”


SINOSSI

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I Lorenzin abitano a Treviso e lavorano come mezzadri presso un ricco latinfondista che li sfrutta. Tanta fatica e tanta fame. 

C'è il nodo del giorno di san Martino: l'11 di novembre di ogni anno il padrone decide se rinnovare il contratto di lavoro alle famiglie oppure se mandarle via. Per questa ragione i contadini mezzadri erano costretti a cercare un altro padrone che desse loro lavoro.

La vita della famiglia Lorenzin cambia rotta quando viene loro proposta la possibilità di trasferirsi in Agro Pontino. Come le altre tre quattromila famiglie partono affrontando l'ignoto, la separazione dai loro cari, dalla terra che li aveva visti nascere, dai loro morti.

Partire è l'unica soluzione per vincere la miseria. La separazione dagli affetti, da quell'aria che hanno sempre respirato è molto doloroso. 

Un giorno di ottobre del 1933 partono alla volta dell'Agro Pontino, considerata la terra promessa di una vita migliore.

Non è una scelta libera perché soggiogati dai grandi latifondisti terrieri e piegati dalla crisi del '29,  non hanno altra via d'uscita.

Per essere assegnatari del podere in Agro Pontino è previsto un requisito fondamentale: quello di essere ex combattente della prima guerra mondiale. Ma sono necessarie anche braccia da lavoro, almeno quattro maschili e due femminili per portare avanti l'attività nella colonia.

I Lorenzin si ritrovano in una terra nuova, terribilmente soli. Ciò che i loro occhi vedono è solo cielo e terra arata. Non un albero. Le case belle e nuove tutte azzurre sono distanti le une dalle altre.
Come avrebbero fatto? Resistono. Molti altri non ce la fanno e tornano indietro in Alta Italia.

Si sentono imbrogliati: la terra non è come se la immaginavano; è zuppa d'acqua e per questo è difficile da lavorare e non rende. E poi la zanzara anophele miete le sue vittime anche tra i coloni. Il contratto a mezzadria che i coloni stipulano prevede che gran parte del raccolto venga requisito dal governo. I Lorenzin si adattano a vivere nella colonia sotto la dittatura che impone le sue regole inflessibili.

La terra con il tempo va asciugandosi e produce ogni anno di più.

Ma nel '43 con lo sbarco ad Anzio, la zona a nord dell'Agro Pontino diviene un campo di battaglia. Il podere dei Lorenzin è situato vicino al fronte del canale Mussolini e sono costretti ad abbandonare la casa e la terra e a sfollare in collina, a Sermoneta. La notte del 30 gennaio tra il fuoco dei bombardamenti, sotto una pioggia torrenziale e al bagliore dei fulmini lasciano alle loro spalle  Sessano - Borgo Podgora in fiamme.

Torneranno ad aprile, dopo la liberazione di Littoria ma troveranno la casa poderale semidistrutta. Ricominciano da capo. Questa volta liberi dall'oppressione dei nemici. Anche i Lorenzin vivono la miseria del dopoguerra, la fatica della ricostruzione e assistono al grande cambiamento dell'Agro Pontino. Le prime fabbriche portano il benessere mai conosciuto prima. Nelle tasche le monete sonanti consentono di vestirsi, mangiare e studiare. 

Ester, l'ultima discendente dei Lorenzin cresce a Latina ma respira pienamente la cultura veneta, parla il dialetto trevisano, è dentro i valori della tradizione insegnata. 

Quando però diventa adulta è assalita da una crisi di identità. 

Pur sentendo scorrere nelle vene sangue veneto sente il Veneto geograficamente troppo lontano. 

E camminando per le strade della sua città non si sente neanche pienamente latinense.

Lo strazio vissuto dai genitori e dai nonni si scrive nell'animo di Ester. Come se avesse interiorizzato la lacerazione della separazione dalla terra nativa dei suoi genitori e dei suoi nonni. Dentro di lei alberga un tormento che l'accompagnerà per lunghi anni fino a quando non decide la sua avventura, quella di scavare dentro la miniera di ricordi. Recupera le vicende che hanno accompagnato la vita di chi l'aveva preceduta e riesce a dare risposta a tanti dei suoi perchè.  Col tempo e non con poca pena, matura un senso di appartenenza. Si lascia aiutare dal mito, dal senso religioso, dalla poesia. Ester alla fine del suo percorso riesce a sentire profondamente di appartenere all'unico grande popolo, quello dell'umanità e si percepisce come un anello nuovo in una grande storia dove non c'è più spazio per la nostalgia ma unicamente per la speranza e per il futuro.


Terra pontina, podere 599 è acquistabile nelle principali librerie di Latina e Provincia o direttamente dal sito dell'Editore, spedizione gratuita con Corriere, consegna in 3-4 giorni lavorativi.

https://www.atlantideditore.it/prodotto/terra-pontina-podere-599/

Grazie a Dario Petti e ad Atlantide Editore per la disponibilità nella realizzazione di questi articoli

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