Clorofilia

Clorofilia Podcast

da un racconto di Marco Mastroleo

Come funziona il podcast e dove lo trovo?

Un gruppo di scienziati ed i loro figli attraversano a piedi l'Isola di Ponza, alla scoperta del “progetto Clorofilia”. La Ponza di Clorofilia, nel 2040, è un laboratorio a cielo aperto, un esperimento di adattamento al Climate Change.

Il viaggio, si intreccia con la storia dei Testimoni di GEA, una nuova religione nata sui Social.
Che rapporto c’è tra le due storie? Lo scopriremo durante l'ascolto.

La Ponza di Clorofilia è un espediente narrativo, un esperimento mentale per immaginare come potremmo essere tra 20 anni!

In più, un'appendice: una serie di interviste a scienziati e storici che ci guidano in questo lungo viaggio.

Il  Podcast è tratto da un racconto pubblicato su questo Blog tra 2020 e 2021.
Lo trovi qui di seguito

Indice:

Sinossi

1: Prologo (20/12/2020)
2: I Testimoni di Gea, parte 1 (27/12/2020)
3: Giorno 1, luce  (3/01/2021)
4: I Testimoni di Gea, parte 2 (10/01/2021)
5: Giorno 2, acqua (17/01/2021) - Parte 1
5: Giorno 2, acqua (20/01/2021) - Parte 2
6: I Testimoni di Gea, parte 3 (24/01/2021)
7: Giorno 3, fuoco (31/01/2021)
8: I Testimoni di Gea, parte 4 (7/02/2021)
9: Giorno 4, piante (14/02/2021)
10: I Testimoni di Gea, parte 5 (21/02/2021)
11: Giorno 5, tecnologia  (28/02/2021)
12: I Testimoni di Gea, parte 6 (7/03/2021)
13: Giorno 6, città (14/03/2021)
14: Epilogo (21/03/2021 - primo giorno di primavera)

GIORNO 4: LE PIANTE

Le emozioni stancano quasi quanto il mare. O forse le emozioni ed il mare sono la stessa cosa per chi vive su un’isola. Fatto sta che il giorno seguente, il quarto giorno dall’inizio del viaggio, il gruppo è fiacco, provato. Dopo una giornata come quella trascorsa, alzarsi e cominciarne una nuova è complicato. È duro riprendere il cammino e lasciarsi coinvolgere da altro.

In questi casi, in un gruppo, per sollevare l'umore, ci vuole una vitamina. La vitamina di Clorofilìa, oggi, è la “vitamina S”. Sara prende in mano la situazione e prova a riportare energia. È la matematica del gruppo, sconclusionata e distratta, quasi sempre. Fricchettona, direbbe Gino. Eppure, in una giornata come questa, è proprio della grinta di Sara che c’è bisogno.

Sara Li Conti, moglie di Flavio, quando ha bisogno di darsi una motivazione, canta! Così comincia a cantare. A squarciagola! Il punto è che nessuno capisce cosa canti davvero. È come quando ci si ficca in testa il ritornello di una canzone in inglese della quale non si conoscono le parole. Viene fuori una specie di lingua primordiale, un misto di tutte le lingue del mondo, che di certo non è inglese, e della canzone a cui vuole assomigliare ha solo qualcosa che ne ricorda la melodia.

Tutti cantano così, in privato, e non lo farebbero mai in pubblico. Tutti tranne Sara! Sara canta, e canta a squarciagola, e attraversa il campo improvvisato cantando in questo modo assurdo.

Ridendo e facendosi coinvolgere, tutti si mettono in movimento, cantando. Cosa cantino lo sanno solo loro, ma cantano, e questo è ciò che conta! La "vitamina S" ha funzionato.

Cala Feola, per una mattina, oltre ad essere un campeggio, diventa il luogo in cui nascono nuove lingue! Ognuno ci mette del suo. In pochi minuti, tutti cominciano a fare colazione ed a prepararsi per affrontare questa nuova giornata. Ridendo.

Chi prepara un caffè sulla cucina elettrica ad induzione collegata a Fùfilo (ovviamente frutto dell’ingegno “praticone” di Arianna), chi mangia biscotti in riva al mare e chi, come Michele, che dal mare non riesce a stare lontano, si tuffa per “darsi la sveglia”.

Nel piccolo campo non manca nulla, grazie a Fùfilo. Quella dei robot è stata la più grande innovazione di questi ultimi anni. Hanno rivoluzionato la vita quasi quanto i cellulari e gli smartphone negli anni Duemila. Fùfilo trasporta pesi, ha una grande batteria a cui collegarsi per ricaricare i vari congegni elettrici o elettronici, non si lamenta mai ed arriva dappertutto. I robot da lavoro sono entrati prepotentemente a far parte della vita quotidiana di quasi tutti, se ne trovano di mille tipi in giro per il mondo. Qualcuno li tratta come animali domestici e se li porta “a spasso” come cani… i soliti deviazionismi dell’essere umano…
E pensare che, ancora nel 2020, intorno alle macchine ed all’intelligenza artificiale c’erano un sacco di pregiudizi. Noi uomini siamo, inconsciamente, talmente spaventati dalla nostra capacità di distruggere, dominare e sottomettere, che “proiettiamo” questo timore nei confronti delle macchine, come se portare distruzione e imporre dominio e sottomissione fosse una loro prerogativa, non nostra. E, così, finiamo con l’esserne spaventati . Ma le macchine non sono così, non sono umane. E fino ad ora, con loro, è andata decisamente bene.
Un campo “leggero” come questo non sarebbe stato possibile fino a pochi anni fa se non caricando sulle spalle di tutti grandi pesi e attrezzature. E invece, è il quarto giorno di cammino e sono tutti freschi, ben nutriti e non troppo stanchi. 

Sono pronti, inizia una nuova giornata. In marcia, ché si va!

Sara guida il gruppo. Risalgono da Cala Feola fino a raggiungere Campo Inglese, sotto Monte Tre Venti. Da lì si vede tutta la “cresta” dell’isola.

– Questa diavolo di cresta è stata il mio incubo per ben tre anni!

– Perché zia Sara?

– Perché è il punto in cui è stato più faticoso sistemare il nostro acquedotto. Conoscete la storia dell’acquedotto, vero? Bellissima, ambiziosa… «Il recupero dell’ingegno dei Romani al servizio del futuro». Zio Aurelio è un mago nel creare slogan… però, senza di me ed i miei calcoli, i nostri magnifici scienziati starebbero ancora lì a scavare, sperando di recuperare qualche goccio d’acqua da una struttura fatiscente!

– Dai, Sara, non puoi giocartela così. E che cavolo! Offendi la nostra dignità di archeologi!

– Francesca, nessuna offesa. Lo sappiamo bene tutti, qui. Aurelio è un genio, un visionario, il regista di tutto questo… Ma non ha la più pallida idea di come si faccia a fare qualunque cosa di pratico! E tu, tu sei stata la mente sopraffina che ha guidato tutto. Senza i tuoi progetti ed i tuoi studi non sarebbe stato possibile rimettere in funzione un acquedotto fermo da 2000 anni. Bisognava studiare le tecniche, le murature, le tradizioni che hanno seguito i Romani nel costruirlo, leggere le strutture… Però…

– Alt, fermi tutti! Pausa. Qui manca la premessa!

– Eccolo… Attacca, Aurè!

– Gino, per piacere, un minuto! ’Sti ragazzetti manco se l’immaginano come funzionava qui, sull’isola, prima di Clorofilìa!

– Che intendi, papà?

– Elettra, sai da dove prendevano l’acqua i ponzesi fino a quindici anni fa?

– Dalle sorgenti?

– Sorgenti? No, con c’erano più sorgenti sull’isola. Tutte estinte! La prendevano da Formia.

– Se, vabbè! È impossibile! E come facevano a portarla qui? Con un acquedotto sottomarino?

– Bella questa! No, l'acqua arrivava in nave, tutti i giorni.
I bambini rimangono a bocca aperta: in nave?

– Sì, ogni giorno una nave con un mega-serbatoio arrivava qui sull’isola ed attraccava vicino al porto, o vicino a “O’ Core”, in base a come tirava il mare, si collegava con un’enorme proboscide all’acquedotto dell’isola e pompava l’acqua in circolo, portandola dappertutto.

– Vabbè, non è possibile. È un sistema assurdo!

– È esattamente quello che ho pensato io. Mi sono detto: se Ponza, in passato, come vi ha raccontato Francesca due sere fa, è sempre stata un attracco per fare rifornimento di acqua, perché adesso deve avvenire esattamente il contrario? Perché prima l’acqua c’era e ora non c’è più?

– Eh! Perché?

– Perché i ponzesi avevano dimenticato come fare per recuperare tutta l’acqua che scorre nelle vene dell’isola.

Un attimo! Pausa.
Non amo interrompere il “flusso” di parole ed emozioni che sono scaturiti in questo viaggio. Mi piace lasciare la storia così com’è, come “è uscita” dalla realtà. Però, a questo punto, è importante che dica qualcosa.
La giornata era cominciata lenta e assonnata, un po’ in sordina, ma, arrivati qui sulla cresta, la storia ha assunto tutto un altro sapore.
Fino ad ora non abbiamo mai parlato realmente di cosa sia Clorofilìa. Di cosa significhi davvero questo progetto e di come sia nato. E soprattutto: perché qui a Ponza? Perché così tanta ostinazione?
Proprio per questa idea incredibilmente romantica (anche in senso letterario) del recupero dell’acquedotto. È stato questo il centro del progetto, il filo conduttore, l’anima di tutte le altre idee. Il discorso si fa eccitante! 

Quindi interviene Chiara, è la sua materia.

– Se non ci fosse acqua, non potrebbero esserci gli alberi, e i fiumiciattoli che si gonfiano durante le piogge. Non si potrebbe fare agricoltura. Se non ci fosse acqua, Ponza sarebbe un’isola deserta! Ma così non è, e così non era prima di Clorofilìa. L’acqua c’era, solo che bisognava andare a prenderla nei posti giusti. 

– Ed in questo i Romani erano dei maestri! Avevano imparato tutte le tecniche nate tra Mediterraneo e Medio Oriente in millenni di ingegno, ed erano bravissimi nell’applicarle sempre nel modo migliore.

– Esatto, Francesca. Ho pensato esattamente questo quando, con Michele, siamo venuti qui per la prima volta, in vacanza: se lo sapevano fare i Romani 2000 anni fa, perché non possiamo farlo noi?

– Così, tornati a Roma, io e Aurelio abbiamo cominciato a parlarne con tutti: professori, imprenditori, colleghi, amici. Era diventata la nostra mania. Così abbiamo conosciuto te, Francesca. Ti ricordi? Ti hanno presentata come “un genio dell’architettura romana”, la regina degli acquedotti!

– Michele, se non fosse stato per il fatto che mi sei sempre subito sembrato simpatico … carogna … non vi avrei neanche ascoltati.

– Eppure, dopo ben tre anni di scavi, restauri e progetti faraonici, di questo acquedotto non funzionava ancora nulla!

– Sara, stai smaniando… Ti scappa proprio, devi raccontarlo tu! Dai, sfogati!

– Grazie, Aurelio. Mi scappa, lo ammetto, devo raccontarlo io… Come sapete, sono una matematica. E, vi chiederete, che ci fa una matematica su un’isola, a recuperare vecchi acquedotti? Mi piacciono le sfide. Ecco tutto! Un giorno, mentre ero in giro con Flavio, abbiamo preso un caffè con Aurelio e Michele, in un bar vicino all’Università. I due, poveri, si sfogavano di come questa cosa, per quanti soldi ci stessero spendendo, proprio non funzionava. Flavio, che ora è mio marito, lo sopporto da quando aveva 23 anni e mi ha sempre ossessionato con i suoi calcoli su quanta acqua consumassero le piante, sulla importanza dell’irrigazione fatta bene, eccetera. Roba da agronomi! Il difetto di questi uomini, questi tecnici, è che non riescono mai a vedere le cose nel loro insieme. Lavoro che spetta agli scienziati puri, come noi matematici. E glielo dissi subito: “Vi mancano le piante! L’acqua piovana scorre via veloce, senza riuscire a fermarsi nelle maglie dell’acquedotto” . Mi guardarono come tre pesci: a bocca aperta.

Così, la mania di Aurelio, Michele e Francesca, divenne anche la nostra mania, mia e di Flavio: trovare il modo per rimettere in funzione l’acquedotto romano di Ponza!

– Fermi tutti. Mo parlo io. Questa è roba mia! Lo sapete perché si chiama “progetto Clorofilìa”?

– Per quello che ha detto zio Aurelio il primo giorno! Perché dipendiamo tutti dalla clorofilla, che trasforma la luce in energia e nutrimento per gli esseri viventi…

– Sì, certo, Mattia. Giusto! Però, il nome Clorofilìa, all'inizio, indicava solo una parte di questo progetto: la riforestazione. Come diceva Sara, per far funzionare l'acquedotto, per raccogliere bene l'acqua piovana, servivano radici, tante radici! Ma a Ponza c'erano per lo più cespugli di macchia mediterranea. Bellissima, ma poco efficiente nel trattenere acqua. Servivano alberi, tanti, tanti alberi.

– Scusate se mi intrometto, ma come fanno queste povere creature a capire queste storie se prima non gli spieghiamo come funzionava l'acquedotto al tempo dei Romani?

– Infatti Zia Fra, come?

– È facile! Cioè, spiegarlo è facile. Per capirlo, però, ci sono voluti anni di studio e di riflessione… Eppure, in passato, le cose più efficienti erano anche le più facili da capire.

– Daje, Francè!

– Grazie, Gino…

E tutto questo, questo dialogo concitato, avviene sotto il sole cocente di giugno, lungo la strada, mentre i nostri “matti” si sorpassano, si sovrappongono, si spingono come marmocchi. Come se fossero ad un convegno, smaniando per poter parlare. Ed invece stanno solo raccontando la loro storia ai loro figli, il loro pubblico migliore…
Francesca domina tutti con la sua “logica”.

– Primo: a Ponza, in epoca preromana c'erano solo due sorgenti, molto piccole e più o meno abbondanti in base alle piogge invernali. Più pioveva d'inverno, più acqua sgorgava dalle sorgenti. Poi, in epoca romana, qui arrivarono un sacco di persone, e le due sorgenti, da sole, non bastarono più a dissetare tutti. Bisognava trovare una soluzione.

Secondo: a Ponza, durante l'anno pioveva, e piove, poco, quindi raccogliere l'acqua piovana con i tetti delle case, con i terrazzi e, per caduta, accumularla nelle cisterne , era una buona soluzione ma, ancora una volta, non era sufficiente. Tutte le case antiche di Ponza avevano la loro piccola cisterna ma spesso non bastava per tutta la stagione secca.

Ed ecco la riflessione che hanno fatto i Romani, secondo me: se i tetti delle case non bastano a recuperare l'acqua necessaria, facciamo diventare TUTTA L'ISOLA un enorme tetto per raccogliere l'acqua quando piove… 

E ancora: qui le piogge sono intense, anche se piove pochi giorni all’anno, dunque l' “Isola-tetto” può captare tanta acqua. Ma proprio perché le precipitazioni sono concentrate in poco tempo, non solo bisogna raccogliere l’acqua quando cade ma bisogna anche conservarla da qualche parte per quando servirà!

– Ho capito! Zia Fra, ho capito! Hanno costruito delle cisterne enormi, come quelle che usavano per le case, ma molto, molto più grandi. Per raccogliere tutta l'acqua che l’Isola-tetto raccoglieva durante le piogge!

– Bravo, Mattia. Proprio così, sia a Ponza Porto che negli altri abitati ci sono cisterne antichissime. Però, non mi avete detto come hanno fatto a trasformare l'isola in un’Isola-tetto!

– Con gli acquedotti, è ovvio! Ce l'ha detto zia Sara prima.

Mattia è il più piccolo del gruppo, insieme a Luca. È il figlio di Chiara Pietrabella, del padre di Mattia nulla è dato sapere. Mattia è allegro e vivace, non sta fermo un attimo, parla molto velocemente e ha due occhi intensi che lo fanno sembrare sempre sorridente. Mattia ascolta poco, di solito. Ma questa storia no! Questa è la “loro” storia...

– Sì, Mattia. Però, prima abbiamo detto anche un'altra cosa, che l'acqua scorre "nelle vene" dell'isola…

— Quindi l'acquedotto funziona come il sistema circolatorio umano, l’acqua passa dai vasi più piccoli a quelli più grandi e viceversa...

— E le cisterne sono come il cuore... Fico!

– Ettore, mi sto commuovendo, da quando sei nato, questa è la prima volta che pronunci una frase poetica. Potrei svenire…

– Papà, il sistema circolatorio è "scienza"...

– Non ce la faremo mai...

La risata del gruppo rimbomba sotto Monte Tre Venti. Tutti sono allegri ed eccitati, nonostante la fatica ed il caldo. Per gli scienziati parlare del proprio lavoro è particolarmente soddisfacente. Non si capisce se siano più infantili loro o i bambini, in questa gara a chi ne racconta di più... È proprio vero, è nell'acquedotto che scorre il sangue dell'isola, quel sangue che le dà la vita...

Francesca riprende.

– Proseguiamo un po’, mentre continuiamo il racconto. Avviciniamoci alla cresta che affaccia sulla Spiaggia di Lucia Rosa... È come avete detto voi. L'acquedotto serve a portare l'acqua nelle cisterne.

Sotto i nostri piedi, in ogni punto dell'isola, c'è una serie di piccoli tunnel alti poco più di sessanta centimetri: servivano a “risucchiare” l'acqua che, con le piogge, cadeva sul terreno soprastante, perché non si disperdesse nel sottosuolo. Questa enorme rete di “capillari” confluiva nell'acquedotto, e da lì, l'acqua andava a finire nelle cisterne.
Sono questi piccoli tunnel, chiamati “opere di presa”, che hanno reso l'isola un'Isola-tetto!
Per rimettere tutto in funzione, abbiamo dovuto riparare l'acquedotto, ricostruirlo in molti punti e, opera ancora più impegnativa, pulire e scavare nuovamente tutte le opere di presa. Pensate che, ora, c’è una squadra di operai che, ogni giorno, controlla che questi “capillari” siano puliti ed efficienti e, se serve, ne scavano di nuovi. È un'opera colossale…

– Eppure, come ha detto la mia nobile e geniale consorte, questo non era bastato...

– Flavio smettila, sei un cretino... Racconta degli alberi, dai. È il tuo momento!

– Certo cara, obbedisco cara. Dicevo: è qui che è nata davvero Clorofilìa. Proprio qui, in questo punto. Quel cretino di Michele stava minacciando di lanciarsi in mare, come aveva fatto Lucia Rosa...

– E ci credo, Flavio: eravamo disperati! Lucia Rosa si è buttata perché la famiglia non voleva che si maritasse con un contadino, io volevo buttarmi perché avevo a disposizione SOLO un contadino per risolvere la questione dell'acquedotto...

– Sei veramente un idiota...

– Zio, come faremmo senza le tue scemenze? Però è triste scherzare sull'amore di Lucia Rosa. Dai, è una bella leggenda. I faraglioni più romantici dell'isola sono proprio quelli. Io mi commuovo, ogni volta che ci passiamo vicino…

– Laura, parli sul serio? Anche tu sei umana? No, vabbè, il mondo si sta capovolgendo...

– Aurelio e Michele, per favore, fatevene una ragione e lasciatemi parlare! Senza questo “contadino” e senza quel genio di mia moglie stareste ancora a scavare canali nel tufo... E ringraziate, anzi, ringraziamo tutti, questi stupendi alberi, che ci permettono di camminare al fresco e non cucinandoci sotto il sole, come succedeva prima di Clorofilìa. Eh già. Nel giro di cinque anni, su quest'isola abbiamo piantato quasi OTTOCENTOMILA tra alberi ed arbusti, soprattutto qui sulla cresta e nelle valli. Abbiamo fatto il contrario di ciò che hanno fatto i Romani. Loro l'hanno disboscata, noi l'abbiamo “ri-boscata”. Erano dei geni, grandi ingegneri è vero, ma anche loro hanno fatto enormi danni ambientali.
Clorofilìa era il nome del sito internet che abbiamo aperto per autofinanziarci questa mega-operazione. Come sapete, ogni pianta dell'isola ha un nome, inciso su una targhetta di metallo “inglobata” nella corteccia. È il nome del genitore adottivo di quella pianta. Su Clorofilìa abbiamo messo in vendita la nostra idea. Abbiamo dato alle persone la possibilità di comprare una pianta, che noi avremmo piantato sull'isola; in cambio potevano scegliere come chiamare quella pianta, darle un nome. L'idea era geniale, è piaciuta tantissimo, con 10 euro potevi avere un albero o un arbusto con il tuo nome, conoscere le coordinate GPS della pianta e, volendo, ogni tanto, venire a trovarla, a vedere come stesse, a godersi il paesaggio con lei... 

E hanno cominciato a comprarle! Come regalo di compleanno, per Natale, per i battesimi, per le nascite. Le aziende le regalavano ai propri dipendenti e nel frattempo acquistavano Carbon credit per via della “compensazione” di CO2 che le piante davano rispetto alle loro emissioni.
Di fatto abbiamo “personalizzato” le piante. Dandogli un nome ed un genitore adottivo, ci siamo garantiti che “l'opinione pubblica” fosse dalla nostra parte. Ci sostenevano, si “innamoravano” delle nostre piante, venivano a visitarle, a coccolarle. E pagavano per farlo... Un miracolo! È stato un progetto corale, di tutti noi. Ognuno ha fatto del suo: era il nostro bambino, lo abbiamo accudito e lo abbiamo fatto crescere. In quel momento che abbiamo deciso di trasferirci stabilmente sull'isola. Bisognava seguire le piante: piantarle, concimarle, tracciarle con il GPS, attaccare le etichette con i nomi... Bisognava esserci.

– Sì, Aurelio, è vero. Quasi mi viene da piangere. È stato un momento incredibile... Abbiamo riportato il sangue nelle vene dell'isola. Dopo due anni dall'inizio del progetto Clorofilìa, nell'acquedotto ha ricominciato a scorrere tanta acqua, molta più di prima.

– Qui però c'è stato il colpo di genio, dovete ammetterlo! Sapete come abbiamo fatto a far crescere così in fretta una foresta, qui, sulla cresta, in soli due anni?

– No, zio Michele, no. Non saprei.

– Il genio di cui parlavo prima sono io. Hi hi hi… Ho pensato: per far crescere un bosco ci vogliono decine di anni. E in Italia, ogni giorno, di boschi se ne “smontano” a bizzeffe. Bastava andare in una cava, di quelle che scavano vicino ai boschi, e prendersi “un pezzo” del bosco che stavano smontando

— Così, un giorno, su una nave, è arrivato un bosco LEGO, ci sono arrivati i vari pezzi, come i mattoncini, e noi lo abbiamo "montato" di nuovo, qui, qui su, dove ci troviamo adesso.

– In che senso, zio Gino?

– Nel senso che, anche per fare un bosco c'è bisogno di un ingegnere!

— Spiegati meglio…

– Siamo andati in un bosco che stavano per abbattere, lo abbiamo “diviso” in tanti quadrati, come una scacchiera, poi abbiamo usato delle pale gigantesche per “scontornare” i quadrati. Abbiamo infilato una lama lunghissima sotto questi cubi di terra e li abbiamo “asportati”, con tanto di alberi, radici, arbusti, humus e tutto il resto. Poi, con una gru, abbiamo caricato questi “blocchetti” sui camion e poi su una nave. Arrivati qui, li abbiamo portati in questo ed in altri punti della cresta e abbiamo montato di nuovo il bosco, come si fa con i LEGO! Fico, vero?

– Wow!

– Attenti, sto per dire una cosa molto seria: la scienza ha dimostrato che, nei boschi, le piante costruiscono delle reti sotterranee, tramite le radici, le micorrize — che sono dei funghi che entrano in simbiosi con le radici – ed i microrganismi che vivono nel sottosuolo, il bioma. Alcuni alberi fanno da “nodo” della rete. Sono quelli più antichi, o quelli che si trovano in un punto particolare. In un certo senso, questi alberi diventano i “patriarchi del bosco”.

Mi piace pensare che anche questi alberi che ora sono qui a Ponza avessero stretto un legame, nel bosco da cui provengono. E mi piace anche credere che, una volta portati qui – poiché li abbiamo rimessi “in posto” rispettando il più possibile la posizione che avevano l’uno rispetto all’altro nel luogo di origine, come risultava dalla scacchiera che avevamo disegnato – si siano "riconosciuti", tramite le loro radici, ed abbiamo nuovamente stretto quel legame. Per questo il bosco che abbiamo “ricostruito” sta così bene. È un'idea sentimentale, lo so, ma mi piace!

– Ragazzi, ma voi immaginate la scena? LEGO 1 dice a LEGO 2: “Ué, pure tu sì vnut accà? Comm’ si captàt da chest’ppart?”. 

– Gino... che idiota! Per una volta che faccio il serio...

– Hai ragione Michè, scusa.

– A me piace quest’idea, zio! Forse, se gli alberi stanno bene, trovano i loro vermini preferiti, crescono più velocemente ed accolgono meglio anche i nuovi arrivati, come gli alberi che avete piantato voi!

– Sì, potrebbe essere.
– Ragazzi, riprendiamo il cammino, si sta facendo tardi. Dobbiamo arrivare a Frontone. Dormiremo lì stanotte. Scenderemo usando la stradina che parte dalle spalle del Pronto Soccorso. Non è molta lunga, ma è ripida e non possiamo farla con il buio.

Il gruppo si rimette in cammino. Costeggiano la strada principale, sempre camminando nel bosco e, raggiunto il Pronto Soccorso, cominciano la discesa sul sentiero. Più o meno a metà strada si fermano a visitare il museo etnografico dell’isola. Tre piccole stanze scavate nella roccia, un tempo case per pescatori, che ora ospitano foto, attrezzi, oggetti e ricordi che raccontano la storia dell’isola e delle sue genti. È un posto molto suggestivo. 

È stato il giorno del gruppo. Ognuno ha raccontato la sua parte della storia. Prima di scendere l'ultimo tratto di sentiero, si fermano a guardare il mare da lassù. Come brilla il mare!

Quando si viaggia e, soprattutto, quando si cammina, lentamente, si attraversano e si vivono dei luoghi che, a saperli ascoltare, hanno storie da raccontare. Tante storie. I luoghi parlano e raccontano, tanto quanto gli uomini. Costruire il futuro senza tener conto del passato è stupido, oltre che impossibile, perché, prima o poi, il passato torna a chiedere il conto. Quando te ne accorgi, però, può essere troppo tardi, se non lo hai ascoltato con attenzione. È quello che è successo agli uomini in questi ultimi trent’anni. Hanno trascorso tutto il Novecento a costruire ed espandersi ovunque, anche dove una volta scorrevano fiumi, dove il mare formava lagune, prima che l’acqua venisse “imbrigliata” dai ghiacciai delle montagne e dei poli. Hanno pensato di poter essere più forti del passato. Ma il passato li ha puniti! E così i ghiacci si sono sciolti, i fiumi sono esondati ed il mare è tornato a formare lagune. E gli uomini non hanno potuto fare altro che scappare. A Ponza, la musica è stata diversa. Perché qui c’era un gruppo di sognatori, che il passato non l’hanno ignorato, lo hanno ascoltato.

— Sapete, visitare questo piccolo museo, alla fine di una giornata del genere, mi ha emozionato. È come se la storia che quelle foto e quegli oggetti raccontano fosse, almeno un po’, anche un pezzo della nostra storia.
– Aurè, nu' me fà commuovr.
– Scemo! Aurelio ha ragione. Dopo il progetto Clorofilìa, su quest'isola sono tornati gli uccelli di passo, che erano diminuiti tantissimo perché sull’isola andava “di moda” cacciarli con le reti. Fino all’inizio del Novecento erano una fonte di proteine, visto che mancava altro, ma poi la caccia con le reti è rimasta solo come moda, appunto. Adesso gli uccelli sono tornati e sono abbondanti, perché hanno trovato rifugio nei boschi, dove cacciarli è impossibile. Abbiamo anche reintrodotto un sacco di mammiferi che si erano estinti. E sono tornati anche i delfini! Dai, un po’ siamo anche noi parte della storia di quest'isola. Una bella storia.
– Vabbuó, ma lo sapete che scherzo sempre. Pure io sono orgoglioso di quello che abbiamo fatto. Nel mondo si parla del “modello Ponza” per il recupero degli ecosistemi e per la riduzione delle emissioni di CO2. Vuoi mettere?
– Abbiamo esportato Clorofilìa in tutta Europa, ed ora si sta diffondendo anche nel resto del mondo. E le persone partecipano a questi progetti con sempre più entusiasmo. Possiamo essere orgogliosi di noi stessi, sì!
– Nonostante questo, però, abbiamo cominciato tardi. Vent'anni fa, quando siamo arrivati a Ponza, la spiaggia di Frontone era molto più ampia, nel frattempo il mare si è alzato di quasi un metro e continuerà a salire, nonostante i nostri sforzi. Alcune cose sono irreversibili, ormai.
– È vero, Elena. Eppure Clorofilìa è soprattutto un modello di resilienza. Ed è a questo che dobbiamo puntare, oggi ancora più di ieri.
– Sara, come sempre, tiene ragione: oggi e sempre, Resilienza!
– Zio Gino, come faremmo senza di te?
– Re-si-lien-za! Re-si-lien-za! Re-si-lien-za! Re-si-lien-za! Re-si-lien-za!

– Dai, il ritmo ce l'avete: scendiamo! Dobbiamo ancora montare il campo.
– Il campo è tutto dentro Fùfilo, ci vorrà un attimo. Fu-fi-lo! Fu-fi-lo! Fu-fi-lo!
Così scendono sulla spiaggia di Frontone, si accampano per la notte e cenano sulla spiaggia, a lume di luna.

È stata una lunga e intensa giornata, ma il bagno serale, con quella bellissima e bianca luce della luna, non glielo toglie nessuno. Sono lì, in mare, che spuntano dall’acqua solo con la testa. Tanti pallini galleggianti, visti da lontano. Ma sono una famiglia, una grande famiglia allargata, un super-organismo ben organizzato.

Fino ad ora vi ho bombardati di dialoghi e personaggi, facendoli “emergere” dalla storia uno per volta. È stata una scelta. Mi piace l’idea che, in questa storia, il protagonista non sia nessuno in particolare ma lo sia il gruppo stesso. Però adesso, così, sotto questa magnifica luna, mentre godono di questo mare calmo e amico, è giusto che io mi assuma le mie responsabilità di narratore e faccia un po’ d’ordine.

Clorofilìa è tutta qui: si tratta di tre coppie e cinque single, con relativi figli. Aurelio Belcanto e Arianna Mastrini, genitori di Ettore e Laura, un antropologo ed una ingegnera. Michele Altamura e Alisea Rossi, genitori di Elettra e Licia, un ecologo ed una chimica. Flavio Vignaroli e Sara Li Conti, genitori di Luca, un agronomo ed una matematica. Poi Gino, il rude ingegnere; Francesca Belvecchio, l’archeologa; Elena Marechiaro, la biologa marina, e Chiara Pietrabella, madre di Mattia, la geologa. Infine c’è Ugo. Ma, lui, lo conosceremo più avanti. Per questa sera li lascio così, a godersi il mare di questa piccola grande isola in mezzo al Mediterraneo.


Marco Mastroleo, Latina 13/02/2021

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 10 (il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

Se non volete aspettare le prossime uscite e volete subito sapere come andrà a finire questa storia, scrivete una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. per acquistare il libro intero in formato e-book.

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Approfondimenti: il "discorso" sul nostro rapporto con i Robot è tratto da una intervista rilasciata da Roberto Cingolani a Radio3 Scienza quando dirigeva l'Iit di Genova https://it.m.wikipedia.org/wiki/Roberto_Cingolani

Ringraziamenti:

Per scrivere "dei boschi" in maniera corretta, ho chiesto molti consgli e pareri a Daniele Mirabello, agronomo forestale ed amico. Grazie per la pazieza!

Grazie a Giulia Santoro per il supporto ed i consigli.
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I testimoni di Gea, parte 4

«COSCIENZA! EL, questo termine è stato utilizzato molto spesso in passato, da altre religioni, anche per condizionare e guidare i popoli. Pensi al Cristianesimo ed al potere che ha esercitato, e che esercita, attraverso la Chiesa Cattolica qui in Italia, e potremmo dire lo stesso per le altre chiese cristiane nel resto del mondo. Proprio facendo leva sulla coscienza, sul senso di colpa, sulla necessità di allinearsi intorno ad un pensiero comune, fanno politica. E sto parlando solo della religione che meglio conosciamo perché parte della nostra cultura. Ma pensi anche all’Islam e ai gesti terribili che compiono gli estremisti in nome della coscienza. Lei è consapevole che si tratta di una vera e propria arma? Di un mezzo di controllo?».

“Grazie. Grazie perché mi sta dando la possibilità di fugare ogni dubbio su questo argomento. Non intendiamo assolutamente, e sottolineo, assolutamente, dare al termine “coscienza” il significato che gli è stato attribuito fino ad ora, ed il motivo è molto semplice: pensiamo che la parola “coscienza” sia stata “utilizzata” male, persino dal punto di vista etimologico.
Vede, “coscienza” deriva dal latino conscire, ad indicare il sentimento che accompagna la scienza, il sapere. Per i latini era la consapevolezza di quello che avviene in noi. Questo è quello che intendiamo per “coscienza”: la possibilità che abbiamo, attraverso la nostra conoscenza, di essere consapevoli del ruolo che rivestiamo nella nostra comunità umana e nel mondo che ci circonda, nel nostro rapporto con GEA, nel nostro essere GEA. Quindi la COSCIENZA per noi non è una sorta di entità astratta che vive in qualche zona nascosta del nostro cuore o del nostro cervello e che tiriamo in ballo quando vogliamo raggiungere un qualche obiettivo. Per noi COSCIENZA fa rima con CONOSCENZA, è la CONSAPEVOLEZZA di far parte di GEA, di essere un pezzo del meccanismo, di essere parte di una comunità nei confronti della quale abbiamo delle responsabilità. È conoscenza e consapevolezza. La parola “coscienza”, dal punto di vista etimologico vuol dire proprio questo, utilizzare la conoscenza in modo consapevole».

«Ammetto di continuare a non capire cosa intenda per “far parte di GEA”. Eppure questo, mi pare di capire, è il concetto fondamentale della vostra filosofia. Quindi, da una parte sono tentato di chiederle cosa sia GEA, ma dall’altra ho una certa ritrosia a farlo, perché immagino che mi risponderà che è ancora presto, che abbiamo ancora altri concetti di cui parlare prima di arrivare a GEA».

«Esatto, proprio così, non è un concetto semplice da capire, dobbiamo arrivarci per gradi».

«Di conseguenza, le faccio un’altra domanda. Lei usa spesso il termine “comunità”. Anche questa parola è stata usata ed abusata da altri prima di voi. Potrebbe chiarirmi cosa significa “comunità” per lei?».

«Mi fa piacere anche questa domanda. In effetti il concetto di COMUNITÀ è alla base di GEA. Anche questa volta mi aiuterò con un’etimologia. “Comunità” deriva dal latino communitas, ovvero “comunanza”, a sua volta termine astratto di communis, con il quale si intende riferirsi a più persone che vivono sotto certe leggi e per un fine determinato.
Fin qui niente di nuovo. Per capire quello che noi pensiamo, è però necessario approfondire due parole: persona e legge.
Innanzitutto, per i latini la parola “persona” deriva da “per-sonare”, che significa “risuonare attraverso”. Si riferisce agli attori teatrali, che usavano delle maschere di legno per “amplificare” la propria voce e raggiungere anche il fondo del teatro. Da qui la parola “persona”, che indicò, prima, la stessa maschera, i cui caratteri distintivi erano tali da permettere l’esatta definizione del “personaggio” interpretato nello spettacolo, poi si estese ad indicarne la corporatura e le qualità, ed infine passò ad indicare, in maniera generica, un individuo.
Dunque, partendo dal vero significato della parola, verrebbe da chiedersi se il termine “persona” debba per forza indicare un essere umano o se, invece, debba indicare un individuo con le sue specifiche caratteristiche biologiche e una identità, una personalità, potremmo dire, ben definita. In questa seconda accezione, quindi, una persona non è semplicemente un essere umano. È un individuo. Riconoscibile e identificabile attraverso il suo corpo. Ed è proprio questo il significato che noi attribuiamo alla parola “persona”».

«Perdoni se la interrompo, EL. Se ho ben capito, lei vuole intendere che anche un cane può essere considerato una persona?».

«Certo, un cane, un gatto, un uccello, un serpente, persino un insetto. Per capirci facilmente noi usiamo dire PERSONE UMANE per indicare nello specifico gli esseri umani, e PERSONE in genere per indicare gli altri individui che convivono in GEA».

E così, con questa storia delle persone “non umane” si sono accattivati anche animalisti, ambientalisti, vegani, fruttariani eccetera.
Che paraculi, l’hanno studiata bene la strategia di marketing…

«Scusi ancora, la questione mi interessa davvero. Secondo voi, quindi, un animale è individuo tanto quanto un uomo e come tale può essere in contatto con GEA, la vostra divinità?».

«Se vogliamo usare modi antichi di definire la religione, sì. Tutti siamo in GEA, tutti fanno parte di GEA. Quella che lei definisce la nostra divinità è in realtà qualcosa di diverso dalle divinità a cui siamo stati abituati a pensare a scuola e durante la nostra infanzia».

Altra raffinata mossa di marketing. «NOVITÀ» è una parola chiave che sta alla base di ogni buona vendita. Tutto ciò che è nuovo si vende meglio…

«Bene, sto morendo dalla voglia di chiederle cosa sia GEA se non è una divinità ma, andiamo avanti…».

«Sì, grazie. Come le dicevo, per capire cosa intendiamo per “comunità” dobbiamo prima di tutto capire cosa intendiamo per “persone” e cosa voglia dire che queste rispondono a delle leggi.
Noi crediamo che tutto quello che sentiamo, che percepiamo e che viviamo risponda a delle leggi. Alcuni, in passato, le hanno chiamate leggi universali. È quell’insieme di regole che muovono tutto: l’universo, la terra, le nostre vite quotidiane e, tradotte in modi sempre diversi, le nostre comunità umane.
Ogni cosa che conosciamo risponde a delle leggi. Il nostro obiettivo, la ricerca che ogni giorno facciamo, e che vi invitiamo a fare, è cercare di comprendere queste leggi.
La comunità, quindi, per noi, è un gruppo di persone, umane o non, che risponde alle leggi universali.
In questo consiste la nostra ricerca ed è proprio cercando queste leggi che abbiamo scoperto GEA, che ne abbiamo avuto PERCEZIONE».

«Molto affascinante. Come dice lei, EL, è un concetto difficile, ed immagino che questa nostra chiacchierata non possa esaurire le mie curiosità. Allora cercherò di capire cosa intende, ponendole altre domande.

Ad esempio, lei parla di leggi e della ricerca che avete fatto e che fate per comprenderle... Può dirmi come si svolge questa vostra ricerca, quali mezzi utilizzate? È una ricerca spirituale? È una ricerca fisica? Voglio dire, vi recate in qualche posto? Cercate testi o cose del genere? O vi affidate a persone che ritenete “illuminate”, tipo profeti o altro?
E lei, EL, ritiene di essere un profeta?».

Adesso voglio proprio vedere cosa mi rispondi! Un profeta?! Sei un profeta, EL? È una parola impegnativa. Essere un profeta significa scegliere di impersonare un intero movimento. Croce e delizia... Dai Profeta, vieni allo scoperto… GNAM!

«Davvero tante domande! Innanzitutto non mi ritengo un profeta, e non lo sono. Sono un TESTIMONE. Al momento sono stato incaricato dai Testimoni di rappresentarli e di portare al mondo la nostra scoperta, ma siamo in tanti, ed io sono soltanto uno dei Testimoni, neanche il più importante.
Non siamo “illuminati” come dice lei, né cerchiamo o seguiamo “illuminati”, perché i cosiddetti illuminati, almeno secondo quanto il comune pensare suppone, e probabilmente anche lei, sono persone con doti speciali o che hanno raggiunto livelli di conoscenza soprannaturale elevati. Noi non li cerchiamo e non lo siamo, perché non crediamo nel soprannaturale ma solo ed esclusivamente nel NATURALE. Ed è nella NATURA che svolgiamo le nostre ricerche.
Il termine RICERCA, poi, merita un discorso a sé. La nostra ricerca è a trecentosessanta gradi e non preclude nessun metodo, tranne quelli, come dicevo, soprannaturali, perché cerca di comprendere il mondo che ci circonda, la NATURA. E siccome pensiamo di essere tutti in GEA, chiunque abbia una curiosità tale da mettersi alla ricerca è uno di noi, ovunque si trovi. Dunque, non ci sono posti specifici, né posti eletti, né persone elette.
Circa i mezzi utilizzati, il nostro preferito è la SCIENZA. La ricerca scientifica è la più pura tra le ricerche, per chi, come noi, cerca di scoprire le leggi che regolano GEA. Tuttavia, anche altri metodi sono validi, ad esempio la meditazione, la poesia, la filosofia, l’arte in genere… Cos’altro sono, se non strumenti che utilizzano gli uomini che si pongono delle domande?

Ecco, noi crediamo che chiunque si ponga delle domande sia alla ricerca di GEA, e di quello che secondo noi rappresenta».

«Mi perdoni, questa mi sembra una contraddizione. Dite di credere in una divinità ma poi, di contro, siete dei fan del metodo scientifico. Davvero non capisco come le due cose possano convivere!
Prima mi ha parlato di SPIRITO e mi ha promesso di parlare di ANIMA. E parla di GEA come se fosse una super-entità, un Dio che tutto vede e muove. Come concilia tutto questo con la scienza? Sono molto curioso».

«E fa bene, in fondo anche lei è alla ricerca. Come me. Come noi. È l’atteggiamento giusto. 
Vede, il problema sta sempre nei termini che si usano e nel modo in cui si usano, il retroterra culturale che alcune parole sottendono.
Già almeno due volte ho cercato di spiegare che a parole quali comunità, persona e così via, noi diamo un valore diverso da quello ad esse attribuito nell'accezione comune, più diffusa. Le ho detto che lo SPIRITO è, per noi, il nostro sesto senso, il nostro modo di spiegare quello che percepiamo al di là di quello che sentono i nostri sensi. Non sto parlando, quindi, né di Spirito Santo né di spiritualità come ricerca dell’extra corporeo o del soprannaturale.
Dimentichi quello che sa, che ha imparato fino ad ora. Siamo talmente ambiziosi da voler dare un senso nuovo ad alcune parole. Per riscrivere la sua lavagna, prima deve cancellarla e pulirla!
Cosa fa la Scienza? Perché tantissime persone si dedicano alla ricerca scientifica? Non cercano forse risposte? Non cercano spiegazioni a quello che vedono e che li circonda? Cosa cercano? Glielo dico io, cercano REGOLE! Regole che possano essere confermate da altri e che siano il più possibile vere, rispondenti, coerenti con la realtà che sperimentano ogni giorno. E sono disponibili a rimettere tutto in gioco nel momento in cui queste regole sembrano non avere, o non avere più, quelle conferme. E quindi, spesso, si mettono a cercare la nuova regola che possa spiegare meglio della precedente quello che vogliono capire. E così via, in un magnifico movimento di andare avanti e indietro, senza paura e senza preconcetti, alla ricerca delle leggi che anche noi cerchiamo, alla ricerca della verità.
E cos’ha fatto la religione fino ad ora? Non ha forse cercato risposte? Proposto soluzioni? Dettato regole? Imposto leggi?
Mi permetta, però, di sottolineare una cosa importante. Io non sono un profeta, noi non siamo degli illuminati, perché non pensiamo di possedere la verità. Non pensiamo di aver trovato le risposte, non pensiamo di essere diversi o superiori rispetto agli altri. Noi siamo in ricerca, come gli altri! Solo, abbiamo la consapevolezza che non c’è metodo migliore di quello scientifico per cercare delle risposte, di definire delle leggi. E quindi, ci affidiamo a chi come noi è in ricerca e con loro ci mettiamo in gioco per cercare le risposte alla nostra sete di leggi. In fondo vogliamo capire anche noi, come hanno fatto tanti religiosi prima di noi, in che mondo viviamo e come funziona!».

«Capisco. Immagini però di parlare con uno scienziato, un evoluzionista o un fisico teorico. Come potrebbe lo scienziato accettare che si parli della sua ricerca chiamandola GEA, o entità di questo tipo che, a me, ricordano tanto una divinità?».

«Questo perché non ha ancora capito cosa è GEA. Per questo ci giudica senza capire. Aspetti la fine dei nostri discorsi e tutto le sembrerà estremamente coerente, come lo è sembrato a noi. Anche noi siamo scienziati e conviviamo con noi stessi!».

«Allora mi dica, per favore, cosa è GEA?».

«GEA è una rete. Questo dovrebbe bastarle, ma immagino che non sia sufficiente. GEA è questo foglio di carta, è lei, sono io, è il cane che vive con me. GEA è l’albero in questo cortile, è la montagna che si vede da questa finestra. È la sua penna. Noi siamo in GEA, ne siamo parte e ne dipendiamo…».

«Mi sta prendendo in giro? Vuole dirmi che GEA è una sorta di Matrix? Adesso cosa mi dirà? “Scegli, pillola rossa o pillola blu?”. Non mi prenda in giro. Sono un uomo razionale, non ho voglia di fare questi giochetti!».

«Matrix è un software, è una realtà immaginaria, una specie di scatola in cui il cervello viaggia credendo che il mondo in cui è immerso sia reale quando non lo è. GEA, invece, è reale e lei ne ha le prove, solo che non sa di averle! Ha mai sentito pronunciare la famosa frase “un battito d’ala di una farfalla in Brasile può avere effetti in Europa”? In qualche modo, lei sa, pur non avendo mai studiato il fenomeno, che questa affermazione è vera. E lo sa perché, in fondo in fondo, lei sa che tutto, in questo mondo, è interconnesso: siamo parte di una rete. Molto spesso è una rete materiale, a volte è una rete immateriale, per quello che possiamo percepire. Ma SIAMO TUTTI PARTE DI UNA GRANDE RETE. Gli scienziati lo sanno! È questo che rende difficile studiare la natura ed i fenomeni naturali. Provi a piantare la stessa varietà di uva in due punti diversi del mondo. Otterrà vini completamente diversi. Questo perché la pianta, pur avendo lo stesso DNA, ha un rapporto diverso con l’ambiente che la circonda, si comporterà in modo diverso a seconda di quale sia il posto che occupa nella rete, e, in ogni punto della Terra, gli elementi che compongono la rete sono diversi. Quindi la nostra bella vite si troverà ogni volta in una situazione diversa ed il suo comportamento sarà diverso».

«Come spiega la diffusione dell’agricoltura legata ai cereali in tutto il mondo? A quanto mi risulta, ci sono varietà di grano diffuse su tutta la Terra, che producono ovunque quasi allo stesso modo…».

«A parte il fatto che non è esattamente così, la spiegazione è semplice: l’agricoltura, le tecniche agricole tendono a creare condizioni simili anche in posti diversi. Arature profonde, concimi chimici, diserbi eccetera tendono ad “escludere” i semi dal resto della rete. In un certo modo li “scollegano” dalla rete. Ecco perché quei semi, quelli in particolare, tendono ad avere comportamenti simili anche in luoghi diversi.
Ma non vorrei dilungarmi sui semi. Il principio vale anche per lei. Per noi uomini.
Sono sempre più diffuse tecniche come la ippoterapia, la dog therapy, la cromoterapia, l’agricoltura come mezzo per “riscoprire sé stessi”. Perché queste cose funzionano? Se l’è mai chiesto? Secondo noi funzionano perché attraverso gli animali, attraverso il contatto con la terra, rimuoviamo le nostre barriere. Ci facciamo aiutare da chi, più di noi, è in contatto con la rete, per connetterci con la rete stessa. Per entrare in GEA.
GEA è la rete di cui facciamo parte. Quindi, GEA siamo anche noi, tanto quanto lo sono cani, gatti, piante eccetera. Ognuno è un nodo dell’immensa rete di cui siamo parte, un punto di incrocio, di legame, di “smistamento”. Siamo immersi in un continuo processo di “dare” e “ricevere”. Ognuno merita il suo posto ed ognuno va rispettato in quanto “nodo” della stessa rete, in quanto in stretto rapporto con gli altri. Più siamo coscienti di far parte della rete e meglio stiamo!».

«Dunque Gea sarebbe una sorta di... di... non saprei, una specie di mega-animale senziente, un maxi anzi, un mega-organismo? E noi uomini che ruolo avremmo in questa rete? Se è così come dite, noi non saremmo altro che delle pedine, dei pezzi qualunque...».


 Marco Mastroleo, Latina 07/02/2021

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta
APPROFONDIMENTI:
La "rete" non è una invenzione di EL e dei testimoni di GEA... può far pensare alle teorie New Age di GAIA ma in realtà è uno degli argomenti più affascinanti e più emozionanti che la scienza sta affrontando negli ultimi anni. 
Gli studi più affascinanti, almeno per me, sono quelli sul Wood Wide Web, che studiano le interconnessioni sotterranee tra piante, funghi, microrganismi ed animali superiori. L'immagine di copertina dell'articolo rappresenta proprio una di queste stupefacenti reti. 
Sull'argomento, vi consiglio.

Libri:

- PLANT REVOLUTION, di Stefano Mancuso, https://www.giunti.it/catalogo/plant-revolution-9788809831360
- LE PIANTE SONO BRUTTE BESTIE, di Renato Bruni, https://www.codiceedizioni.it/libri/le-piante-son-brutte-bestie/
- L'ORDINE NASCOSTO, LA VITA SEGRETA DEI FUNGHI, di Merlin Sheldrake, https://www.abebooks.it/9788829705665/Lordine-nascosto-vita-segreta-funghi-8829705667/plp?cm_mmc=ggl-_-ITNBA_ETA_DSA-_-naa-_-naa&gclid=Cj0KCQiAvP6ABhCjARIsAH37rbQlIX-eK6IGYODKhiXhGOqOgOA6BGN9UrMlJDBIUAdXcNVvi0JQ598aAlbEEALw_wcB

TED conference:

https://ed.ted.com/best_of_web/4uORORJx#watch
https://www.ted.com/talks/suzanne_simard_how_trees_talk_to_each_other

Articoli e Documentari:
https://www.nature.com/articles/ncomms6273
https://www.agi.it/blog-italia/new-botanics/alberi_wood_wide_web-4828985/post/2019-01-13/
https://www.raiplay.it/video/2020/03/Wood-Wide-Web-comunicazione-tra-piante---Sapiens-1ce39480-0e0a-4759-a2bf-11b4ef9db513.html
https://thekidshouldseethis.com/post/the-wood-wide-web-how-trees-secretly-talk-to-and-share-with-each-other

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 9, continuerà il viaggio sull'Isola di Ponza...
(il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

Se non volete aspettare le prossime uscite e volete subito sapere come andrà a finire questa storia, scrivete una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. per acquistare il libro intero in formato e-book.

Oppure cliccate "mi piace" sulla pagina Facebokhttps://www.facebook.com/passeggiando.info per rimanere sempre aggiornati sulle vicende di Clorofilia.

Ringraziamenti:

Come sempre, Grazie a Giulia Santoro per il supporto ed i consigli.

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I TESTIMONI DI GEA, PARTE 3

Come diavolo sarà cominciata questa cosa? Come l’avranno pensata? A chi è venuta un’idea così brillante? Inventarsi una religione, che business! 

Mi rode, questa domanda! Non posso fare a meno di pensarci. 
Me la immagino così: un gruppo di amici, ad una festa, discute del culto della Madonna di Medjugorje...

“Ma hai capito che schifo… Che business che hanno inventato! Non so quanti veggenti ci stanno… La vedono tutti ’sta Madonna… Si danno i turni, per vederla. Sia mai che il pubblico rimanga senza l’apparizione giornaliera. Non si fa! Si danno il cambio, così nel frattempo possono anche andare in televisione, in tour. Te la consegnano porta a porta ’sta Madonna.

“Tanto le frasi delle rivelazioni sono di una banalità assurda, se le possono passare senza problemi”.

“Oppure leggerle sui baci Perugina, cambia poco…”.

A un certo punto arriva il genio...

“Qua gli stronzi siamo noi, mica loro…
A perdere tempo all’università, a farsi il culo al lavoro… Quelli, sì, fanno un sacco di soldi, si sono creati una macchina perfetta del turismo ...”

“Hai proprio ragione, cazzo! Il brand ‘Madonna’ vende un casino… Hai presente quante ne sono uscite, negli ultimi anni? La Madonna che piange sangue, quella che piange acqua, quella che appare e scompare, quella che fa i miracoli su prenotazione…”.

“E che è, Barbie?”.

“Eh, tu ci scherzi, è un brand flessibile… Te ne puoi inventare mille versioni!”.

“È ‘customizabile’… o personalizzabile, se vuoi dirla semplice…”.

E poi il realista… In un gruppo di amici, il realista c’è sempre!

“Eh, voi ridete e scherzate… Queste sono cose serie. Qualche anno fa, col negozio di informatica, vendevo e facevo manutenzione alle macchine degli scontrini per i negozi della zona del Vaticano. Quando c'era Papa Giovanni Paolo II, quelli hanno fatto soldi a palate. L’immagine del Papa vendeva un casino. Con tutto quel flusso di pellegrini si faceva un sacco di soldi e di indotto. Se volevi vendere qualcosa, ti bastava metterci l’immagine del Papa”.

“Mi sa che Ratzinger vendeva molto meno, lo hanno cambiato presto… Ah ah ah…”.

E vuoi che non ci sia il Cattolico credente? Quello si offende!

“Basta dire ’ste cose: state esagerando, non potete scherzare così sulla Madonna e sul Papa!”.

“Infatti, non si può fare!".

“Sì, dai, in Italia non si scherza sulla chiesa! E comunque, la fede è passione, speranza, sentimento... la Religione è Marketing, bisogna fare molta attenzione a cosa si comunica!”.

“Per questo le Madonne più esagerate ce l’hanno all’estero…”.

“Sì, e comunque, in generale, di Madonne di tutti i tipi ne sono uscite già troppe in questi anni. Ci vuole qualcosa di nuovo… Il brand è stanco…”. 

“Un nuovo Santo, ad esempio… Capisci la genialità di chi si è inventato Padre Pio? Se ti inventi un nuovo Santo non fai concorrenza alla Madonna e colpisci lo stesso pubblico. Pensa, puoi anche fare l’accoppiata: magliette con Padre Pio sul fronte, che ti dice ‘Guida piano’, e la Madonna sul retro, che dice ‘Tranquillo, ti proteggo io’…”.

“Minchia… Una bomba! Ah ah ah…”.

E di nuovo il genio…

“ Che bestie che siete! Io faccio riflessioni serie e voi la buttate sempre in caciara”.

Eh, ma tu sei un genio! L’idea è geniale: facciamolo! Inventiamoci una Religione e lanciamola sul web”.

“Daje! Con queste cose ci vincono le elezioni e ci fanno i soldi su Facebook. Vuoi che non riusciamo a fare qualcosa anche noi?!”.

“Sì, ma se deve essere una nuova religione deve trattare un tema che piaccia a tutti e che sia compatibile con il Cristianesimo”.

“Eh sì, eh… I Cristiani tocca tenerli dentro per forza, altrimenti ci tagliamo via, subito, un sacco di potenziali clienti…ops, fedeli…”.

“Ci vuole un premio… Cosa c’è in palio? I Cristiani hanno la vita eterna, noi cosa offriamo?”.

“Eh… Tocca pensarci bene!”.

Ecco come li immagino, ’sti maledetti… Non sarà andata così, non esattamente… Ma non penso sia stata una cosa molto diversa…


 Marco Mastroleo, Latina 24/01/2021

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 7, continuerà il viaggio sull'Isola di Ponza...
(il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

Se non volete aspettare le prossime uscite e volete subito sapere come andrà a finire questa storia, scrivete una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. per acquistare il libro intero in formato e-book.

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Giorno 3: il fuoco

Il giorno dopo, a gran richiesta dei bambini, Elena e Michele organizzano un’uscita in mare. Sono tutti curiosi di vedere questa bellissima fioritura di fitoplancton. Il viaggio doveva durare cinque giorni, ma questo evento ha cambiato tutto. È una festa, una celebrazione del successo di anni di lavoro. Non si può lasciar andare così.

Eccoli, allegri e spensierati, pronti a questa bella giornata in mare. Con questa stupenda visione romantica del mare.

Eppure, negli ultimi anni, proprio il mare è stato l’incubo più ricorrente nella mente degli uomini, il nemico numero uno!

Sembra facile e banale dire, come raccontavo prima, che il mare si è alzato di un metro negli ultimi venti anni, ma avete idea di cosa voglia dire?

Ci siamo tristemente abituati ad ascoltare notizie di migrazioni di massa di popoli che, dalle coste sulle quali vivevano, cercavano posto nell’entroterra, invadendo città e territori di altri. Abbiamo raccontato gli uragani, le alluvioni e le pianure invase dall’acqua, le coltivazioni e le case distrutte. L’economia che collassava sotto il peso di cambiamenti così grandi! Trasformazioni così epocali non avvengono senza causare disastri. 

Gli sceneggiatori di Hollywood vedevano i loro film diventare realtà. Chiunque, come era di moda nell’era dei social network, aveva la sua idea da esprimere, e lo faceva a suo modo: chi urlava al complotto, chi ne sapeva sempre più degli altri, chi cercava solo e soltanto qualcuno a cui addossare le colpe, senza neanche provare a cercare una soluzione… 

Certo, i climatologi avevano previsto tutto questo, ma si aspettavano che accadesse nel giro di cinquant’anni, non di venti!

Invece noi uomini avevamo accelerato il processo naturale di riscaldamento del clima in maniera talmente incisiva da non poterlo invertire. Non con i nostri mezzi!

Il Mediterraneo poi, essendo sostanzialmente un immenso lago collegato agli oceani con un solo sbocco, subiva questi fenomeni con un peso cento volte maggiore. Le città lungo la costa del mare nostrum sono state le prime ad essere invase dall’acqua, le prime a subire tempeste mai viste prima, le prime a dover organizzare delle vere e proprie migrazioni di massa.

Ve l’ho detto: il mare era il nostro nemico numero uno!

E pensare che i segnali c’erano tutti già dagli anni Duemila! I ghiacciai sulle Alpi si stavano sciogliendo molto più in fretta di quelli del resto del mondo, i livelli delle acque sotterranee stavano cambiando un po’ dappertutto e tempeste ed alluvioni erano all’ordine del giorno. Ogni anno, tra settembre e dicembre, si aspettava il peggio. Un clima monsonico a tutti gli effetti.

Per questo, entrare in mare, nel 2040, in modo così spensierato e leggero, era il segno preciso che qualcosa era cambiato davvero. Che si poteva tornare al mare amandolo, e non solo avendone paura.

Le piscine naturali di Ponza si chiamano così perché, un tempo, una fila di scogli divideva una pozza d’acqua, “incisa” nella roccia, dal resto del mare. Oggi, quegli scogli si vedono solo con la bassa marea, ci si cammina sopra, passeggiando con i piedi in ammollo. Il paesaggio è cambiato!

Ma torniamo al nostro gruppetto, mette gioia solo a guardarlo: bambini che strillano, adulti che si prendono in giro e scienziati emozionati come al primo giorno di scuola: si va a Palmarola, l’isola del fuoco! 

Escono con le barche elettriche che usano per il lavoro intorno all’isola. Devono prepararne due. Non è possibile ospitare tutto il gruppo in una sola imbarcazione: sono piccole e la potenza del loro motore non consente di superare un certo peso a bordo. Sono stati Arianna e Gino ad inventare queste "lance" snelle, agili e silenziose, adatte al lavoro di studio e ricerca dei biologi, e sono sempre loro a prendersene cura. Ma sono barche un po’ lente rispetto allo standard. Tocca accontentarsi. 

– Zio Gino, perché Fùfilo non può venire?

– Perché è grosso assai… Pesa troppo per queste barchette, e non c’è spazio sufficiente.

– Mi dispiace lasciarlo a terra, tutto solo…

– Non preoccuparti, Licia. Ne approfitterà per ricaricarsi un po’. Lo lasciamo al sole, con i pannelli tutti aperti, e così, al ritorno, lo troviamo bello carico.

– Va bene, però gli lascio il mio pupazzo, così non si sente solo.

Licia è la seconda figlia di Michele e Alisea. Una strana combinazione di freddo calcolo matematico, misto ad affetto e premura. Quando ti guarda con quegli occhi verde oliva non sai mai quale parte di lei stia affiorando, fino a che non apre la bocca. Ed ha una gran passione per i robot. Per questo viaggia praticamente appiccicata a Fùfilo, e a Gino e Arianna, ovviamente!

Il gruppo si distribuisce sulle due barche in modo omogeneo: adulti e bambini su una barca e sull’altra, per equilibrare i pesi sulle due lance. 

Elena guida il gruppo della sua barchetta. Si posiziona a prua e, più eccitata dei bambini, racconta a tutti quello che potrebbe accadere. O, quantomeno, quello che lei si aspetta che accada.

– Come vi ho detto ieri, il fitoplancton potrebbe attirare banchi di pesci, anche di specie nuove. Per cui, silenzio assoluto e… occhi aperti!

Ma dopo più di quindici minuti di silenzio, osservazione e rollio della barca sul mare, i bambini cominciano ad essere impazienti…

– Quanto saranno grandi questi pesci?

– Non lo so, è una sorpresa anche per me…

– Arriveranno anche gli squali?

– Non so neanche questo, è probabile…

– E i pesci tropicali, che sono arrivati nel nostro mare negli ultimi anni per via del riscaldamento globale?

– Ettore, sì, penso di sì. È una domanda difficile, bisogna studiare...

– Zia, i pesci che arriveranno saranno grandi quanto quei pescioni che saltano sull’acqua, laggiù?

– …

– Zia? Zia, mi hai sentita?

– Sì, Laura, scusami... Penso che quelli non siano semplici pesci. Do una occhiata con il binocolo… Mi manca il fiato… Potrebbero essere delfini… e sarebbe la prima volta che li vedo da anni. Da più di dieci anni… 

– Non è possibile, i delfini non esistono!

– Luca, ancora con questa storia... Eccoli, li vedo anche io. Esistono eccome! E ci portano al pesce, come avevo previsto io. Cavolo, dovevo portarmi il drone…

– Ettore, silenzio. Goditi lo spettacolo…

Ettore, il figlio di Aurelio e Arianna, è il capogruppo dei bambini, un ruolo che si è guadagnato per via dell’età e della sua corporatura massiccia. Zittito lui, tutti quanti rimangono in religioso silenzio. Luca, invece, è il più piccolo fra loro. È il figlio di Flavio e Sara, l’agronomo e la matematica del gruppo (avranno anche loro una parte importante in questa storia…)

L’aria si satura di tanta umidità, e dalle goccioline piano piano emergono delle virgole nere, all’orizzonte. Il mare comincia ad incresparsi ed una serie di zampilli, flutti e schizzi piroetta nell’aria, come se i vulcani che hanno fatto nascere le isole si fossero risvegliati, come se tutto si fosse rimesso in moto, come se la terra ricominciasse a respirare. I flutti e gli schizzi, simili a lapilli di lava, prendono vita con la stessa potenza di un’eruzione, portando a galla un’energia del tutto simile. Un’energia di muscoli e respiri: i delfini!

Un branco di stenelle, piccoli delfini tipici del Mediterraneo, dorso grigio e pancia bianca e gialla, compare a Sud. Lo spettacolo è incredibile: venti o trenta animali che, sincronizzati, sbucano fuori dall’acqua mostrando il loro dorso, che riflette i raggi del sole. Le stenelle in testa al gruppo accennano anche qualche salto acrobatico, forse per segnalare agli altri la direzione da seguire.

Tutti rimangono a bocca aperta.
Quello che li impressiona di più è il suono. Certo, hanno visto documentari o video nei quali i delfini nuotano, si incrociano, sfrecciano sotto il pelo dell’acqua, ma averli lì, davanti ai propri occhi, e “sentirli” allo stesso tempo è una sensazione che lascia col fiato sospeso.

Quando emergono, i cetacei sbuffano fuori l’acqua contenuta nello sfiatatoio ed inspirano, prima di immergersi di nuovo. Questo suono, questo soffio rotondo e intenso, è l’elemento che rende la scena profonda, che la rende concreta. E che permette di capire che sta avvenendo davvero, che due mondi si stanno incrociando. E che siamo fatti tutti della stessa materia, di aria, acqua e fuoco...

– Io… Io ieri vi dicevo che ci sarebbero voluti mesi, ed invece già oggi abbiamo visto tornare i delfini. È proprio vero che la natura ha tempi e modi che ancora non riusciamo a capire! Ogni volta che pensiamo di aver compreso dei meccanismi, ecco che arriva una sorpresa, una nuova sfida…

Spengono i motori e rimangono tutti in silenzio ed immobili, a godersi la meraviglia. E sui visi di molti di loro compare una lacrima di gioia. Elena, invece, filma tutto. Seria e professionale. Si è già sfogata la sera prima…

I bambini, presi dall’euforia, immergono le mani nell’acqua e cominciano a schizzarsi. Forse attratti da quei gesti, alcuni delfini si avvicinano agli scafi. Giocano e sfrecciano tra le barche e, dopo venti minuti, si allontanano seguendo le scie della fioritura del fitoplancton. Macchie lucenti su un orizzonte verde e blu.

Divertimento ed emozione pura, questo si legge sul volto dei bambini. Uno spettacolo del genere non è così frequente nel 2040. 

Riaccendono i motori e ripartono. Nessuno parla, sono ancora tutti troppo emozionati.

Stanno arrivando presso le coste di Palmarola quando Laura, la sorella maggiore di Ettore, comincia a urlare:

– Lì! Lì! Guardate lì, cos’è? Cos’è? È grande…

Elena punta la telecamera nella direzione indicata da Laura e, dopo aver zoomato e guardato, si siede. Questo è troppo anche per lei.

Un grande sbuffo d’acqua, altissimo, un’eruzione pliniana di acqua, accompagnata da una ricaduta di vapore…

– È una balenottera. Non ne avevo mai vista una in questi mari. È incredibile! Che… che bello!

Le balenottere, perché sono due, in realtà, venendo in superficie sollevano grandi spruzzi in aria e immergendosi lasciano vedere la loro lunga coda, che spunta come la vela di una nave. Dolci ed eleganti nel loro delicato nuotare.

Di nuovo si spengono i motori, e si osserva. Le balene vengono su a bocca aperta, raccogliendo e filtrando tutto quello che può passare dalle loro enormi bocche. 

È un momento quasi mistico, un’apparizione. Il rumore ritmato degli sfiati che saturano l’aria di vapore, il suono delle code che si infrangono sulle onde… La consapevolezza che gli animali che stanno osservando sono dei veri e propri giganti, incredibilmente più grandi ed eleganti di qualunque cosa abbiano visto prima, rende questo momento quasi estatico.

Elena racconta, prendendo spesso fiato:

– Al largo di Palmarola c’è la fossa più profonda del Tirreno. Una grande valle sottomarina che arriva a toccare i 5000 m di profondità. È la porzione di mare con la più grande massa di acqua e di ossigeno di questa zona. Dovrebbe essere normale vedere animali così grandi qui, eppure non ne avevo mai visti. Troppe navi, troppo movimento, troppo poco pesce… con Clorofilìa, con le politiche di rispetto del mare che abbiamo messo in piedi, abbiamo permesso a questi splendidi esseri di tornare in questi mari. Viva la Vita… 

Osservano in religioso silenzio questi enormi animali immergersi e riemergere mostrando ora le pinne, ora il dorso, ora la pancia. Una danza di un’eleganza difficile da immaginare per degli animali terrestri come noi.

Quando le balenottere sono ormai lontane, le barche si rimettono in marcia alla volta di Palmarola.

Sulla seconda lancia, Gino, “il dissacratore”, si gira verso Flavio e rompe il silenzio, commentando:

– Uè, Flavio, occhio che mo’ attacca Francesca! Ogni volta che jamm a Palmarola tira o’ pippone de l’ossidiana. Navigavano ’ncopp, navigavano arrèt, l’ossidiana di Palmarola... E che du’ palle, come dite a Roma!

– Ah ah, Gino, sei ’na bestia! Però è vero, hai ragione. Anzi, sai che ti dico, secondo me tra un po’ parte pure il pippone della geologa! Ogni volta che attraversiamo questo tratto, Chiara si gira verso Ponza e dice: “Si vede proprio che è vulcanica… Guarda che cono, che cratere… Sono proprio isole nate dal fuoco...”.

– E ’nfatti. Che du’ palle… Per quanto la rispetti, Flavio, ogni tanto scassa pure lei!

– Eh eh! Comunque, pensa, senza di loro, la Soprintendenza non ci avrebbe mai fatto lavorare qui. E poi, diciamoci la verità, per scalfire il tuo duro e puro cuore da ingegnere ce ne vuole... Non t’emozioni co’ niente!

– E come no? Certo che m’emoziono… Le femmine, Flavio... Quelle mi emozionano sempre! Si può dire che sia l’unico motivo per cui abbia accettato questo lavoro sull’isola: femmine a volontà, tra maggio e settembre, turiste in abiti succinti e “aperte agli scambi culturali”...

– Ah ah ah! E gli altri mesi?

– L’attesa, Flavio. L’attesa! Comm’è doce l’attesa… Il fatto di sapere cosa mi allieterà da maggio a settembre... L’attesa è la cosa migliore! Sogno ad occhi aperti…

Flavio Vignaroli è l’agronomo del gruppo, ed è l’unico, da buon romanaccio, che riesce a tenere testa a Gino e alle sue battute. Mentre il dialogo truce va avanti, come da copione, Chiara e Francesca si scatenano.

Chiara è la geologa di Clorofilìa, madre del piccolo Mattia. È arrivata sull’isola da sola ed incinta. Sempre ben vestita, linguaggio forbito, portamento altero, “fighetta” direbbe Gino (ed in effetti lo dice…), sembra uscita da un film dei primi del Novecento, ma quando parla di “pietre”, e quando si tratta di scavare, picconare e sporcarsi le mani, si trasfigura… s’accende… diventa una ruspa!

– Il punto di vista che si ha da Palmarola è sempre unico. Da qui si apprezza veramente bene la geologia delle isole, sia di Ponza che di Palmarola stessa. Sono bellissime sculture di fuoco, guardarle da qui mi emoziona sempre…

– Non dimenticarti dell’ossidiana, l’oro nero della Preistoria…

– A Flavio, che t’ho detto… ? So’ partite, ’e ddoje... 

– Gino, sei ’na bestia davvero… Lasciale fare... E poi, stanno con i bambini, oggi hanno il pubblico! 

– Certo, Francesca… In effetti, proprio partendo dalla storia dell’ossidiana si potrebbe riassumere tutta la geologia di queste isole… La loro storia comincia 2,5 milioni di anni fa, quando, dal fondo del Tirreno, in questo punto, spuntò una catena di vulcani. Da quei vulcani nacquero Ponza, Palmarola e Zannone. Ventotene e Santo Stefano, invece, sono più recenti e risalgono ad eruzioni di circa un milione di anni fa. La caratteristica di questi vulcani è data dal fatto che si sono formati tramite eruzioni sottomarine di magma acido, silice pura. A contatto con l’acqua, il magma si raffredda bruscamente e genera una roccia chiamata ialoclastite. Bianca e cristallina, un vetro vulcanico. È bellissima! È la bianchezza della ialoclastite che rende Ponza così bella, il suo mare così trasparente. In alcuni punti, i clasti conservano la loro grandezza originale, non si sono frammentati e sono visibili in noduli neri: la famosa e preziosa ossidiana!

 

Me lo chiedevo sempre, prima di arrivare qui, sull’isola: com’è osservare la natura con gli occhi di un tecnico? Noi vediamo spiagge bianche, acqua pulita e limpida in cui nuotare, e loro, loro vedono la… ialocosa. Mah! Già la sola parola mi fa passare la voglia di tuffarmi.

E invece, col tempo, ho capito che c’è una certa poesia anche in questo. Sapere come sono nate le cose, da dove “arrivano”, quanto tempo hanno, qual è la loro storia, te le fa apprezzare ancora di più. Se ti tuffi nel mare di Ponza non puoi fare a meno di goderti la sua pulizia e lo spettacolo che ti offre ma, se sai qual è la sua storia… allora ne apprezzi il valore, lo ami ancora di più, perché capisci che stai nuotando in qualcosa di unico. E puoi anche chiamare per nome ciò che lo rende unico: Ialo… ialo… Ialo… tu: non ti temo… Prima o poi devo imparare a nominarla, ’sta roccia! 

— Oltre alla ialoclastite ed all’ossidiana, qui si può trovare anche la perlite. Il magma, fuoriuscendo e raffreddandosi, si “contrae”, si rimpicciolisce ma, se nelle sue fratture entra l’acqua, il magma la ingloba e tende ad espandersi di nuovo formando delle bolle, delle sferette, la perlite appunto, che si chiama così perché ricorda le perle. 

– Ho capito, zia. Ecco, allora, cosa sono quelle montagnette di Palmarola! Se l’isola una volta era un vulcano, quelle sono i suoi coni, vero?

– Sì e no. Insomma, i magmi acidi di questi vulcani sono molto viscosi, molto densi; non scorrono molto bene, si accumulano e formano delle cupole. Le isole sono quello che resta di una serie di cupole vulcaniche sottomarine che i geologi chiamano domi. Se poi il domo trattiene la lava al suo interno, si formano i cosiddetti dicchi, pezzi di lava che fuoriescono, allargandosi a forma di cono verso l’alto o di lato. Si vedono bene sulle falesie, le pareti a picco sul mare. Si distinguono chiaramente perché sono rossi o marroni e spiccano bene sul bianco della ialoclastite, come ’o core della storia dei giganti. Quando un dicco, durante l’eruzione, si fa strada nella ialoclastite e poi fuoriesce si raffredda molto velocemente. È proprio qui che si forma la famosa ossidiana. Tutto chiaro? 

– Sì, dicchi… 

– Ok, osservando la disposizione dei dicchi su una carta geografica si nota che formano dei cerchi, l’interno dei cerchi indica il centro dei domi, le cupole che formano le isole. Ce ne sono tre a Ponza ed uno a Palmarola. Piano d’Incenzo, dove eravamo il primo giorno, è molto particolare, perché è un criptodomo. Ovvero, è un domo che non è fuoriuscito. Ha spinto i depositi di lava dall’interno, questi si sono sollevati ed hanno formato una collina.

– Come un brufolo, zia? 

– Sì. Insomma, non è una bella immagine ma rende bene l’idea. Anche Zannone è formata da un criptodomo: al centro dell’isola c’è un enorme e bellissimo dicco. 

– Chiara, bambini, guardate! Ecco il dicco più grande e spettacolare delle due isole. È pieno di bellissima e nerissima ossidiana! 

La barca è ormai arrivata nei pressi della spiaggia di Palmarola. Ogni volta che arrivano lì, Francesca si fa prendere dall’entusiasmo.

– Questo grande dicco era conosciuto già dalla Preistoria. Pensate che nel Neolitico, circa 5000 anni fa, le persone attraversavano il mare, dal Circeo a qui, in canoa, per venire a prendere l’ossidiana. La caricavano sulle barche, venivano a Ponza, la “sbozzavano”, la pulivano e la lavoravano, per poi riattraversare il mare e tornare al Circeo, dove c’erano dei piccoli villaggi che realizzavano frecce, lame ed altri strumenti, da vendere in tutta Italia. Tutto il “percorso” veniva chiamato la “via dell’ossidiana”. Partiva da qui ed arrivava fino in Veneto e poi in Slovenia. Che meraviglia! Ogni volta che ci penso mi vengono i brividi. 

– A me, invece, fa impressione pensare che solo venti anni fa qui c’era una spiaggia enorme, il mare era più basso di quasi un metro. Ora si attracca vicino alla falesia ma prima si camminava sulla spiaggia di ciottoli!

– Le “case-grotta” che vedete qui sulla falesia sono state scavate dai primi abitanti dell’isola, tra il 1700 ed il 1800. Vivevano qui per qualche mese all’anno, coltivando legumi e vigne: “agricoltura eroica” la chiamano!

– Fico! Possiamo farci il bagno, ora? 

– Ok, sì, la lezione è finita: bagno! E non dimenticate la maschera, ché andiamo a vedere l’ossidiana… È bellissima! 

Immergersi al largo di Palmarola è sempre, anche oggi, nel 2040, un’esperienza unica, che va vissuta almeno una volta nella vita. Il fondale bianco, le rocce brillanti e le acque cristalline ti lasciano addosso la sensazione del volo. Quando ti immergi in questo mare vedi sempre il fondo. Quando galleggi sembri sospeso a mezz’aria. E ti senti leggero.

Da ragazzo sognavo spesso di volare, di poter planare tra i tetti delle case o sui parchi di Roma. Niente, nella vita, mi ha fatto provare questa sensazione come immergermi al largo di quest’isola. Ed oggi so che è tutto merito della ialoclastite e di tutte le sue bellissime sfumature. Ehi, finalmente ho imparato a dirlo!

Fare snorkeling nel 2040 è fico come essere nello spazio. Si indossa una maschera ipertecnologica con una videocamera sulla fronte, una serie di sensori che segnano profondità e distanza dalla costa, ed un quadrante incorporato che ti permette di leggere queste informazioni sulla maschera stessa. Ti senti un po’ astronauta, un po' androide.
Ma, per fortuna, nessuna tecnologia potrà mai sostituire la sensazione che si prova entrando in acqua. Quel brivido che ti sale lungo la schiena, quella sensazione di liberazione che ti mette in contatto con quello che ti sta intorno.

I bambini nuotano come pesci, d’altra parte sono cresciuti su un’isola, il mare è la loro dimensione. Elena li guida, come sempre quando si immergono, a cercare pesci, spugne ed altri animali strani. Aurelio e Michele, invece, lasciano la maschera e tutto il resto in barca.

– Oggi ho voglia di nuotare così, come si faceva un tempo, senza troppa tecnologia addosso. Ho voglia di sentirmi in puro contatto con il mare, festeggiare così l’evento incredibile che abbiamo vissuto. Le balene, Aurè… Ma chi ci aveva mai sperato?

– Michè, mi preoccupi. Non starai sviluppando una sorta di spiritismo naturista? A parte gli scherzi, sì, sono d’accordo con te. Il bagno di oggi ha un sapore diverso...

Dopo un pranzo frugale a bordo delle barchette, il gruppo rientra a Ponza ed attracca vicino alle piscine naturali, è ormai pomeriggio inoltrato.

– Fùfilo ci ha aspettati qui, buono buono. Posso riprendermi il pupazzo?

– Sì, Licia, certo. Grazie, piccola. Fùfilo è stato molto contento di avere il tuo pupazzo.

Gino, cinico e truce, in realtà, ha un cuore di panna!
Si preparano per la seconda notte a Cala Feola. La giornata è stata intensa, ricca di emozioni.
Sulla bellissima falesia bianca di ialoclastite, in una casa-grotta a picco sul mare, da sempre c’è un piccolo ristorante. Stasera il gruppo mangerà qui. Menù: frittura di paranza. Per l’occasione, Giovanni, il cuoco, abbonda con le alici. Per ricordare quanto sono importanti per la salute del mare. Anche a lui Elena ha fatto ’na capa tanta con la storia del fitoplancton!

– Grazie a tutti per la bella giornata. Mi tremano ancora le gambe per l’emozione. Mai come oggi, quando ho visto le balene, mi sono sentita parte del mare, una sua creatura. Propongo un brindisi al mare ed alla vita!

Elena, le sue emozioni, e il mare, che un tempo era il nostro peggior nemico…


Marco Mastroleo, Latina 31/01/2021

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 8 (il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

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Ringraziamenti:

Grazie a Giulia Santoro per il supporto ed i consigli.

Per saperne di più sulla Geologia di Ponza:

palmarola, stenelle, delfini, eruzione, dicco, lava, balena, barca elettrica, piscine naturali, ponza, cetacei, balenottera

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Giorno 2: L’acqua

SECONDA PARTE

Sono seduti sui gradini di fronte alla Chiesa di Le Forna, il sole comincia a calare, Michele ed Aurelio hanno appena finito di raccontare della loro scelta di vita quando Gennaro, un pescatore, gridando corre incontro al gruppo e gli chiede di seguirlo. Ché al largo, verso Palmarola, c’è una cosa da vedere. Un fenomeno stranissimo. Una cosa mai vista prima. Il mare è diventato verde, ed è pieno di cose strane, sembrano mostri alieni! 
Il gruppo scende lungo il sentiero, Michele ed Elena in testa, di corsa davanti a tutti. Quello che i pescatori hanno annunciato è “mestiere” loro!

Elena Marechiaro, biologa marina arrivata sull’isola perché attratta dal Progetto Clorofilìa, è una sognatrice, un idealista, oltre ad essere una scienziata famosa in tutto il mondo per i suoi lavori sulle capacità rigenerative degli ambienti naturali.
A Ponza è andata proprio per questo: partecipare al progetto era l’occasione per mettere in pratica tutto quello che aveva studiato. Un mare da usare come laboratorio. 
Eccoli lì, Elena e Michele, che corrono verso le piscine naturali di Cala Feola. Con gli occhi che brillano come quelle dei bambini, che li seguono a ruota. 
Arrivati alla cala, già da lontano, si accorgono che il mare è verde, di un bel verde, un verde speranza. Ed il loro respiro si fa più intenso. Gennaro, in poche parole, glielo aveva già annunciato, ma vederlo è un’altra storia. 
Prendono la loro barca, accendono il motore elettrico, che non fa nessun rumore; si sente solo il suono dell’acqua che sciaborda lungo le pareti dello scafo. La manovra Michele, Elena è troppo emozionata, si sporge dalla prua per vedere da vicino, per prima, quello spettacolo. Se sarà uno spettacolo...
E finalmente arrivano al largo, nei pressi di quella enorme chiazza verde che riempie il mare tra Ponza e Palmarola.
Michele ferma la barca, la lascia andare alla deriva. Si siedono, raccolgono campioni di quella grande macchia verde. Li esaminano, si guardano in faccia. Il cuore ormai gli batte talmente forte che sentono solo quello. E, inaspettatamente, entrambi, contemporaneamente, cominciano a piangere. Si abbracciano, sorridono, e piangono. Poi ridono, ridono di gusto, ridono col cuore, e di nuovo piangono, singhiozzano addirittura. E rimangono lì, imbambolati, a godersi quello spettacolo incredibile.

Sopraffatti dall’emozione, si sdraiano sul fondo della barca e continuano a piangere. Fino a che il cielo comincia a tingersi di rosso.
È ora di tornare a riva. 

Ormai tutto il gruppo è arrivato a Cala Feola. Hanno cominciato a prepararsi per la notte. Il campo viene allestito sopra le piscine, tra i cespugli e gli alberi. Alcuni, gli adulti, decidono di dormire all’addiaccio, il tempo lo permette.
Appena la barca si avvicina alla Cala, i bambini si ammassano sulla riva. Elena, la zia Elena, la zia che sa tutto di tutti gli animali e che quindi viene tartassata di domande, continuamente, in quel momento non è la Elena di sempre. È diversa dal solito. Ed i bambini queste cose le sanno, le capiscono al volo. Hanno dei chemiorecettori speciali per queste cose! La vedono lì, in piedi sulla prua della barca, con gli occhi gonfi e lo capiscono, che quella sera Elena sarà la bambina più piccola del gruppo. Quando scende dalla barca, le corrono incontro e la abbracciano, la tengono stretta stretta e le accarezzano la schiena, dolcemente.

— Bambini, stasera la storia della buonanotte ve la racconto io. Preparatevi e mettiamoci qui a guardare il tramonto, sogniamo insieme.

Quando ho cominciato a studiare gli animali, quelli che mi affascinavano di più erano i mammiferi, eleganti o soffici, simpatici o terribili che fossero. Il mondo dei mammiferi è incredibile, perché lo sentiamo vicino al nostro. In fondo, un cucciolo di leone somiglia ad un gatto ed un elefante è una grande capra con la proboscide. E tutti loro, un po’, ci ricordano qualcosa di noi stessi. 
Però poi, studiando e studiando, ho scoperto che la terra può anche fare a meno dei bellissimi canguri o degli orsi polari. Può anche fare a meno di noi uomini. La vita può andare avanti anche senza i mammiferi.
Invece, quello di cui la vita sulla terra non può proprio fare a meno, l’indispensabile, è “invisibile agli occhi”, ed ha a che fare con il mare. Per questo sono diventata una biologa marina!
Da piccola passavo tantissimo tempo a fissare il mare. Mi piaceva guardare le onde o semplicemente la linea dell’orizzonte. E mi sono sempre chiesta cosa ci fosse al di là di queste, lì dove il nostro sguardo non arriva. Il mare mi ha sempre dato la possibilità di sognare, di fantasticare. Un po’ come fa Francesca con i suoi pirati. Poi, crescendo, ogni volta che scoprivo qualcosa di diverso, che studiavo un nuovo argomento, tornavo al mare e lo guardavo con altri occhi: un enorme bicchiere pieno d’acqua, una mega strada su cui navigare per raggiungere luoghi lontanissimi, oppure semplicemente un gigantesco acquario nel quale incontrare animali sempre differenti. Alla fine, dopo un sacco di anni, ho maturato una mia visione. Un modo tutto mio di guardare a questo blu.
Avete mai visto quei giocolieri che fanno spettacoli usando le bolle di sapone giganti? Riescono a creare immagini incredibili gonfiando una sfera dentro l’altra e facendole volare insieme! L’ho sempre trovato molto affascinante. È un’idea così “fluida” della realtà!
Ognuna di quelle bolle, però, da sola non avrebbe lo stesso senso e valore che ha quando è insieme alle altre, quando si interseca con le altre! Quello spettacolo non sarebbe altrettanto affascinante se le bolle non si incontrassero, non si toccassero, non si sovrapponessero. E il segreto è proprio in questo: nella relazione fluida tra quelle bolle, in cui ognuna è “al servizio” dell’altra, dandosi senso e valore reciprocamente e dando senso e valore al loro insieme.
Ecco, il mare lo immagino così: una bolla in relazione con altre bolle. E queste bolle hanno un nome, secondo la scienza. Il mare e le altre acque presenti sulla terra si chiamano idro-sfera. Lito-sfera è la bolla delle rocce della terra; atmo-sfera, la bolla di aria, acqua e gas che circondano la terra e la rendono vivibile; bio-sfera, la sfera della vita, che le attraversa tutte e le tiene unite donando colore e vivacità a questo spettacolo fluttuante...
E, senza il mare, senza l’acqua, senza l’idro-sfera, la bio-sfera non potrebbe esistere. Se non ci fosse il mare non ci saremmo neanche noi. Nei pianeti senz’acqua la vita non si sviluppa. Ed è quindi da lì che discendiamo tutti, dal mare. E per questo lo amo. Per questo il mare è la mia vita.
Ho scoperto che, come in una lunga catena, tutti gli organismi viventi sono legati all’acqua. La biosfera, la vita, per “essere” ha bisogno del carbonio. È lo scambio di carbonio tra litosfera, idrosfera ed atmosfera che permette la vita. Uno dei trasportatori più efficaci e più antichi del carbonio è il plancton, quei minuscoli, microscopici organismi che vivono nelle acque. Quindi, tutti gli organismi viventi dipendono dagli organismi più piccoli e sottovalutati! Il ruolo del plancton è fondamentale per la vita sulla Terra, è alla base della catena alimentare. L’esempio più famoso è quello delle sardine. Le sardine mangiano il plancton, tutti i predatori mangiano le sardine: i delfini mangiano le sardine, gli uccelli pescatori mangiano le sardine, gli squali mangiano i pesci predatori, le orche mangiano i pinguini che mangiano le sardine eccetera… Anche gli uomini mangiano le sardine, e i pesci che le hanno mangiate… 

— Elena, tutta ’sta storia quando ti bastava cantare “Alla fie-e-ra dell’Est, per due soldi…”.

— E dai, Michè… Abbi pietà per le nostre orecchie! 

— Vabbè, vi risparmio. Ma non fatemi arrabbiare, ché riattacco!

— Però ha ragione, è così. Senza il plancton la fiera non si fa... Bravo, bell’esempio!

— Zia, ma che significa plancton?

— A cantare sono una capra ma di biologia me ne intendo. Ve lo spiego io!

“Plancton”, in greco antico, significa “vagabondo”, ma gli organismi che lo compongono, pur avendo un corpo denso quasi quanto l’acqua e  “galleggiando” benissimo, si muovono poco. È l’acqua che li trasporta in giro per il mondo. E quella del Plancton è una grande famiglia…  Una grande famiglia che include anche  il fito-plancton, cioè gli organismi unicellulari progenitori delle piante terrestri. “Fito” in greco significa pianta. Ieri Aurelio ci ha raccontato che, senza le piante, non ci può essere vita sulla Terra. Ecco, le piante discendono dal fitoplancton, che è verde come le piante! Quindi, si può dire, che il fitoplancton è il padre della vita sulla terra! Vai Elena, ti ripasso il testimone…

 — C’è anche un altro aspetto, il più importante. Il fitoplancton si chiama così perché, come le piante, fa la  fotosintesi. Anzi, se vogliamo essere precisi, è proprio il fitoplancton che ha “inventato” la fotosintesi,  grazie alla quale l’anidride carbonica ed i carbonati presenti nelle acque — il carbonio “inorganico” — vengono trasformati in carbonio “organico”, cioè in zuccheri. Gli zuccheri alimentano il fitoplancton, che aumenta la propria "biomassa" e, da qui, questo "cibo" viene trasferito agli animali marini: il fitoplancton viene mangiato dal plancton animale, che viene mangiato dalle sardine e così via, come abbiamo detto prima. Insomma, alla base della catena della vita c’è il fitoplancton!

Questo, al contrario delle piante, che immagazzinano l’anidride carbonica nel legno e nelle foglie, la rimette subito in circolo, creando la vita. È la cosiddetta “pompa biologica del carbonio”. E non è ancora finita! Facendo fotosintesi, il fitoplancton arricchisce l’acqua di ossigeno. Da qui l’ossigeno passa nell’atmosfera. Dunque, l’ossigeno che respiriamo proviene sia dalle piante terrestri che dal fitoplancton.

— “Alla fie-e-ra dell’Est…”.

— Michele, avevi promesso! Continua Elena, perdonalo! …

— Una volta morti, i microrganismi che compongono il plancton precipitano, portando in fondo al mare grandi quantità di carbonio, che non va nell’atmosfera ma si immagazzina in fondo al mare e diventa sedimento, fissandosi lì. 

— Capite perché oggi mi sono emozionata così tanto? Se manca il fitoplancton, questa catena che permette la vita si ferma. Ma oggi, in mare, ne ho visto tanto! Qui, davanti ai nostri occhi, ho visto la speranza! Ed è verde, verde come ogni speranza che si rispetti. E si chiama fitoplancton!

— Ragazzi, vedete… Come vi raccontavo prima — avete presente? Quando mi sono “attaccato” con la farmacista… — negli ultimi anni stavamo vivendo un processo terribile per il Pianeta, quello che abbiamo chiamato “riscaldamento globale”.

Nell’atmosfera si era accumulata molta anidride carbonica, che ha creato il cosiddetto “effetto serra”. La temperatura dell’atmosfera si è riscaldata e, di conseguenza, si sono riscaldati anche i mari…

— E siccome è proprio lo scambio di calore con l’atmosfera che fa partire le correnti marine, alcune correnti “verticali”, che portano i minerali dal fondo del mare verso la superficie, si erano rallentate. Quindi il fitoplancton aveva sempre meno da mangiare e stava diminuendo, velocissimamente. Si stima che dal 1940 al 2020 fosse diminuito quasi del quaranta percento!

— ’Na catastrofe… 

— Mentre tutto il mondo parlava di diminuire le emissioni di anidride carbonica per rallentare il riscaldamento globale ed i botanici urlavano che bisognava salvare le foreste, noi biologi marini ci sgolavamo nel dire che bisognava salvare il fitoplancton, che quella doveva essere una priorità assoluta… 

Qui, con il Progetto Clorofilìa, con Spazzolo e con gli altri robot creati da Arianna e da Gino, abbiamo provato, nel nostro piccolo, come se questo pezzo di mare fosse il nostro laboratorio, a riattivare il ciclo vitale del fitoplancton. Abbiamo studiato i fondali, studiato le rocce, le correnti; abbiamo scavato nei porti, pulito, filtrato le acque del mare, abbiamo limitato il traffico di navi e barche, abbiamo fatto tutto ciò che era possibile, per più di dieci anni… Ed oggi, finalmente, eccolo lì il nostro miracolo… Il miracolo di questo mare che ha ripreso a respirare… Quella macchia verde di fitoplancton. Una bellissima fioritura, che ci fa sperare, come i fiori sugli alberi a Primavera…

— Zia, quindi, cosa potrebbe succedere ora?

— Nei prossimi mesi potremmo vedere aumentare i pesci azzurri come le alici e, forse, torneremo a vedere i delfini, numerosi come erano un tempo intorno a quest’isola e, ora sogno ad occhi aperti, le balene… Che bello sarebbe vedere le balene qui…

— Wow, le balene!

— E le foche, zia?

— Per le foche ci vorrà qualche anno in più. Sono più… “delicate”, ecco.

— Stanotte voglio sognare le balene, zia, o almeno i delfini… 

— Certo, Luca. Sarebbe bellissimo.

— Sì, meglio dei pirati, almeno se sogni le balene non distruggi la tenda come ha fatto Ettore stamattina!

— Ah ah, giusto! Buon sogno di balene a tutti, allora. Buona notte bambini.


Marco Mastroleo, Latina 20/01/2021

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 6 (il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

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Ringraziamenti:

Grazie a Giulia Santoro per il supporto ed i consigli.

antropologia, teleologia, ecologia, piscine naturali, ponza

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da un'idea di Marco Mastroleo

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