Clorofilia

Clorofilia Podcast

da un racconto di Marco Mastroleo

Come funziona il podcast e dove lo trovo?

Un gruppo di scienziati ed i loro figli attraversano a piedi l'Isola di Ponza, alla scoperta del “progetto Clorofilia”. La Ponza di Clorofilia, nel 2040, è un laboratorio a cielo aperto, un esperimento di adattamento al Climate Change.

Il viaggio, si intreccia con la storia dei Testimoni di GEA, una nuova religione nata sui Social.
Che rapporto c’è tra le due storie? Lo scopriremo durante l'ascolto.

La Ponza di Clorofilia è un espediente narrativo, un esperimento mentale per immaginare come potremmo essere tra 20 anni!

In più, un'appendice: una serie di interviste a scienziati e storici che ci guidano in questo lungo viaggio.

Il  Podcast è tratto da un racconto pubblicato su questo Blog tra 2020 e 2021.
Lo trovi qui di seguito

Indice:

Sinossi

1: Prologo (20/12/2020)
2: I Testimoni di Gea, parte 1 (27/12/2020)
3: Giorno 1, luce  (3/01/2021)
4: I Testimoni di Gea, parte 2 (10/01/2021)
5: Giorno 2, acqua (17/01/2021) - Parte 1
5: Giorno 2, acqua (20/01/2021) - Parte 2
6: I Testimoni di Gea, parte 3 (24/01/2021)
7: Giorno 3, fuoco (31/01/2021)
8: I Testimoni di Gea, parte 4 (7/02/2021)
9: Giorno 4, piante (14/02/2021)
10: I Testimoni di Gea, parte 5 (21/02/2021)
11: Giorno 5, tecnologia  (28/02/2021)
12: I Testimoni di Gea, parte 6 (7/03/2021)
13: Giorno 6, città (14/03/2021)
14: Epilogo (21/03/2021 - primo giorno di primavera)

Giorno 2: L’acqua

PRIMA PARTE

Il giorno dopo, al risveglio, mentre i grandi trafficano con fornelli, caffè e colazioni varie, da una delle tende arriva un grido: “All’arrembaggio!”.  E la tenda comincia a tremare, come se si fosse alzata una tempesta. Si scuote, si gonfia, balla e, ad un certo punto, salta! Una tenda saltante e urlante!

Tutto il campo si ferma, in silenzio, a guardare lo spettacolo. Stupiti, sono tutti stupiti ed immobili.

Poco dopo è Francesca a rompere il silenzio.

— Attenti! Altre galee all’orizzonte — urla. — L’Ammiraglio Doria ha chiamato rinforzi, siamo inferiori di numero, non possiamo farcela, scappiamo! Torniamo alle nostre navi, pirati!

Dalla tenda indemoniata viene fuori un folletto scapigliato, con gli occhi cisposi e imbarazzato:  Ettore

— Scusate, stavo giocando… 

Tutti scoppiano a ridere e, finalmente, anche gli altri bambini iniziano a correre e gridare.

— Sono Dragùt, il terrore del Mediterraneo!

— All’attacco! 

— Ammainate le vele!

Un mucchio di piccoli pirati scalmanati, conciati alla meno peggio con teli e asciugamani, scorrazza tra i fornelli e le tende, “sventolando” bastoni.
Ettore è il figlio di Aurelio e Arianna. Ha tredici anni, è alto e forte abbastanza da sembrare un adulto ma ha sempre la testa per aria, come fosse un bambino di otto anni. Sua sorella maggiore, Laura, quindici anni, fa l’adulta per entrambi. Sono in perenne discussione: litigano, urlano, strillano ma la scena finisce sempre con Ettore che, come i dicono i suoi romanissimi genitori, la “butta in caciara” e così i due cominciano a ridere, rincorrendosi o facendo finta di picchiarsi. Stavolta Laura “l’adulta”, non ha neanche parlato, la cosa le è sembrata troppo divertente e si è subito impiratata come gli altri.  
In questa atmosfera allegra e spensierata il gruppo si rimette in cammino. Costeggiano la miniera dalla quale fino al 1970 si estraeva bentonite (un minerale vulcanico usato nelle fonderie per la produzione di ferro e acciaio) e prendono la strada che scende fino alla baia di Cala dell’Acqua.
Sono ormai le 10,30 così decidono di fare un bel bagno e di fermarsi in spiaggia per il pranzo.
La storia dei pirati continua anche in riva al mare. Ogni barca che vedono è per i bambini una galea da affondare o sulla quale andare all’arrembaggio. Per loro si è aperto un mondo nuovo: finalmente sembra che lascino spazio all’immaginazione. In fondo, era proprio questo lo scopo del viaggio.

Dopo pranzo si rimettono in marcia. Risalgono sulla strada provinciale, direzione Sud-Ovest. Sono le ore più calde del giorno ma il venticello che spira lì, sul dorso dell’isola, rende la passeggiata quasi piacevole. 

Alle 16,30 arrivano a Le Forna. Il vento leggero che li ha accompagnati per un po’ aveva infine preso un’altra direzione, così ora, dopo quel lungo tragitto, sono stanchi ed accaldati.
Decidono di sedersi sulla scalinata che guarda la chiesa, a prendere un po’ d’ombra e a riposarsi prima dell’ultima tappa. Hanno in programma di accamparsi a Cala Feola, vicino alle piscine naturali, e godersi il tramonto da lì.

— Vi abbiamo mai raccontato di quella volta in cui io ed Aurelio siamo venuti qui a Le Forna ed ho quasi litigato con la farmacista?

— Sì Michele, racconta di come ti ho salvato! Se non fossi arrivato io, il progetto Clorofilìa sarebbe morto lì, quel giorno, ancora prima di iniziare. Disgraziato...

— Zio Michele, solo tu puoi aver fatto una cosa del genere! Dai, racconta! 

— Ok ok. Come sapete, sono un ecologo.  E gli ecologi studiano gli ecosistemi, le interazioni tra gli organismi all’interno di un ecosistema. Sono talmente tanto “tarato”, come si dice a Bari, che applico questo punto di vista a tutto quello che faccio. È un vizio di noi uomini di scienza, non possiamo fare a meno di fare gli… scienziati in tutti i contesti! 

— Lo sappiamo, zio. 

— Grazie per la precisazione, Ettore. Tu e Laura siete le mie cavie preferite! Ho sempre voluto capire come è possibile che dall’incrocio tra un antropologo ed un’ingegnera siano potuti nascere due figli normali…

— Quasi normali, dai…

— Aurè, se lo dici tu. I figli so’ i tuoi… Vabbè, stavo dicendo che non posso fare a meno di fare l’ecologo... Un giorno abbiamo deciso, io e Aurelio, di andare a farci un bagno alle piscine. Ma siccome la sera doveva arrivare una mia amica da Bari, col traghetto, prima di scendere alle piscine volevo fare scorta di preservativi… 

—  Michele! Ci sono i bambini… 

— Arià, e che si scandalizzano per queste cose naturali?! Vabbuó, dicevo, venni a far scorta qui alla farmacia di Le Forna. Entrai, chiesi  quello che dovevo chiedere… 

— Cioè i preservativi, vero zio? 

— Arià, come vedi… Vabbuó, dicevo…  Chiesi quello che dovevo chiedere e la farmacista mi guardò dall’alto in basso, “con occhi di bragia” direbbe la nostra archeologa, e mi fece: “Lei, signore, dovrebbe vergognarsi. Questo gesto dimostra che è contro la vita!”.
A me? Ad un ecologo vai a dire che è contro la vita? ’Stà scema... E già mi giravano, ma stavo sopportando. Poi aggiunse: “Pregherò per lei, perché si redima e torni sulla giusta via, pregherò per lei e per la vita”.
Mi giravano sempre di più ma riuscii ancora a trattenermi e le risposi in maniera gentile che io di vita me ne intendevo, la studiavo in tutti i modi possibili e che quello di cui parlava lei con la vita non aveva niente a che fare. Ma quella, tutta serafica (e presuntuosa pure), riattaccò:  “E allora perché non decide di prendersi tutti i figli che Dio le dona?”
Mho’!  Non ci vidi più! Ma lo capite? Uno passa ... una vita … a studiare le popolazioni, gli ecosistemi, gli equilibri e si deve sorbire ’sti pipponi? E no!
Cominciai a dirle...

—  E della gentilezza, ormai… nessuna traccia… 

— … che forse lei non se ne rendeva conto ma eravamo nel 2019, sull’orlo della più grande crisi ecologica che la Terra avesse conosciuto negli ultimi sessanta milioni di anni, che questo problema era causato soprattutto dal fatto che noi esseri umani eravamo troppi, che ci eravamo presi già più risorse di quelle che ci spettavano e che il pianeta era in crisi. Che proprio quel giorno cadeva l’Earth Overshoot Day ed eravamo solo al 29 luglio e che questo significava che, da quel giorno in poi fino alla fine dell’anno, avremmo consumato risorse sottraendole alle future generazioni, che stavamo mangiando e prendendo molto più di quello che la Terra poteva darci, che questa cosa significava che tutti quelli che sarebbero nati, i nostri figli, avrebbero dovuto fare i conti con la fame e la sofferenza, se noi non avessimo preso qualche contromisura, e che, se proprio ci teneva tanto alla  vita, di queste cose doveva preoccuparsi, non di un povero squattrinato che si compra un pacco di preservativi. E, soprattutto, che prima di giudicare qualcosa o qualcuno bisogna conoscerli e capirli! 

— Sì, Michele, tutto vero, peccato che mentre lo dicevi ti scappava pure qualche bestemmia in pugliese e qualche frase che capivi solo tu. E, in ogni caso, hai dimenticato un particolare fondamentale!

— Che particolare, Auré? Non mi ricordo!

— Le hai detto, tra mille parolacce, che non doveva farsi “ottenebrare il cervello” dalla sua religione. E mentre lo dicevi sbavavi rabbia… Non è proprio il modo migliore per farsi ascoltare e diffondere le proprie idee, ah ah ah…

— Eh! Ridi, ridi… C’era poco da ridere, con quella… Io le parlavo, e lei mi guardava come si guarda un povero pazzo. Ferma come una statua di cera co’ ’stó sorrisetto del cazzo, di una che ti sta a giudicare... Mi faceva salire il sangue al cervello, porca miseria!

— E me lo ricordo. Bene me lo ricordo! Perché, mentre tu non puoi fare a meno di fare l’ecologo, io non posso fare a meno di fare l’antropologo. E intervenni. Mi misi in mezzo e spiegai alla signora che, purtroppo, lei aveva toccato un tasto dolente, che il povero Michele lì presente era disperato e turbato proprio perché il suo desiderio più grande, il sogno della sua vita, era quello di avere dei figli. Ma che la sua condizione lavorativa — il precariato, l’Università eccetera — non gli permettevano neanche di avere una casa fissa, figuriamoci un figlio, e che lui ne soffriva terribilmente. Era proprio turbato! E questo bastava a spiegare la sua reazione, senza dubbio esagerata, al buon consiglio che la signora era stata così gentile e premurosa da dargli. Ho salutato ed ho accompagnato lo “smadonnante Michele” fuori dalla farmacia. E l’ho anche costretto a chiedere scusa.

— Eh! L’eroe… 

— Sì, testa d’abbacchio! Come ti ho spiegato già quella volta, e come continuo a ripetere a tutti voi da vent’anni a questa parte, ricordiamoci sempre che noi siamo ospiti dell’isola. Siamo di passaggio, come moderni Ulisse nell’isola di Ea. Se vogliamo essere accettati, dobbiamo mimetizzarci e non esagerare. Di certo litigare con la farmacista, dirle che la sua fede le “ottenebra il cervello” e sputarle addosso parolacce e insulti in barese, non era un buon modo per cominciare!

— Hai ragione Aurè, però mo viene il bello di questa storia. Posso raccontarlo io?

— Vai, vai pure, sono curioso di sentire cosa tiri fuori... Tralascia i particolari dell’amica di Bari che aspettavi, che ti ha lasciato all’asciutto e che proprio mentre era con noi sull’isola si è fidanzata con un romano conosciuto qui...

— E meno male! Sennò non avrei mai potuto conoscere l’amore della mia vita, Alisea Rossi, la divinità della chimica che è arrivata sull’isola a settembre, quasi alla fine di quell’estate. Baci, amore mio…

— Ruffiano! Baci anche a te! Diciamo che quei cosi che hai comprato erano pure difettosi, visto che meno di un anno dopo era già nata Elettra…

— Vabbuó, vado avanti nonostante l’evidente ostilità nei miei confronti, branco di maravuottoli che non siete altro! Dicevo che, usciti dalla farmacia, il nostro caro Aurelio mi fece il cazziatone e mi spiegò che, purtroppo, gli esseri umani non sono oggettivi, che c’erano studi recenti che dimostravano che quando vengono loro proposte due spiegazioni, una di natura causa-effetto e una di carattere animistico, gli uomini scelgono più frequentemente la seconda.

— Cioè, siamo antropocentrici ed egocentrici. Tendiamo a personalizzare sempre tutto e questo, spesso, vince sulla nostra razionalità; vediamo il divino ovunque, il nostro cervello tende a vedere “messaggi”, “segni” divini diretti a noi, ovunque, non riusciamo a farne a meno… “Se è caduto un fulmine è perché ho fatto arrabbiare un Dio!”. In questo modo per millenni abbiamo spiegato fenomeni che non si potevano comprendere. Poi abbiamo cominciato a chiederci il perché degli eventi ma quel retaggio persiste, in molti in maniera ancora molto forte, e spesso l’irrazionale prevale ancora sul razionale... Scusa, Michè, ci dai la traduzione di maravuottoli?

— Rane... Ranocchie che non siete altro...

I bambini scoppiano a ridere e, dandosi dei maravuottoli,   cominciano a gracchiare ed urlare correndo per il piazzale della chiesa. Ci vuole un po’, per ristabilire la calma. Soprattutto ci vuole l’intervento di Alisea e Arianna.
Il buon Michele, nonostante sembri allampanato e distratto, in realtà conosce ed usa benissimo i tempi del cabaret! Ogni buon cabarettista, però, ha bisogno di una spalla; così Alisea e Aurelio, che non riescono a rinunciare a queste scenette al limite dell’imbarazzante, gli danno corda e gli “lanciano” la corsa. Li conosco da poco tempo ma scenette di questo tipo ne ho già viste, un bel po’. Il copione è più o meno sempre lo stesso: Michele si lancia in un racconto pieno di aneddoti e personaggi macchietta, Aurelio e Alisea lo prendono in giro e lui comincia a “smadonnare” in pugliese. Un teatrino…
La cosa che mi sorprende e diverte, ogni volta, è pensare che, ancora oggi, nel 2040, quando i dialoghi degenerano o diventano, per così dire, folkloristici, fiorisce il dialetto!
Gli italiani ormai parlano quasi senza accento, tanto che è diventato difficile capire chi viene dal Nord, dal Centro o dal Sud del Paese,  parlano bene in inglese, e qualcuno anche in cinese (come potevamo farne a meno…?), ma in certi contesti non rinunciano al dialetto! Non c’è niente da fare, alcune espressioni, se devono essere “condite”, devono essere in dialetto!
Così, anche questo racconto è andato nello stesso modo. Finito il teatrino, Michele ricomincia a raccontare:

— Insomma, quell’episodio e le parole di Aurelio sull’irrazionalità degli uomini mi avevano insegnato una cosa importantissima: non potevamo andare in giro a raccontare le cose come stavano punto e basta.

— Dopo quanto accaduto, io e Michele ci siamo chiesti se il nostro lavoro di scienziati avrebbe avuto senso e scopo se fosse rimasto confinato solo all’ambito accademico, se avessimo continuato a confrontarci solo con “addetti ai lavori”... Per quanto possa sembrare strano, la nostra è stata una conversazione molto profonda e la risposta che ci siamo dati è stata, ovviamente: no! Bisognava trovare un modo per parlare di scienza alla gente, in un linguaggio che fosse comprensibile a tutti. 

— Non solo, bisognava fare presto, molto presto. Il riscaldamento globale era sempre più accentuato, le cose andavano più velocemente del previsto. Proprio nell’estate del 2019, in Siberia ci fu un enorme incendio che mandò in fumo centinaia di migliaia di ettari di foresta e di torba. Milioni di tonnellate di CO2 in atmosfera, effetti collaterali sugli ecosistemi difficili da immaginare... Era URGENTE cominciare a fare qualcosa. Fare e basta, però, non era sufficiente. In giro per il mondo c’erano migliaia di scienziati impegnati nel FARE, eppure alla gente sembrava non importare!

— Ancora una volta l’analisi antropologica era semplice: il cervello umano è strutturato per comprendere facilmente le cose che riusciamo a vedere, a toccare ed a percepire come imminenti. Siamo programmati per capire bene il “qui ed ora”. Il cambiamento climatico non rientrava in queste categorie. Era una cosa troppo astratta, troppo lontana. Noi uomini facciamo fatica a comprendere fenomeni lenti, grandi, con i quali interagiamo solo in piccola parte. Per comprendere un fenomeno, questo deve riguardarci direttamente... Un incendio in Siberia? E vabbé, basta che non sia vicino a casa mia!
Proprio in quegli anni, gli psicologi cognitivi e gli scienziati che studiavano lo sviluppo del cervello, lo stavano dimostrando con forza: noi uomini tendiamo ad avere un atteggiamento “teleologico”, a cercare un fine per le nostre azioni. Per spiegare un fenomeno preferiamo cercare una causa che in qualche modo ci riguarda: “Devo aver fatto arrabbiare un Dio!” Crediamo nel destino e nella conseguenza animistica delle nostre azioni.  Preferiamo semplificare le cose complesse cercando di trovare una sola causa.
Questo meccanismo, dal punto di vista evolutivo, ci ha aiutato molto, perché ci ha permesso di prendere velocemente decisioni importanti per la sopravvivenza. Come in guerra, ad esempio, quando le ideologie e le religioni contano più della ragione e permettono di non farsi venire “dubbi” su chi sia giusto ammazzare e chi no. Ma nel 2019 non aveva più senso! Il mondo era diventato troppo interconnesso e ramificato. E sempre più intricata era anche la nostra relazione col mondo. Bisognava fare un salto evolutivo! E quello era il momento di farlo. Doveva esserlo, se si volevano evitare conseguenze irreparabili… 

— D’altra parte, proprio in quegli anni, c’era chi faceva leva sul meccanismo che abbiamo appena descritto per trarne dei vantaggi, specie in politica. Per raggiungere l’obiettivo sfruttavano i social network, le fake news, i video e gli slogan. Lo avevano fatto Santini in Italia,  Donald J. Fuff in America, i fautori della Brexit in Gran Bretagna…  Ed erano riusciti ad accrescere il loro consenso e il loro potere. 

La gente faceva fatica ad arrivare a fine mese, non trovava lavoro, pagava le merci ed i servizi sempre di più e cercava una risposta a questi problemi.
E loro la davano, la risposta: tutti i problemi del paese erano legati all’euro o agli immigrati. Ecco trovata “la causa dell’effetto”!
Una spiegazione priva di fondamento e di senso bastava a fare tutti contenti.
Slogan in serie, buttati lì senza capo né coda, erano meglio di studi scientifici ed economici seri ed affidabili. Eppure molti ci credevano ed erano disposti a votarli.  E Santini, Fuff e gli altri sovranisti cavalcavano benissimo questa ondata...

—  Il Medioevo, insomma! Solo che nel Medioevo ’sto ruolo lo svolgeva la Religione!

— E Santini non tralasciava neanche quello! Spesso concludeva i suoi comizi invocando la Madonna o sventolando il rosario…

— Insomma, la conclusione era: se un prete ti dice che sta piovendo fuoco perché Dio è arrabbiato, gli credi. Se uno scienziato ti spiega che si tratta di una eruzione vulcanica, no! Perché per capire l’eruzione devi aver studiato un minimo e devi aver liberato la tua parte razionale…

— Che di solito è offuscata da quella irrazionale: l’emotività, i sentimenti…

— Abbiamo compreso allora che per farti  ascoltare devi  rivolgerti alla parte sentimentale e “viscerale” delle persone. Cosa che nessuno scienziato aveva ancora mai fatto. Su quell’aspetto bisognava far leva, non sulla razionalità.

— Ci voleva una Religione! Una nuova religione in cui i sacerdoti fossero degli scienziati…

—  Ma uno scienziato non può fare leva sulla parte irrazionale, altrimenti smette di essere uno scienziato e diventa uno sciamano!

—  Tuttavia, se spieghi razionalmente che buttare una bottiglia di plastica in mare non va bene per una serie di motivi, nessuno ti ascolta…

— Mentre se a dirtelo è un Dio, cambia tutto! Il Dio può arrabbiarsi e punirti in un modo non umano. E noi uomini abbiamo paura delle cose non umane. In fondo, le Religioni ci hanno sempre dato dei sistemi morali di riferimento …

— Ci voleva una truffa, insomma, una cosa altamente immorale…

—  Il sentiero che stiamo per fare, quello che scende alle piscine naturali dalle spalle della Chiesa… Ogni volta che lo percorro, mi fa venire in mente tutte le parole di quella nostra chiacchierata. Ogni gradino di pietra, ogni pianta, ogni panorama mi ricorda quel pomeriggio…

—  Anche per me è così…  Arrivati alla fine del sentiero, mentre ci mettevamo in costume, guardando il mare da una parte e le piscine naturali dall’altra, continuavamo a chiederci: chi avrebbe potuto avere il coraggio di fare una cosa così subdola, così immorale, eppure così necessaria? Noi?

— Da una parte la nostra moralità, grande quanto le piscine, limpida, affascinante, invitante…. dall’altra il mare, il mondo, la crisi climatica globale, la grande necessità di fare qualcosa…

— Ci siamo guardati negli occhi, abbiamo aperto una birra, abbiamo fatto un brindisi alla farmacista, abbiamo bevuto ed abbiamo preso la decisione più impegnativa e più importante della nostra vita…

— Abbiamo fatto una scelta, e ci siamo… tuffati!

— Da che parte? Da che parte vi siete tuffati? Zio, papà, cosa avete scelto? Le piscine o il mare?

... CONTINUA ... Mercoledì 20 Gennaio


Marco Mastroleo, Latina 16/01/2021

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 5 (il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

Se non volete aspettare le prossime uscite e volete subito sapere come andrà a finire questa storia, scrivete una mail aQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. per acquistare il libro intero in formato e-book.

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Ringraziamenti:

Grazie a Giulia Santoro per il supporto ed i consigli.

antropologia, teleologia, ecologia, piscine naturali, ponza

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I TESTIMONI DI GEA, PARTE 2

“Dunque EL, vediamo se ho compreso bene. Secondo voi Testimoni di GEA il mondo spirituale e quello materiale sono due aspetti della stessa realtà, quello che cambia è il modo in cui la percepiamo. Pertanto noi saremmo costantemente in contatto con GEA, attraverso i nostri sensi ma anche attraverso quella che da sempre i nostri progenitori hanno chiamato anima, o spirito. È corretto?”.

“La prego, sull’ANIMA vorrei tornare in un secondo momento perché parlarne presuppone di introdurre dei concetti un po’ diversi da quelli che abbiamo affrontato fino ad ora.

Invece, riguardo allo SPIRITO... Sì, secondo noi è lo strumento che ci permette di PERCEPIRE quello che i nostri sensi, i nostri SENSORI FISICI, non sono in grado di sentire.

Secondo noi, lo SPIRITO coincide con quello che i nostri antenati chiamavano SESTO SENSO.

Avete presente quella sensazione di “allerta” che ci avvisa che qualcosa sta per accadere, come se fossimo in grado di “prevedere” un evento? La capacità di capire o sentire cose non evidenti, cose che i nostri sensori fisici non possono percepire? 

I Cristiani chiamano Provvidenza e i Buddisti Illuminazione quello stato dell’animo che ci consente di interpretare quello che ci accade, anche nei sogni, come veri e propri suggerimenti su comportamenti da tenere o scelte da compiere nella vita di tutti i giorni.

Ognuno di noi ha sperimentato un’esperienza di questo tipo!

Ecco, lo SPIRITO è, a seconda di come vogliate intenderlo, il nostro SESTO SENSO, la nostra PROVVIDENZA o la nostra ILLUMINAZIONE, ed è ciò che ci fa comunicare con GEA”.

Lo spirito! Non ho parole, questa gente se ne inventa di ogni pur di attirare consenso. Questa dello spirito è senza dubbio una gran paraculata per dare, come dire... spessore a quello che vanno farneticando. Sono furbi! A volte basta usare le parole giuste. Dici “spirito” e tutti sono pronti a giustificare le bestialità che spari. Ne ho viste tante di situazioni così. 

Ma a me non la fate... Vi smaschero io, vi smaschero! 

“EL, mi permetta di capire meglio, mi perdoni se insisto... Lei afferma che lo spirito di voi Testimoni di GEA sarebbe la Provvidenza dei Cristiani e l’Illuminazione dei Buddisti. Quindi, vi ponete in successione rispetto a queste Religioni? Pretendete di assorbirle? O, addirittura, credete di avere in mano il messaggio religioso di questo millennio, come ha scritto qualche mio collega giornalista?”.

Te l’ho detto EL... Ti apro il culto! Ti ho beccato e non ti mollo. Sono un mastino dell’informazione io. Quando arrivo alla mia preda... GNAM... stringo i denti e non mollo fino a quando il mio rivale non è morto, stroncato! 

Grande Jack London! Zanna Bianca è stata la mia scuola di vita. C’è quella scena, in particolare, quella in cui Zanna Bianca combatte con il Bulldog... Si dimena, è veloce Zanna Bianca, è furbo. Ce la fa anche a mollarli tre o quattro morsi alla giugulare del Bull… Ma quando quella bocca con il corpo intorno l’afferra… GNAM... non lo lascia più! Stringe, resiste e stringe, fino a che Zanna Bianca comincia a cedere...

Eccomi, sono il Bulldog del giornalismo, la mia missione è smontare tutte le web truffe. E questa dei Testimoni di GEA è la regina delle truffe. 

GNAM…

EL, ti ho in pugno!

“Mi spiace contraddire le vostre bellissime teorie storiche e mediatiche ma noi non abbiamo nessuna pretesa di questo tipo. In realtà non ci preoccupiamo affatto di questo aspetto, non ci interessa. Noi SIAMO, e basta! Chi vorrà ascoltare e seguire il nostro messaggio sarà il benvenuto, senza divieti o imposizioni. Non abbiamo niente contro le altre religioni, noi SIAMO e testimoniamo quello che SIAMO. E pensiamo anche che non esista UNA SOLA VERITÀ. Alcuni di noi sono Testimoni di GEA e allo stesso tempo Cristiani, Buddisti. Le cose non sono in contraddizione!

La prego però di tornare su questo argomento quando avrà capito meglio cosa è GEA, allora tutto le sarà più chiaro”.

Si difende, Zanna Bianca... Zompetta, schiva il colpo... Ma non mi abbatterà!

Ho lavorato troppo a questa intervista per lasciar andare la presa così. Trovarvi è stata una grande fatica. E sono arrivato prima degli altri, prima di chiunque altro. È uno scoop. E non mi lascio fregare!

A pensarci bene, in effetti, è quella cosa dell’anima e del corpo che mi ha insospettito, la prima volta che ho letto un vostro post. Mi ha colpito perché diceva qualcosa del tipo: “Attraverso i nostri sensi possiamo percepire, toccare, sentire GEA ed entrare a farne parte”.

Mi suonava molto come una... pubblicità. Le cose che si toccano, si sentono ecc., si possono anche comprare... Ecco dove sta la truffa! Avete creato l’aspettativa e, prima o poi, calerete l’amo ed i pesci abboccheranno. 

Vuoi entrare in GEA? “Accattatìlla!”.

“Mi perdoni, andiamo avanti, anche se ammetto che questa domanda era una di quelle che tenevo molto a porle. Facciamo come propone lei, continuiamo a parlare di GEA, ché, forse, strada facendo, risponderà alla mia domanda.

Mi diceva che i concetti di spirito e anima sono distinti. Come, immagino, l’anima e lo spirito sono distinti dal corpo. Allora, prima di arrivare all’anima, vorrei capire come intendete il corpo. Cosa rappresenta per voi il nostro corpo? Ho sentito, ed ho letto, affermazioni molto contrastanti al riguardo.

Sono convinto che lei, EL, possa ben comprendere quanto sia difficile per noi narratori capire quale sia la vostra versione ufficiale riguardo a molte cose. La vostra è una religione nata sul web e grazie al web vi siete diffusi molto in fretta. Ma avete anche subìto l’inevitabile prosperare di fake, satira ed interpretazioni fantasiose di quanto affermate. Spero lei possa aiutarmi, ed aiutarci, a capire in cosa realmente credete. O almeno, questa è la pretesa di questa nostra conversazione: rappresentare il vostro messaggio in maniera completa”.

“Ah ah ah, allora chiameremo questa conversazione LA RIVELAZIONE DEL MESSAGGIO”.

“EL, mi sta dicendo che stiamo scrivendo il vostro, per così dire, Vangelo?”.

“Non esiste un Vangelo, perché non esiste, e non vogliamo che esista, un’interpretazione ufficiale della nostra filosofia. Però, semplificando, sì, direi che stiamo scrivendo un testo di riferimento per i Testimoni di Gea”.

“Quale onore! Grazie. Torniamo al corpo. Cosa mi racconta?”.

Aspetto con ansia quello che mi dirai, sono proprio curioso. Perché questa cosa del corpo e dell’anima… Beh, si sa come va sul web... Non conta il messaggio che stai mandando ma come questo “arriva” alla gente. E così in pochi mesi si è passati dai primi timidi post a gesti di isteria collettiva.

Ne ricordo uno, in particolare: “GEA mi è apparsa, ha invaso il mio corpo, ed ora sono libera. Mi sento in equilibrio con il mondo, in purezza”.

E, sotto, commenti del tipo: “Ahó, copriti quelle chiappone che pure GEA s’è schifata…”.
Oppure: “Per fare entrare GEA, hai fatto uscire prima tutto il resto...”.

E ancora: "Vergogna, siete dei depravati. Maiali…"

E infine, il commento di EL, che, nelle sue intenzioni, aveva l'obiettivo  di riportare tutto alla giusta misura: “Non c’è bisogno di andare in giro nudi per dimostrare di essere entrati in contatto con GEA. Il nostro legame trascende gli abiti e gli altri filtri, è vero, ma vi preghiamo di non esagerare con queste manifestazioni troppo corporee!”.

Ma, niente da fare. Questa cosa del “contatto con GEA” era diventata contagiosissima. 

Tutti che, in maiuscolo, sui social, scrivevano cose del tipo: ILLUMINATO, FIGLIO DI GEA, GEA SI È RIVELATA, HO VISTO LA LUCE.

Ed erano così ansiosi di mostrarlo: tatuaggi, nudismo, vestiti corti. E sostenevano tutti la stessa cosa: ho bisogno di percepire GEA senza filtri, con tutto il mio corpo, naturalmente!

Mi sa che la cosa, ai nostri testimoni, era un po’ scappata di mano. Ancora mi chiedo come diavolo abbiano fatto… 

Comunque, era il tema più scivoloso, quello più scandaloso... era perfetto per l’affondo iniziale.
GNAM!

“Ottima questione. Perché penso che proprio in essa si sostanzi la nostra filosofia.

L’essenza principale di ogni individuo, il nostro mezzo di comunicazione con GEA, il tramite attraverso cui possiamo percepirla è IL NOSTRO CORPO.

L’ANIMA e lo SPIRITO fanno parte del nostro CORPO e non il contrario. È il nostro CORPO la centrale ricetrasmittente attraverso cui il nostro SPIRITO e la nostra ANIMA possono esistere. Se non esiste il corpo, neanche il resto esiste. 

Quando dico CORPO, intendo la nostra essenza fisica, l’IO di carne ed ossa, l’individuo.

Ma, e questo è il vero cuore della nostra filosofia, IL NOSTRO CORPO NON È SOLO NOSTRO. Ogni individuo, ogni IO può disporne e farne quello che vuole, certo, ma secondo noi, in quanto individui, abbiamo anche delle responsabilità nei confronti di GEA e degli altri esseri umani.

Questo perché ogni nostro comportamento, ogni nostro atteggiamento, ogni nostro “strappo alla regola”, in qualche modo influisce sulla vita di chi ci sta intorno e del pianeta che ci ospita. E ciò dovrebbe portarci a considerare il nostro corpo come una sorta di patrimonio comune, di BENE COMUNE. 

Il concetto è stato abusato, a volte, ma è di una bellezza incomparabile. Si potrebbe addirittura affermare che il concetto di BENE COMUNE in realtà racchiuda perfettamente quello che dicevo prima, ovvero che il nostro corpo non è solo nostro, così come l’energia è solo in prestito. 

Capisco che questa affermazione sia assolutamente opposta a quella corrente e maggiormente diffusa per cui l’individualismo e l’autodeterminazione sono valori assoluti e intoccabili.

Noi affermiamo un concetto diverso ma non totalmente in contrasto con quello corrente. Ovvero, noi siamo degli individui, abbiamo il totale controllo del nostro corpo e siamo, anzi, dobbiamo essere liberi e indipendenti, dobbiamo esercitare la nostra assoluta AUTODETERMINAZIONE, ma questo nostro diritto e questa nostra facoltà presuppongono una forte COSCIENZA.

Cioè, per essere dei buoni individui, dobbiamo avere coscienza di essere UNA PARTE DEL TUTTO.

Quindi, per parlare di CORPO in maniera corretta, dobbiamo parlare di COSCIENZA”.

Se la racconta bene, se la racconta, il furbo... Me li immagino, i testimoni, lì riuniti intorno ad un tavolo. Come la “spacciamo” questa cosa del corpo? Bisogna stare attenti! Potrebbe avere un effetto boomerang… 


Marco Mastroleo, Latina 09/01/2021

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 5, continuerà il viaggio sull'Isola di Ponza...
(il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

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I TESTIMONI DI GEA - PARTE 1

«Ognuno di noi crede in GEA! Anche se ancora non ne è consapevole o la chiama con altri nomi. La nostra Madre è lo spirito guida che ci accompagna da quando siamo diventati uomini.
GEA è ovunque, GEA ci pervade e ci unisce, GEA ci guida, ed è in GEA che ci uniamo quando terminiamo il nostro percorso umano.
L’aspetto migliore di GEA è che l’amore per lei non richiede grandi sacrifici, non richiede privazioni o grandi prove di forza, per glorificarla è sufficiente ESISTERE! Esistere, però, in maniera CONSAPEVOLE».

Ecco, fanno così questi millantatori! Tante belle frasi, parole cucite a mestiere, suggestioni... bellissime suggestioni! Riflessioni profonde, che colpiscono!
L’hanno studiata bene ’sta cosa qua! All’inizio ci stavo cascando anche io.
Ma, finalmente, il giorno del giudizio è arrivato! Oggi li faccio neri.
EL, o come cavolo dice di chiamarsi ’sto santone: ti apro il culo.
Anzi, ti apro il culto... Ah Ah Ah

«Grazie EL per questa premessa. Le voglio chiedere però una cosa fondamentale. Lei afferma che GEA ci pervade e che ognuno di noi crede in GEA. Cosa intende esattamente? Cioè, quello che voglio capire, e che vorrei raccontare ai nostri lettori, è se lei pensa che GEA sia una divinità, un’entità spirituale o qualcosa di materiale...».

«GEA è entrambe le cose. Vede, noi siamo in contatto con il mondo attraverso i nostri sensi, che, però, non sono assoluti. Ovvero, non possono sentire tutti gli elementi che caratterizzano il mondo. Per cui utilizziamo delle sovrastrutture sensoriali, degli strumenti non fisici ma frutto della nostra straordinaria mente, che ci permettono di immaginare e quindi vivere, potremmo dire in qualche modo percepire, anche cose che i nostri sensi non sono in grado di sentire. A questa sfera appartiene quello che noi definiamo spirituale.
Noi testimoni di GEA pensiamo che la spiritualità sia parte fondante del nostro essere umani, perché ci permette di entrare in contatto con qualcosa che non possiamo sentire, vedere o toccare ma che esiste, e che attraverso il nostro spirito possiamo, appunto, PERCEPIRE.
Possiamo percepire GEA attraverso il nostro spirito ma anche — e lo facciamo ogni giorno, con ogni nostro gesto o azione — possiamo SENTIRE GEA, toccarla, FARNE PARTE e quindi, come da etimologia della parola, PARTECIPARE in GEA attraverso i nostri sensi.
Ecco perché GEA è sia materiale che spirituale».

È stata una lunga ricerca. Ce ne ho messo di tempo a leggere tutti i vostri post, a cercare di capire perché, perché scrivete certe cose... Cosa c’è dietro? Quali sono gli interessi superiori che vi hanno portato a costruire questo mondo fantastico? Cosa avete in mente, qual è lo scopo finale? Come ci guadagnate da ’sta storia qua?
E, soprattutto, quali sono i poteri forti che vi sostengono? Le banche, qualche società di marketing?
Porca vacca, brutti stronzi, ce la farò a scoprirlo! Vi sputtanerò.


Marco Mastroleo, Latina 27/12/2020

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 2 (il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

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Giorno 1 - La Luce

— Su, ragazzi, è ora di andare. So che è presto ma non possiamo perderci lo spettacolo.

— Zio, sappilo: ti odiamo!

Così il gruppo parte, è il 25 giugno 2040. Sono circa vent’anni che questa storia è cominciata ed è arrivata l’ora di raccontarla. Di raccoglierne i vari pezzi e comporli su una tavola, su una mappa. È arrivata l’ora di far capire ai figli perché le madri ed i padri li hanno condotti fin lì. 

È l’ora di fare luce. 
Ed infatti questo racconto inizia con la luce. Con un omaggio alla Luce. 
Alle 5,30 un autobus elettrico si ferma nel piazzale sottostante Monte Incenso. Scendono, assonnati e sfatti dalla levataccia, dieci adulti, dodici bambini… ed uno strano trabiccolo.

— Zio, ma perché abbiamo portato Fùfilo?

— Fùfilo è arrivato sull’isola prima di voi, abbiatene rispetto. È il mio robot da lavoro preferito. Mangia solo energia solare, non sparge feci in giro e porta carichi pesantissimi.

— Sì, certo, lo so cosa è un robot da lavoro, ce ne sono almeno cento sull’isola. Intendevo, perché proprio Fùfilo?

— Perché gli voglio bene...

— Ma è un robot! 

— E tu sei un ragazzino pettegolo. Zitto e cammina!

Ecco cosa intendevo prima, dicendo che quando immaginavo il futuro non lo pensavo così! Il futuro che immaginavo doveva per forza essere molto diverso dal mio presente: la catastrofe sarebbe arrivata. Quella famosa catastrofe che tutti gli autori di fantascienza raccontavano immaginando i loro mondi post-apocalittici sarebbe arrivata eccome! Quello che non sapevano era che non sarebbe durata un minuto o un giorno, ma anni... Una catastrofe sfumata nella quotidianità.

Invece, quello che nessuno scrittore aveva immaginato era che il nostro presente, il nostro benessere, le nostre comodità, il nostro punto di vista sul mondo, sarebbero sì stati stravolti dagli eventi ma non da eventi epocali e “magnifici”. Sarebbero stati eventi invisibili, quasi “normali”. Una rivoluzione dai contorni sfumati... Assomigliava più a quel famoso aneddoto della rana nella pentola d’acqua bollente: i cambiamenti avvenivano, erano drastici, erano tutto intorno a noi ma non riuscivamo a vederli. Li vedevano solo alcuni di noi, li vedevano solo alcuni scienziati ed analisti, e ce lo dicevano anche: attenzione, così non va! Il clima sta cambiando, la povertà aumenta, le epidemie saranno all’ordine del giorno. Ma noi niente: avanti dritto! Li prendevamo per inutili sirene, e continuavamo come se niente fosse: a consumare, bruciare, conquistare, strappare terra ai boschi, disboscare foreste e buttare veleni nell’aria e nelle acque. Un eterno Carnevale...

Raccontare, oggi, che un gruppo di persone può tranquillamente salire su un autobus, partire, portarsi appresso un robot e fare una lunga passeggiata, mi sembra la cosa più naturalmente futuristica del mondo: vivere serenamente, vivere bene tutti... Questa è stata la grande rivoluzione!
È questo che ho visto in questa scena. Sembra banale ma non lo è: guardo questo robot, Fùfilo, come lo chiamano, e penso a tutto questo... e dire che si tratta solo di un robot da lavoro!
Ci vuole circa mezz’ora di cammino di buon passo, rallentato dal fatto che il sentiero, immerso nel bosco, è molto stretto, pieno di arbusti e di rami che ti spingono di qua e di là quando ci passi a fianco ma, finalmente, il piccolo e silenzioso gruppo raggiunge la cima del Monte Incenso, 111 metri sul livello del mare (nel 2020 erano 112 ma con l’innalzamento del mare di 1 metro, negli ultimi anni...). Nella famiglia dei monti, Monte Incenso è un nano ma è comunque il punto migliore per godersi il panorama verso la terraferma. 

Devono camminare un altro po’ per arrivare nello spiazzo panoramico, il bordo della falesia che cade tra Cala Gaetano e Punta Incenso. Poco oltre, verso Nord-Est, c’è l’isolotto di Gavi, ma da qui si intravede solo il suo profilo. E così, sono le 6,20 quando arrivano dove volevano arrivare. È il luogo più alto dell’isola che affacci verso Est. Giusto in tempo per l’inizio dello spettacolo. 

È l’alba. 

— Ogni tanto mi piace venire qui all’alba. Questo momento, questo rito dell’aspettare il sole che bagna con la sua luce le foglie degli alberi... Questa luce che sottolinea i contorni del paesaggio, che fa sembrare la terraferma laggiù molto più vicina di quello che è, perché la stacca dal resto del paesaggio, quasi ad evidenziare le montagne, a spingerle verso di noi, verso Ovest... Tutto questo, quest’attimo in cui quello che fino a poco prima era sfocato e buio ESPLODE, mi ricorda perché sono qui! Da vent’anni ormai. Mi ripaga della fatica che facciamo ogni giorno. Vengo quassù e faccio il pieno di energia, come le foglie di questi alberi. 

Aurelio... È più forte di lui, non resiste: deve essere “sacerdotale” in tutto quello che fa. Se non fosse cresciuto negli anni 2000 ma nel 1800 sarebbe sicuramente diventato un prete, ne sono convinto! Eccolo che riprende il suo racconto. È il suo momento, perché è stato proprio lui ad inventare la parte essenziale del Progetto Clorofilìa. 

— Ragazzi, guardatevi intorno… Questi alberi li abbiamo portati qui noi. Prima che arrivassimo sull’isola, questa spianata era solo piena di arbusti non più alti della nostra spalla. Ed ora... Che bel bosco di lecci! Una meraviglia che ogni mattina si illumina e comincia la sua vita. 
Clorofilìa. Sapete perché ci chiamiamo così? Gruppo Clorofilìa, Progetto Clorofilìa? Perché siamo fan sfegatati della Clorofilla! La adoriamo! Pensate, se non esistesse la Clorofilla tutta l’energia che ogni giorno arriva dal sole verrebbe “sprecata”. Si trasformerebbe in calore, in moto sì, ma... non produrrebbe vita!
Alla base della vita sulla terra c’è la Clorofilla. Questa molecola meravigliosa. Parlo della vita complessa, ovviamente. Delle alghe, delle piante e, di conseguenza, di tutti gli organismi che di piante si cibano. Se non ci fosse la Clorofilla, oggi la terra sarebbe abitata solo da batteri e virus. 
Per questo mi piace venire qui la mattina, su questa rupe sopra Cala Gaetano, il punto dell’isola che si illumina per primo. A rendere omaggio a questo momento in cui si accende tutto. Quando il sole colpisce le foglie e le piante si mettono in funzione. E tutto può ricominciare. 

— Per questo oggi vi abbiamo trascinati qui a quest’ora. Vogliamo cominciare questa avventura sull’isola partendo da questo momento. Con questa Ode al sole ed alla Luce. 

— Papà, ma noi non siamo religiosi, perché dovremmo pregare il sole?

— Non preghiamo. Lo ammiriamo. E veniamo a goderci questo momento magico, che fa bene alla salute. Che poi, in fondo, cos’è la preghiera?

Dopo aver ascoltato questo racconto, ci sono andato anche io su Monte Incenso all’alba. Volevo capire perché per Aurelio e gli altri fosse un posto così magico.

Beh, anche il sorgere del sole è una “cosa” che diamo per scontata. Avviene da sempre, è gratis ed è lo spettacolo 3D più emozionante del mondo: l’alba ha sicuramente qualcosa di profondo, che ti spinge oltre quello che vedi.
Eh sì. È come pregare: è entrare in contatto con qualcosa di “altro” da te. In pochi istanti, la luce irrompe tutto intorno, trasforma il paesaggio, e trasforma anche un pezzo di te. Tutta la natura che ti circonda si riaccende. Quando sorge il sole, a Monte Incenso, dimentichi anche di essere su un’isola in mezzo al mare: in una lenta sequenza, illumina il profilo di Ventotene, di Ischia, del Vesuvio e poi della lunga striscia di terra della costa del Tirreno, fino al Monte Circeo e a tutte le catene montuose che gli stanno alle spalle. Non sembrano così distanti! Se allunghi la mano rischi anche di riuscire a toccarle. Un paio di bracciate e sei a terra. 

La luce dell’alba stringe tutto in un abbraccio. È veramente un momento mistico!

Perciò me li immagino così, i nostri, in quel momento. Dopo aver respirato l’alba tutti insieme, dopo aver celebrato la dea Clorofilla, in silenzio ed in fila, uno ad uno, si alzano e si rimettono in cammino all’interno del bosco, come in processione, imboccando il sentiero che scende verso Cala Fonte. Sono centoundici metri di discesa verso il mare, verso la cala più bella dell’isola di Ponza!

Per arrivare a Cala Fonte attraversano Cala Caparra, una piccola frazione del paese di Le Forna. Quella di Cala Caparra è davvero una storia strana: nacque grazie alla caparbietà di alcuni abitanti di Torre del Greco, che scavarono qui case e grotte picconando nel tufo. Così ora sembra di essere su Tatooine, in Star Wars. Campavano di pesca, ancorando le barchette a Cala Fonte. Il porticciolo è protetto da un grande scoglio ma per tirare le barche a secco i pescatori usavano leve e funi. Almeno fino a che non è iniziato il progetto Clorofilìa.

— Cala Fonte è la mia preferita! Aurelio mi ha portato qui la prima volta che sono venuta sull’isola. Eravamo nel 2020, eppure questo posto sembrava congelato ai primi del Novecento. Le rimesse scavate nella roccia, le barche legate con le funi... un Paradiso! Se ho scelto di rimanere a Ponza con Aurelio è perché qui ho respirato qualcosa che mi mancava: semplicità e contatto con la natura. 

— Sì, Arianna, almeno fino all’arrivo di “Spazzolo”, come lo chiamo io...

Arianna e Gino, sempre in contatto come due cavi elettrici: se si toccano bene, fanno correre energia, se si toccano male... sono scintille! Per quanto si possa parlare di scintille con Gino: è il classico caciarone e casinista che si trova in ogni gruppo che valga la pena definire tale. “Sfotte”, come dice lui, chiunque gli capiti a tiro. E Arianna è sempre a tiro di Gino, dato che lavorano insieme. Sono i due ingegneri dell’isola.

Arianna, dimenticavo, è la moglie di Aurelio. Il suo esatto opposto, ancora non ho capito come facciano a stare insieme!

— “Spazzolo” qui ci sta benissimo, è il suo posto! Lo abbiamo progettato proprio tenendo a mente i colori e gli spazi di questo porticciolo. E poi è di legno, elegante: bello!

“Spazzolo” è l’idolo dell’isola. Una nave robotizzata che ha lo scopo di tenere pulito il mare dalle plastiche, sia galleggianti che sommerse. I pescatori di pesce di Cala Caparra sono diventati anche pescatori di plastica e rifiuti. E a Cala Caparra smistano i materiali, fondono la plastica recuperata e spediscono tutto sulla terra ferma, dove inizia il riciclo.

— Mamma, quando sei arrivata qui avevi già in mente di creare Spazzolo?

— No, mi sono solo lasciata coinvolgere ed entusiasmare da questo sogno. E, soprattutto, ho capito che la mia laurea in Ingegneria robotica poteva servire a qualcosa di più che a costruire piccoli maggiordomi. Aurelio, papà, mi ha stregata... Ah, comunque, prima che qualcuno si inventasse di chiamarla Spazzolo, questa barca aveva un nome bellissimo!

— E vabbè, Arià... Jà, nun te a’ piglià! 

— Sì, sì... Dicevo, si chiamava PiBoat PRR: Plastic Identifier Boat for Plastic Recovery and Recycling, anche detto “PiBi”. Nato, cresciuto e pasciuto all’IIT di Genova, l’Istituto Italiano di Tecnologia.

— Ma vuoi mettere con “Spazzolo”? Nun c’è paragone! 

Cosa dicevamo del dialetto? Che, stranamente, sopravvive ancora nel 2040? Gino... Gino è il re del dialetto! Parla altre tre lingue, ma al suo dialetto napoletano non sa rinunciare!

Torniamo a “PiBi”, o “Spazzolo”: è stato sicuramente uno dei pezzi essenziali del progetto Clorofilìa. È nato da una constatazione: per star bene sulla terra, bisogna avere un mare sano e pulito. Così è stato sviluppato e costruito questo prototipo, in origine su misura per piccole isole, piccole realtà come Ponza. Poi il modello è stato replicato in grande scala e ora tanti... “individui” come lui, ma più grandi, vengono utilizzati nella pulizia degli oceani. Mega “Spazzoli”, che vagano per le acque del mondo. C’è da dire, però, che nessuno di questi fratelli giganti ha l’eleganza e la bellezza dell’originale!

Passano il primo pomeriggio chiacchierando, giocando e ridendo. Quando il caldo cala, il gruppo risale a Cala Caparra. Attraversano il piccolo pianoro, a due passi dalla falesia che affaccia su Cala Cecata, e proseguono il loro viaggio verso Sud. La prossima destinazione è un’altra falesia a picco sul mare, dove sorge Forte Papa. Pianteranno le tende lì e si godranno il tramonto con una vista meravigliosa su Cala dell’Acqua.

Mi piace l’idea che ogni angolo di quest’isola, di questo enorme “esperimento scientifico”, sia legato ad uno dei componenti di questo gruppo. 

Forse il segreto del successo del progetto Clorofilìa sta proprio in questo, nel fatto che ognuno abbia saputo ritagliarsi uno spazio ed un ruolo e che, alla fine, si sia creata una piccola famiglia allargata in cui i bambini chiamano tutti “zio” e “zia”. Anche questa è un’idea romantica... In un mondo in cui eravamo convinti che ogni uomo è un’isola, qui, sull’isola, nessuno è davvero isolato! 

Cala Caparra e Cala Cecata sono sicuramente legati ad Arianna e Gino, così come Forte Papa, e qualunque altro sito archeologico sull’isola, sono legati a Francesca.

— Chissà perché, ogni volta che veniamo qui, il nome di questo posto mi fa pensare a battaglie navali, scontri in acqua, guerre...

— Forse perché si chiama Forte Papa! A proposito, zia Francesca, perché si chiama così?

Francesca Belvecchio, inventrice di storie, narratrice seriale di fatti storici, è l’archeologa del gruppo. Dai racconti dei giganti alla storia del più piccolo dei piccoli pezzi di coccio dell’isola e di ogni suo singolo sperone roccioso: tutto passa per le sue mani, dalla sua mente e dalla sua bocca. E, come Aurelio, neanche Francesca resiste alla sua indole: deve raccontarle, quelle storie! 

— Sì, allora... Un certo Giuseppe Tricoli, nel 1855, in un libro dedicato alle isole pontine, scrive... Un attimo che lo pesco sul mio smartphone, voglio leggervi esattamente le sue parole... Eccolo! Dunque, Tricoli scrive:

«L’amena ed ubertosa contrada della Forna nella stessa Ponza, lungi cinque miglia dallo abitato, si rimaneva ancora deserta, perché i primi coloni erano retrosi ad avervi possedimenti, anche per la poca sicurezza. Vi rimediò il Regnante colla costruzione del Forte Papa sullo sporgente riguardante la romagna (la zona circostante Roma), e che domini quel seno di ricovero, con tre pezzi di artiglieria, e ponte alzante». In pratica, Tricoli ci racconta che, per poter garantire una certa sicurezza ai coloni di Torre del Greco che verso la fine del Settecento erano venuti a vivere su questo lato dell’isola, qui a Le Forna, Re Ferdinando di Borbone fece costruire Forte Papa. Forse però, in quello stesso punto c’era già stata una fortezza, del 1500 o 1600, voluta da Papa Paolo III. Ed ecco l’origine del nome.

— Ma da chi dovevano difendersi?

— Si, zia, daje con le storie di guerra... ci piacciono!

— Mentre la zia racconta, sediamoci “in riva al cielo”. Il sole sta per tramontare e da qui la vista è impareggiabile.

— Allora, la storia ci dice che Ponza è sempre stata utilizzata come punto di rifornimento di acqua dolce per le navi che circolavano nel Mediterraneo e, proprio per questo, qui si sono svolti tantissimi scontri con i pirati saraceni. Anche i pirati, infatti, usavano quest’isola per fare rifornimento e, già che c’erano, razziavano, rubavano e distruggevano tutto ciò che trovavano. Per questo Ponza non era un posto sicuro, la gente non voleva viverci e, spesso, diventava proprio un covo per i pirati, che partivano da qui per compiere le loro razzìe lungo le coste del Lazio e della Campania.
Anche il terribile pirata Dragùt dopo aver attaccato Reggio Calabria e Napoli giunse a Ponza, saccheggiò l’isola e fece rifornimento. Poiché Dragùt era considerato «il terrore del Mediterraneo», la Repubblica di Genova, per evitare che i pirati arrivassero a fare danni anche nei suoi territori, mandò l’Ammiraglio Andrea Doria a dargli battaglia. Le sue quaranta galee incrociarono le cento di Dragùt e, al largo dell’isola di Ponza, avvenne lo scontro. Era il 15 luglio del 1552. Fu una battaglia epocale, nella quale il famoso e rispettato Ammiraglio Doria venne sconfitto. Perse ben sette galee piene di soldati e Dragùt continuò a razziare lungo le coste di Sicilia, Sardegna e Italia per ben tre anni.
Gli attacchi dei pirati continuarono anche quando Ponza cominciò ad essere di nuovo stabilmente abitata. L’isola faceva parte del Regno di Napoli e la famiglia reale dei Borbone per ripopolarla dopo secoli di abbandono — le isole pontine erano state abitate durante l’epoca romana ma col passare del tempo erano tornate ad essere quasi deserte — fece arrivare qui intere famiglie, dando loro un pezzo di terra, una casa e la possibilità di sfruttare la caccia e la pesca. Per prima cosa arrivarono famiglie provenienti da Ischia e da Procida, che si stabilirono a Ponza Porto, poi arrivarono famiglie da Torre del Greco che si stabilirono qui, a Le Forna.
Per difendere l’isola e i suoi nuovi coloni furono fatte costruire torri e forti e furono inviate guarnigioni di soldati a difenderla. Questo accadeva nel corso del 1700, eppure l’ultima razzia di cui abbiamo notizia è avvenuta nel 1805! Fu allora che ai ponzesi, per difendersi, fu concesso di diventare “corsari”. Potevano così, con il permesso del re, attaccare le navi dei pirati, le cui incursioni col tempo divennero sempre meno frequenti. 

— Allora Ponza è l’isola dei pirati!

— Sì, direi proprio di sì. Ecco perché, ogni volta che vengo qui a Forte Papa e guardo il mare, nella mia mente vedo passare vele e galee all’orizzonte e immagino come sarebbe stato vivere in quel periodo.

I bambini sono a bocca aperta. È la prima volta che sentono questa storia. Quasi da non credere, se non fosse che quegli eventi li ha raccontati zia Francesca e a lei c’è sempre da dar credito. La loro casa era stata “l’isola dei pirati”!

Un po’ per tutte le storie che hanno ascoltato, un po’ perché il tramonto mette soggezione, con la sua imponenza, un po’, ancora, perché sono svegli dalle cinque del mattino ed hanno vissuto “a pieni polmoni” ogni singolo istante di quella giornata, i bambini ora sono tutti abbastanza stanchi. 

Il fatto di avere a disposizione tende hi-tech in fibra di carbonio, leggere, traspiranti e che, praticamente, si montano da sole, aiuta non poco il gruppo. Mentre alcuni si concentrano sull’allestimento di quel piccolo campo improvvisato, altri preparano la cena. Fùfilo corre di qua e di là distribuendo cibo, pentole, materassini gonfiabili e tutto quello che serve per la notte. Era tutto stipato sul suo dorso!

Prima di andare in tenda, dopo una rapida cena, Gino compie il suo rito di ogni giorno: si avvicina a Fùfilo, lo spegne e lo saluta con una carezza.

— Zio, lo so che sono un ragazzino pettegolo, però ho capito perché vuoi tanto bene a Fùfilo, anche se è solo un robot. Oggi l’ho capito!

— Grazie Ettore. Voglio bene anche a te. Buona notte, fai bei sogni. 

— Buona notte. 

Che poi, la vera rivoluzione che questo progetto ha portato al mondo sta nella sua normalità!


Marco Mastroleo, Latina 03/01/2021

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 4 (il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

Se non volete aspettare le prossime uscite e volete subito sapere come andrà a finire questa storia, scrivete una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. per acquistare il libro intero in formato e-book.

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Ringraziamenti:

Grazie a Giulia Santoro per il supporto ed i consigli. Fùfilo e Spazzolo sono semi invenzioni o counque sono ispirati ad esperienze reali che sta portando avanti l'IIT (https://iit.it/ ), se siete curiosi, andate a visitare il loro sito.
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PROLOGO

“Queste isole sono un grande parco giochi. Un passatempo per giganti, create per intrattenere esseri incredibili, immensi, di cui si è persa la memoria. Sono pezzi di mondo in cui è concesso cambiare l'ordine delle cose.

Così sono nate, e così sono ancora oggi. È per questo che ogni tanto vi racconto questa storia. Per non dimenticare in che posto ci troviamo: in una grande parentesi tra i fatti del mondo.

La prova? È lì, scolpita nella roccia. È rosso sangue, ed è il sangue del cuore di una donna.

Ponza è nata dal fuoco, da una esplosione di lapilli e lava, dal fumo e dalle dense polveri del vulcano. È stata forgiata da Efeso, dio del fuoco, in persona. È così che la immagino, alle origini.

Chiudo gli occhi ed è come se fossi lì, al momento della sua creazione: una grande colonna di fumo si sprigiona dalle acque, si gonfia nel cielo, si espande e poi ricade giù, portando con sé rocce e polveri e, strato dopo strato, compone queste isole come una torta millefoglie. Ed eccolo lì, Efeso, tenaglie e fuoco alla mano, a condurre fiumi di lava attraverso questa polvere di tufo, a creare dicchi di lava e pareti di roccia pura, le ossa delle isole.

Poi è arrivata l'ora dei giganti, i folli giganti.

Zeus gli aveva concesso di passare del tempo qui, per tenerli lontani dal resto del mondo. E loro hanno spostato queste pietre, hanno addolcito queste colline. Hanno scavato queste calette, hanno scolpito queste falesie…

Li vedo, qui, intenti a sudare e scavare a mani nude nel morbido tufo e con i picconi nella pietra lavica. A faticare e creare, follemente. Zeus li voleva lontani dal mondo, ed ha creato Ponza e Palmarola per dargli modo di tenersi occupati. Si riposavano dalle loro enormi, immense, straordinarie fatiche sdraiati sulla spiaggia di Frontone. Da lì, un giorno, uno di loro vide passare una nave, a bordo c’era una donna. Rimase a fissarla a bocca aperta, a lungo. Poi si gettò in acqua e con poche bracciate raggiunse l'imbarcazione. Strappò dal ponte quella donna meravigliosa e la portò sulla spiaggia.

Si chiamava Ilia, ed era davvero stupenda. Lunghi capelli castani e ricci, occhi profondi come il mare, bocca magnifica.

Ilia la bella si ribellò. Non voleva diventare l'amante di un gigante e non si concesse mai. Scappò in lungo ed in largo per l'isola fino a che, un giorno, il gigante la raggiunse e, in preda alla furia, le strappò via il cuore dal petto, lo lanciò sulla bianca parete della spiaggia di Frontone, dove l'aveva vista per la prima volta, e lo trafisse con una lancia, per lasciarlo appeso lì: un manifesto della sua follia.

Come i greci ci insegnano nei loro miti, le immense passioni, senza il controllo della razionalità, non possono che degenerare. Così era per il gigante, troppo grande per provare emozioni equilibrate, umane, era furioso e pazzo d'amore allo stesso tempo. 

Dopo questo gesto, il gigante si lasciò morire.

Il cuore di Ilia però, è ancora lì, sulla falesia, che gronda sangue, passione e immensità. Ora i ponzesi lo chiamano semplicemente 'o core.

Giungendo all’Isola, prima di attraccare nel porto, ci si passa davanti, quasi in processione. È un monito, un avvertimento per chi arriva: qui la bellezza può uccidere e le passioni si vivono intensamente, o non si vivono affatto!

Così siamo noi: pazzi, appassionati come quei giganti.

Solo, speriamo, meno irruenti!”.

— Zio, scusami, ci sono un po' di cose che non mi tornano in questo racconto! Per prima cosa: un gruppo di isole vulcaniche non può formarsi da un giorno all'altro, ci vogliono migliaia di anni di piccole eruzioni che emettono materiale un po' per volta, come a Stromboli. E poi, se fossero state scavate dai giganti, si vedrebbero i segni dello scavo, come nella galleria romana vicino casa…

— E poi, se 'o core fosse davvero un cuore, sarebbe… di carne, col sangue insomma… Quindi con gli anni dovrebbe diventare nero, non rosso, giusto?

— Bambini, per una volta, non potevate lasciare intatta la magia della narrazione? Cavolo!

— Vabbè Aurelio, ci hai provato, onore al merito. Ci provi sempre… È che questi sono troppo razionali.

— Più scassionali direi!

— Oggi avevi anche creato la scenografia... racconto intorno al fuoco: niente male!

— Se non si de-razionalizzano così, cos'altro posso inventarmi?

— Certo, nel racconto ci potevi mettere qualche termine scientifico in più, tipo, che ne so: flusso piroclastico, o cono vulcanico… Non hai neanche specificato dov'è la caldera del vulcano, che t'aspetti?

— Ah ah ah…

— È che vivere su quest'isola, così, come noi, ha i suoi pro ed i suoi contro.

— È che questa generazione è diversa dalla nostra. Sempre a spaccare il capello in quattro su tutto. Non riescono proprio a staccare la spina della ragione ed a sognare un po'.

— Fantasticare…

— Sì, fantasticare. Cosa sarebbe stato di noi se, oltre alla nostra scienza, non avessimo usato la fantasia, nella vita?

— Non saremmo qui.

— Infatti, non saremmo qui!

— A raccontare storie antiche per far volare i nostri figli un po' più in alto, oltre i limiti che impone il confine di questa piccola terra.

— Ahó, che poesia!

— Uhm…

— Comunque, è normale che un gruppo di bambini, cresciuti su un'isola in mezzo al mare, ad almeno un'ora di nave dal resto del paese, figli di un gruppo di scienziati…

— Scienziati!? Quello è un ingegnere, quell'altro un antropologo, l'altro un contadino…

— Agronomo!

— Vabbè…

— Dicevo: un gruppo di scienziati… e tecnici. Va bene? Dei bambini così non possono che essere influenzati dall'arte della razionale sopravvivenza che i loro genitori mettono in campo ogni giorno, da prima che loro nascessero!

— Certo, è vero! Sentono sempre e solo parlare di "trovare una soluzione per…". Come possono lasciarsi andare alla fantasia?

— Sì, bella la storia dei giganti raccontata intorno al fuoco, di notte. Fico! Bella idea. Però, mi sa che dobbiamo inventarci qualcos'altro!

— Idea: prendiamoci tre o quattro giorni di pausa. Attraversiamo l'isola a piedi. A caccia di storie e di racconti antichi. Anche non veri, inventiamo!

— Bella idea, sì! Dormiamo all'addiaccio, cantiamo, parliamo e inventiamo storie. Mi piace!

— E bravo l'antropologo… approvato!

— Ok. Deciso allora: gli trasmetteremo un po' della nostra fantasia, lontano da tutto quello che abbiamo costruito.

— Sì, facciamogli vedere quello che abbiamo visto noi quando siamo arrivati qui e perché abbiamo cominciato a sognare…

Che non tutto sarebbe andato secondo i piani, i nostri scienziati avrebbero dovuto sospettarlo! Sapevano con chi avevano a che fare. Anche se, a dire la verità, secondo me la storia intorno al fuoco, l’atmosfera antica, il rumore del mare di sottofondo non erano solo per i bambini. Aurelio e i suoi erano sì preoccupati di regalargli un po’ di romanticismo ed una visione del mondo meno razionale ma, forse, ne avevano bisogno anche loro: avevano bisogno di un po’ di leggerezza!
È il 2040, siamo nel bel mezzo della crisi climatica più grande che il mondo abbia mai affrontato e pochi come loro hanno provato a fare qualcosa di concreto.
Quando vent’anni prima immaginavamo il futuro le opzioni possibili erano sostanzialmente due: post-apocalittico per i più pessimisti, me compreso, o iper-tecnologico. Ci immaginavamo ibernati, in crociera su una nave spaziale “supermegagalattica”, in viaggio verso un altro mondo abitabile o qualcosa del genere, dalle parti di Alfa Centauri. Oppure, più o meno contemporaneamente, ci vedevamo vestiti da soldati medievali, con stracci anni Novanta e spade realizzate con frammenti di acciaio, reduci da una catastrofe di qualche tipo, in lotta per la sopravvivenza. E i due scenari potevano anche essere contemporanei: quelli “fichi”, intelligenti e dotati di geni buoni, in viaggio verso Alfa Centauri, per salvare la razza umana; gli sfigati ad ammazzarsi sulla terra, magari sotto il controllo dittatoriale di qualche macchina diabolica o di qualche scimmia transgenica. E invece niente, nessuna delle due!
Sopravviviamo, come prima: ci spostiamo in auto come prima, mangiamo cibi industriali come prima e, come prima, accompagniamo il tutto con “fighettissimi” vini di alta qualità o popolari birre artigianali. E ci cambiamo mutande e maglietta tutti i giorni… manco questo è cambiato!
Neanche una tutina super hi-tech che cambia colore con la forza del pensiero ci è toccata!
Un futuro noioso e triste, secondo qualche sceneggiatore di Hollywood…
E invece no, perché tutto sommato stiamo bene. Non dobbiamo scannarci per la sopravvivenza, le macchine non hanno preso il sopravvento e non siamo morti tutti (o quasi) durante una qualche catastrofe!
E se il “futuro” che viviamo è diverso da come lo avevamo immaginato non significa che non è cambiato niente, che tutto è fermo al 2020. Non significa che questo futuro sia meno “futuro”. Solo, è andata meglio del previsto!
Che poi me lo chiedevo sempre vent’anni fa, in qualche raro sprazzo di ottimismo: ma perché deve per forza andare tutto male? Perché l’unico scenario ipotizzabile deve essere per forza quello di un’umanità post-apocalittica o controllata dalle macchine? Perché non riusciamo ad immaginare che potremmo addirittura imparare dai nostri errori? Che potremmo anche, ogni tanto, risolverli, un po’ di problemi. Magari se cominciassimo a prendere in seria considerazione la scienza…
Questo pensavo, e credevo di essere solo.
Mi sentivo solo.
Invece c’erano loro, Aurelio e i suoi, che quel futuro diverso, nel 2020, stavano già iniziando a costruirlo. Sapevano sognare…
A dire il vero, a raccontare storie romantiche Aurelio ci aveva già provato, ma con scarsi risultati:

“Da anni, qui a Ponza, facciamo campagne informative per i pescatori, invitandoli a fare attenzione, a praticare la pesca sostenibile e, soprattutto, a non trascinare nelle reti delfini, tartarughe, squali ed altri animali che, purtroppo, nelle reti, ci finiscono per sbaglio. Ma, a volte, le storie possono più degli slogan. Infatti, nella coscienza dei ponzesi era già molto presente il rispetto per i grandi abitanti del mare: se lo tramandavano di generazione in generazione attraverso il racconto dei tre pescatori e del delfino.

Raffaele e Carmine avevano, insieme al fratello Amerigo, una barca da pesca, costruita nei cantieri di Santa Maria, dove abitiamo noi. Un giorno, uscendo a pesca, vicino agli scogli delle Formiche avevano incontrato un bel banco di pesci. Sardine, mi pare. Ed avevano calato le reti. Purtroppo però, oltre alle sardine, avevano tirato a bordo anche un delfino. Subito cercarono di liberarlo, districando la rete e tagliandola in più punti, e nel frattempo lo bagnavano continuamente con delle secchiate d'acqua. Il povero delfino, all'inizio, si dimenava e si lamentava. Poi, una volta capito che i tre stavano cercando di aiutarlo, si calmò. Dopo un po' di tempo riuscirono a rimetterlo in acqua ma il delfino, invece di prendere il largo, continuò a seguire la barca, come per ringraziarli per quel favore. Il giorno dopo, quando i fratelli uscirono a pesca, lo trovarono ad aspettarli e lo seguirono in mare. Si sa, i delfini sanno sempre dove c'è abbondanza di pesce!

Da quel giorno, i tre pescatori cominciarono a tornare in porto con la barca sempre piena di pesci, anche quando gli altri tornavano a mani vuote. Svelarono il loro segreto solo dopo che il delfino fu morto e loro furono troppo anziani per poter uscire a pescare.”

— I delfini non esistono! Io non li ho mai incontrati, quindi non esistono! Sono una leggenda!

— Zio, i delfini sanno dove c'è tanto pesce? Come lo sanno? Cioè, che senso usano?

— Ma no. Non ci credo! Non è possibile che due uomini seguano un delfino tutti i giorni. I delfini vivono in branco. Perché questo ha deciso di vivere isolato? Una volta libero poteva tornarsene dagli altri, non dovevano essere troppo lontani! Questa storia non regge.

— Infatti, non è credibile!

— Infatti, neanche esistono i delfini…

— Bambini è una storia, una leggenda, serve ad insegnare qualcosa, non per forza deve essere vera.

— Almeno un po' credibile, però. Almeno questo!

— Ma, secondo voi, questa cosa dei delfini che sanno sempre dove c'è pesce si può sfruttare?

— Wow, sì! Bella idea. Se li seguiamo, possiamo raggiungere i banchi migliori!

— Almeno questo, della storia che ci ha raccontato zio, è vero!

— Nooo, i delfini non esistono! Chi li ha mai visti?! Viviamo su un'isola in mezzo al mare e non li abbiamo mai visti. Possono esistere secondo voi?

— Potremmo montare un GPS su uno di loro e seguirlo, ogni giorno, per trovare il pesce!

— No, e se poi quel delfino su cui montiamo il GPS si rimbambisce, come quello della storia, e non va più col branco? Non ci indica più dove sono i banchi di pesce…

— Sì infatti, troppo rischioso. Bisogna seguire tutto il branco.

— E ci vuole un metodo che non gli faccia del male.

— E non possiamo spaventarli, altrimenti scappano. Così peschiamo bene un giorno, ma poi non li troviamo più!

— Sì, bisogna seguirli e pescare con loro senza farci vedere, o almeno, senza dare fastidio.

— Droni! Seguiamoli con i droni, che ne dite?

— Sì! Droni con una telecamera ad ultrasuoni, che emettiamo per sentire il richiamo dei delfini. I suoni li troviamo su internet. Quando il drone ne scova uno, ce lo segnala…

— E come peschiamo silenziosamente?

— Ci vuole una barca elettrica, silenziosa.

— E le reti? Se caliamo le reti rischiamo di pescare anche i delfini, come nella storia!

— Dobbiamo fare delle reti a forma di imbuto, che non lascino passare i delfini.

— Prendete un tablet, dai! Andiamo a progettare …

— Sì, sì, progettate. Tanto i delfini non esistono!

Ci aveva provato ancora e ancora e dopo l’ennesima storia, quella sui giganti folli, con cui avevano finalmente mandato a dormire quei bambini così poco propensi ad usare la fantasia, me li immagino così, a chiacchierare intorno alle ceneri del fuoco:

— Che razza di bestie abbiamo cresciuto? Gli raccontiamo storie di delfini e loro progettano macchine. Altri bambini sarebbero rimasti a sognare ad occhi aperti di fare amicizia con un delfino, di nuotare con lui, di parlarci, che ne so?! Loro? Loro no, loro progettano! E se gli racconti storie di giganti e di vulcani cercano il cavillo, l’inesattezza scientifica e tecnica!

— Ci vuole proprio, questa camminata tutti insieme. Bella idea. Anzi, penso sia davvero urgente. Dobbiamo renderli un pochino più… umani. Dobbiamo insegnargli la passione, quella più profonda, quella irrazionale, che muove il mondo…

— È la nostra storia, in fondo. Il motivo per cui siamo qui è molto legato alla passione irrazionale. Quanti uomini e donne sani di mente avrebbero scelto questa vita? Forse, se i protagonisti del racconto diventiamo noi, se le storie diventano quelle che abbiamo realmente vissuto, riusciamo davvero ad appassionarli!

— Io direi di preparare tutto e partire domani.

L’idea del viaggio è nata così, e mi piace lasciarla intatta, nel momento della sua creazione. Un trekking per raccogliere storie e raccontarle. Le loro storie e quelle di questa piccola isola che ha contribuito a cambiare il corso degli ultimi venti anni grazie al progetto Clorofilìa. Mi sarebbe piaciuto molto farne parte ma, purtroppo, sono arrivato troppo tardi. Posso solo limitarmi a raccontarvelo, riportando come sono andate le cose.
Insomma, farò il cronista, come si faceva per i viaggi del passato. È un’idea romantica, mi piace.
E, quindi, partiamo …

Marco Mastroleo, Latina 20/12/2020

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 1 (il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

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Ringraziamenti:

Grazie a Giulia Santoro per il supporto ed i consigli ed ai racconti del mitico libraio di Ponza, Silverio Mazzella, che mi hanno ispirato per le vicende del Gigante e dei pescatori.

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