PROLOGO

“Queste isole sono un grande parco giochi. Un passatempo per giganti, create per intrattenere esseri incredibili, immensi, di cui si è persa la memoria. Sono pezzi di mondo in cui è concesso cambiare l'ordine delle cose.

Così sono nate, e così sono ancora oggi. È per questo che ogni tanto vi racconto questa storia. Per non dimenticare in che posto ci troviamo: in una grande parentesi tra i fatti del mondo.

La prova? È lì, scolpita nella roccia. È rosso sangue, ed è il sangue del cuore di una donna.

Ponza è nata dal fuoco, da una esplosione di lapilli e lava, dal fumo e dalle dense polveri del vulcano. È stata forgiata da Efeso, dio del fuoco, in persona. È così che la immagino, alle origini.

Chiudo gli occhi ed è come se fossi lì, al momento della sua creazione: una grande colonna di fumo si sprigiona dalle acque, si gonfia nel cielo, si espande e poi ricade giù, portando con sé rocce e polveri e, strato dopo strato, compone queste isole come una torta millefoglie. Ed eccolo lì, Efeso, tenaglie e fuoco alla mano, a condurre fiumi di lava attraverso questa polvere di tufo, a creare dicchi di lava e pareti di roccia pura, le ossa delle isole.

Poi è arrivata l'ora dei giganti, i folli giganti.

Zeus gli aveva concesso di passare del tempo qui, per tenerli lontani dal resto del mondo. E loro hanno spostato queste pietre, hanno addolcito queste colline. Hanno scavato queste calette, hanno scolpito queste falesie…

Li vedo, qui, intenti a sudare e scavare a mani nude nel morbido tufo e con i picconi nella pietra lavica. A faticare e creare, follemente. Zeus li voleva lontani dal mondo, ed ha creato Ponza e Palmarola per dargli modo di tenersi occupati. Si riposavano dalle loro enormi, immense, straordinarie fatiche sdraiati sulla spiaggia di Frontone. Da lì, un giorno, uno di loro vide passare una nave, a bordo c’era una donna. Rimase a fissarla a bocca aperta, a lungo. Poi si gettò in acqua e con poche bracciate raggiunse l'imbarcazione. Strappò dal ponte quella donna meravigliosa e la portò sulla spiaggia.

Si chiamava Ilia, ed era davvero stupenda. Lunghi capelli castani e ricci, occhi profondi come il mare, bocca magnifica.

Ilia la bella si ribellò. Non voleva diventare l'amante di un gigante e non si concesse mai. Scappò in lungo ed in largo per l'isola fino a che, un giorno, il gigante la raggiunse e, in preda alla furia, le strappò via il cuore dal petto, lo lanciò sulla bianca parete della spiaggia di Frontone, dove l'aveva vista per la prima volta, e lo trafisse con una lancia, per lasciarlo appeso lì: un manifesto della sua follia.

Come i greci ci insegnano nei loro miti, le immense passioni, senza il controllo della razionalità, non possono che degenerare. Così era per il gigante, troppo grande per provare emozioni equilibrate, umane, era furioso e pazzo d'amore allo stesso tempo. 

Dopo questo gesto, il gigante si lasciò morire.

Il cuore di Ilia però, è ancora lì, sulla falesia, che gronda sangue, passione e immensità. Ora i ponzesi lo chiamano semplicemente 'o core.

Giungendo all’Isola, prima di attraccare nel porto, ci si passa davanti, quasi in processione. È un monito, un avvertimento per chi arriva: qui la bellezza può uccidere e le passioni si vivono intensamente, o non si vivono affatto!

Così siamo noi: pazzi, appassionati come quei giganti.

Solo, speriamo, meno irruenti!”.

— Zio, scusami, ci sono un po' di cose che non mi tornano in questo racconto! Per prima cosa: un gruppo di isole vulcaniche non può formarsi da un giorno all'altro, ci vogliono migliaia di anni di piccole eruzioni che emettono materiale un po' per volta, come a Stromboli. E poi, se fossero state scavate dai giganti, si vedrebbero i segni dello scavo, come nella galleria romana vicino casa…

— E poi, se 'o core fosse davvero un cuore, sarebbe… di carne, col sangue insomma… Quindi con gli anni dovrebbe diventare nero, non rosso, giusto?

— Bambini, per una volta, non potevate lasciare intatta la magia della narrazione? Cavolo!

— Vabbè Aurelio, ci hai provato, onore al merito. Ci provi sempre… È che questi sono troppo razionali.

— Più scassionali direi!

— Oggi avevi anche creato la scenografia... racconto intorno al fuoco: niente male!

— Se non si de-razionalizzano così, cos'altro posso inventarmi?

— Certo, nel racconto ci potevi mettere qualche termine scientifico in più, tipo, che ne so: flusso piroclastico, o cono vulcanico… Non hai neanche specificato dov'è la caldera del vulcano, che t'aspetti?

— Ah ah ah…

— È che vivere su quest'isola, così, come noi, ha i suoi pro ed i suoi contro.

— È che questa generazione è diversa dalla nostra. Sempre a spaccare il capello in quattro su tutto. Non riescono proprio a staccare la spina della ragione ed a sognare un po'.

— Fantasticare…

— Sì, fantasticare. Cosa sarebbe stato di noi se, oltre alla nostra scienza, non avessimo usato la fantasia, nella vita?

— Non saremmo qui.

— Infatti, non saremmo qui!

— A raccontare storie antiche per far volare i nostri figli un po' più in alto, oltre i limiti che impone il confine di questa piccola terra.

— Ahó, che poesia!

— Uhm…

— Comunque, è normale che un gruppo di bambini, cresciuti su un'isola in mezzo al mare, ad almeno un'ora di nave dal resto del paese, figli di un gruppo di scienziati…

— Scienziati!? Quello è un ingegnere, quell'altro un antropologo, l'altro un contadino…

— Agronomo!

— Vabbè…

— Dicevo: un gruppo di scienziati… e tecnici. Va bene? Dei bambini così non possono che essere influenzati dall'arte della razionale sopravvivenza che i loro genitori mettono in campo ogni giorno, da prima che loro nascessero!

— Certo, è vero! Sentono sempre e solo parlare di "trovare una soluzione per…". Come possono lasciarsi andare alla fantasia?

— Sì, bella la storia dei giganti raccontata intorno al fuoco, di notte. Fico! Bella idea. Però, mi sa che dobbiamo inventarci qualcos'altro!

— Idea: prendiamoci tre o quattro giorni di pausa. Attraversiamo l'isola a piedi. A caccia di storie e di racconti antichi. Anche non veri, inventiamo!

— Bella idea, sì! Dormiamo all'addiaccio, cantiamo, parliamo e inventiamo storie. Mi piace!

— E bravo l'antropologo… approvato!

— Ok. Deciso allora: gli trasmetteremo un po' della nostra fantasia, lontano da tutto quello che abbiamo costruito.

— Sì, facciamogli vedere quello che abbiamo visto noi quando siamo arrivati qui e perché abbiamo cominciato a sognare…

Che non tutto sarebbe andato secondo i piani, i nostri scienziati avrebbero dovuto sospettarlo! Sapevano con chi avevano a che fare. Anche se, a dire la verità, secondo me la storia intorno al fuoco, l’atmosfera antica, il rumore del mare di sottofondo non erano solo per i bambini. Aurelio e i suoi erano sì preoccupati di regalargli un po’ di romanticismo ed una visione del mondo meno razionale ma, forse, ne avevano bisogno anche loro: avevano bisogno di un po’ di leggerezza!
È il 2040, siamo nel bel mezzo della crisi climatica più grande che il mondo abbia mai affrontato e pochi come loro hanno provato a fare qualcosa di concreto.
Quando vent’anni prima immaginavamo il futuro le opzioni possibili erano sostanzialmente due: post-apocalittico per i più pessimisti, me compreso, o iper-tecnologico. Ci immaginavamo ibernati, in crociera su una nave spaziale “supermegagalattica”, in viaggio verso un altro mondo abitabile o qualcosa del genere, dalle parti di Alfa Centauri. Oppure, più o meno contemporaneamente, ci vedevamo vestiti da soldati medievali, con stracci anni Novanta e spade realizzate con frammenti di acciaio, reduci da una catastrofe di qualche tipo, in lotta per la sopravvivenza. E i due scenari potevano anche essere contemporanei: quelli “fichi”, intelligenti e dotati di geni buoni, in viaggio verso Alfa Centauri, per salvare la razza umana; gli sfigati ad ammazzarsi sulla terra, magari sotto il controllo dittatoriale di qualche macchina diabolica o di qualche scimmia transgenica. E invece niente, nessuna delle due!
Sopravviviamo, come prima: ci spostiamo in auto come prima, mangiamo cibi industriali come prima e, come prima, accompagniamo il tutto con “fighettissimi” vini di alta qualità o popolari birre artigianali. E ci cambiamo mutande e maglietta tutti i giorni… manco questo è cambiato!
Neanche una tutina super hi-tech che cambia colore con la forza del pensiero ci è toccata!
Un futuro noioso e triste, secondo qualche sceneggiatore di Hollywood…
E invece no, perché tutto sommato stiamo bene. Non dobbiamo scannarci per la sopravvivenza, le macchine non hanno preso il sopravvento e non siamo morti tutti (o quasi) durante una qualche catastrofe!
E se il “futuro” che viviamo è diverso da come lo avevamo immaginato non significa che non è cambiato niente, che tutto è fermo al 2020. Non significa che questo futuro sia meno “futuro”. Solo, è andata meglio del previsto!
Che poi me lo chiedevo sempre vent’anni fa, in qualche raro sprazzo di ottimismo: ma perché deve per forza andare tutto male? Perché l’unico scenario ipotizzabile deve essere per forza quello di un’umanità post-apocalittica o controllata dalle macchine? Perché non riusciamo ad immaginare che potremmo addirittura imparare dai nostri errori? Che potremmo anche, ogni tanto, risolverli, un po’ di problemi. Magari se cominciassimo a prendere in seria considerazione la scienza…
Questo pensavo, e credevo di essere solo.
Mi sentivo solo.
Invece c’erano loro, Aurelio e i suoi, che quel futuro diverso, nel 2020, stavano già iniziando a costruirlo. Sapevano sognare…
A dire il vero, a raccontare storie romantiche Aurelio ci aveva già provato, ma con scarsi risultati:

“Da anni, qui a Ponza, facciamo campagne informative per i pescatori, invitandoli a fare attenzione, a praticare la pesca sostenibile e, soprattutto, a non trascinare nelle reti delfini, tartarughe, squali ed altri animali che, purtroppo, nelle reti, ci finiscono per sbaglio. Ma, a volte, le storie possono più degli slogan. Infatti, nella coscienza dei ponzesi era già molto presente il rispetto per i grandi abitanti del mare: se lo tramandavano di generazione in generazione attraverso il racconto dei tre pescatori e del delfino.

Raffaele e Carmine avevano, insieme al fratello Amerigo, una barca da pesca, costruita nei cantieri di Santa Maria, dove abitiamo noi. Un giorno, uscendo a pesca, vicino agli scogli delle Formiche avevano incontrato un bel banco di pesci. Sardine, mi pare. Ed avevano calato le reti. Purtroppo però, oltre alle sardine, avevano tirato a bordo anche un delfino. Subito cercarono di liberarlo, districando la rete e tagliandola in più punti, e nel frattempo lo bagnavano continuamente con delle secchiate d'acqua. Il povero delfino, all'inizio, si dimenava e si lamentava. Poi, una volta capito che i tre stavano cercando di aiutarlo, si calmò. Dopo un po' di tempo riuscirono a rimetterlo in acqua ma il delfino, invece di prendere il largo, continuò a seguire la barca, come per ringraziarli per quel favore. Il giorno dopo, quando i fratelli uscirono a pesca, lo trovarono ad aspettarli e lo seguirono in mare. Si sa, i delfini sanno sempre dove c'è abbondanza di pesce!

Da quel giorno, i tre pescatori cominciarono a tornare in porto con la barca sempre piena di pesci, anche quando gli altri tornavano a mani vuote. Svelarono il loro segreto solo dopo che il delfino fu morto e loro furono troppo anziani per poter uscire a pescare.”

— I delfini non esistono! Io non li ho mai incontrati, quindi non esistono! Sono una leggenda!

— Zio, i delfini sanno dove c'è tanto pesce? Come lo sanno? Cioè, che senso usano?

— Ma no. Non ci credo! Non è possibile che due uomini seguano un delfino tutti i giorni. I delfini vivono in branco. Perché questo ha deciso di vivere isolato? Una volta libero poteva tornarsene dagli altri, non dovevano essere troppo lontani! Questa storia non regge.

— Infatti, non è credibile!

— Infatti, neanche esistono i delfini…

— Bambini è una storia, una leggenda, serve ad insegnare qualcosa, non per forza deve essere vera.

— Almeno un po' credibile, però. Almeno questo!

— Ma, secondo voi, questa cosa dei delfini che sanno sempre dove c'è pesce si può sfruttare?

— Wow, sì! Bella idea. Se li seguiamo, possiamo raggiungere i banchi migliori!

— Almeno questo, della storia che ci ha raccontato zio, è vero!

— Nooo, i delfini non esistono! Chi li ha mai visti?! Viviamo su un'isola in mezzo al mare e non li abbiamo mai visti. Possono esistere secondo voi?

— Potremmo montare un GPS su uno di loro e seguirlo, ogni giorno, per trovare il pesce!

— No, e se poi quel delfino su cui montiamo il GPS si rimbambisce, come quello della storia, e non va più col branco? Non ci indica più dove sono i banchi di pesce…

— Sì infatti, troppo rischioso. Bisogna seguire tutto il branco.

— E ci vuole un metodo che non gli faccia del male.

— E non possiamo spaventarli, altrimenti scappano. Così peschiamo bene un giorno, ma poi non li troviamo più!

— Sì, bisogna seguirli e pescare con loro senza farci vedere, o almeno, senza dare fastidio.

— Droni! Seguiamoli con i droni, che ne dite?

— Sì! Droni con una telecamera ad ultrasuoni, che emettiamo per sentire il richiamo dei delfini. I suoni li troviamo su internet. Quando il drone ne scova uno, ce lo segnala…

— E come peschiamo silenziosamente?

— Ci vuole una barca elettrica, silenziosa.

— E le reti? Se caliamo le reti rischiamo di pescare anche i delfini, come nella storia!

— Dobbiamo fare delle reti a forma di imbuto, che non lascino passare i delfini.

— Prendete un tablet, dai! Andiamo a progettare …

— Sì, sì, progettate. Tanto i delfini non esistono!

Ci aveva provato ancora e ancora e dopo l’ennesima storia, quella sui giganti folli, con cui avevano finalmente mandato a dormire quei bambini così poco propensi ad usare la fantasia, me li immagino così, a chiacchierare intorno alle ceneri del fuoco:

— Che razza di bestie abbiamo cresciuto? Gli raccontiamo storie di delfini e loro progettano macchine. Altri bambini sarebbero rimasti a sognare ad occhi aperti di fare amicizia con un delfino, di nuotare con lui, di parlarci, che ne so?! Loro? Loro no, loro progettano! E se gli racconti storie di giganti e di vulcani cercano il cavillo, l’inesattezza scientifica e tecnica!

— Ci vuole proprio, questa camminata tutti insieme. Bella idea. Anzi, penso sia davvero urgente. Dobbiamo renderli un pochino più… umani. Dobbiamo insegnargli la passione, quella più profonda, quella irrazionale, che muove il mondo…

— È la nostra storia, in fondo. Il motivo per cui siamo qui è molto legato alla passione irrazionale. Quanti uomini e donne sani di mente avrebbero scelto questa vita? Forse, se i protagonisti del racconto diventiamo noi, se le storie diventano quelle che abbiamo realmente vissuto, riusciamo davvero ad appassionarli!

— Io direi di preparare tutto e partire domani.

L’idea del viaggio è nata così, e mi piace lasciarla intatta, nel momento della sua creazione. Un trekking per raccogliere storie e raccontarle. Le loro storie e quelle di questa piccola isola che ha contribuito a cambiare il corso degli ultimi venti anni grazie al progetto Clorofilìa. Mi sarebbe piaciuto molto farne parte ma, purtroppo, sono arrivato troppo tardi. Posso solo limitarmi a raccontarvelo, riportando come sono andate le cose.
Insomma, farò il cronista, come si faceva per i viaggi del passato. È un’idea romantica, mi piace.
E, quindi, partiamo …

Marco Mastroleo, Latina 20/12/2020

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 1 (il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

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Ringraziamenti:

Grazie a Giulia Santoro per il supporto ed i consigli ed ai racconti del mitico libraio di Ponza, Silverio Mazzella, che mi hanno ispirato per le vicende del Gigante e dei pescatori.

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da un'idea di Marco Mastroleo

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