Giorno 2: L’acqua

PRIMA PARTE

Il giorno dopo, al risveglio, mentre i grandi trafficano con fornelli, caffè e colazioni varie, da una delle tende arriva un grido: “All’arrembaggio!”.  E la tenda comincia a tremare, come se si fosse alzata una tempesta. Si scuote, si gonfia, balla e, ad un certo punto, salta! Una tenda saltante e urlante!

Tutto il campo si ferma, in silenzio, a guardare lo spettacolo. Stupiti, sono tutti stupiti ed immobili.

Poco dopo è Francesca a rompere il silenzio.

— Attenti! Altre galee all’orizzonte — urla. — L’Ammiraglio Doria ha chiamato rinforzi, siamo inferiori di numero, non possiamo farcela, scappiamo! Torniamo alle nostre navi, pirati!

Dalla tenda indemoniata viene fuori un folletto scapigliato, con gli occhi cisposi e imbarazzato:  Ettore

— Scusate, stavo giocando… 

Tutti scoppiano a ridere e, finalmente, anche gli altri bambini iniziano a correre e gridare.

— Sono Dragùt, il terrore del Mediterraneo!

— All’attacco! 

— Ammainate le vele!

Un mucchio di piccoli pirati scalmanati, conciati alla meno peggio con teli e asciugamani, scorrazza tra i fornelli e le tende, “sventolando” bastoni.
Ettore è il figlio di Aurelio e Arianna. Ha tredici anni, è alto e forte abbastanza da sembrare un adulto ma ha sempre la testa per aria, come fosse un bambino di otto anni. Sua sorella maggiore, Laura, quindici anni, fa l’adulta per entrambi. Sono in perenne discussione: litigano, urlano, strillano ma la scena finisce sempre con Ettore che, come i dicono i suoi romanissimi genitori, la “butta in caciara” e così i due cominciano a ridere, rincorrendosi o facendo finta di picchiarsi. Stavolta Laura “l’adulta”, non ha neanche parlato, la cosa le è sembrata troppo divertente e si è subito impiratata come gli altri.  
In questa atmosfera allegra e spensierata il gruppo si rimette in cammino. Costeggiano la miniera dalla quale fino al 1970 si estraeva bentonite (un minerale vulcanico usato nelle fonderie per la produzione di ferro e acciaio) e prendono la strada che scende fino alla baia di Cala dell’Acqua.
Sono ormai le 10,30 così decidono di fare un bel bagno e di fermarsi in spiaggia per il pranzo.
La storia dei pirati continua anche in riva al mare. Ogni barca che vedono è per i bambini una galea da affondare o sulla quale andare all’arrembaggio. Per loro si è aperto un mondo nuovo: finalmente sembra che lascino spazio all’immaginazione. In fondo, era proprio questo lo scopo del viaggio.

Dopo pranzo si rimettono in marcia. Risalgono sulla strada provinciale, direzione Sud-Ovest. Sono le ore più calde del giorno ma il venticello che spira lì, sul dorso dell’isola, rende la passeggiata quasi piacevole. 

Alle 16,30 arrivano a Le Forna. Il vento leggero che li ha accompagnati per un po’ aveva infine preso un’altra direzione, così ora, dopo quel lungo tragitto, sono stanchi ed accaldati.
Decidono di sedersi sulla scalinata che guarda la chiesa, a prendere un po’ d’ombra e a riposarsi prima dell’ultima tappa. Hanno in programma di accamparsi a Cala Feola, vicino alle piscine naturali, e godersi il tramonto da lì.

— Vi abbiamo mai raccontato di quella volta in cui io ed Aurelio siamo venuti qui a Le Forna ed ho quasi litigato con la farmacista?

— Sì Michele, racconta di come ti ho salvato! Se non fossi arrivato io, il progetto Clorofilìa sarebbe morto lì, quel giorno, ancora prima di iniziare. Disgraziato...

— Zio Michele, solo tu puoi aver fatto una cosa del genere! Dai, racconta! 

— Ok ok. Come sapete, sono un ecologo.  E gli ecologi studiano gli ecosistemi, le interazioni tra gli organismi all’interno di un ecosistema. Sono talmente tanto “tarato”, come si dice a Bari, che applico questo punto di vista a tutto quello che faccio. È un vizio di noi uomini di scienza, non possiamo fare a meno di fare gli… scienziati in tutti i contesti! 

— Lo sappiamo, zio. 

— Grazie per la precisazione, Ettore. Tu e Laura siete le mie cavie preferite! Ho sempre voluto capire come è possibile che dall’incrocio tra un antropologo ed un’ingegnera siano potuti nascere due figli normali…

— Quasi normali, dai…

— Aurè, se lo dici tu. I figli so’ i tuoi… Vabbè, stavo dicendo che non posso fare a meno di fare l’ecologo... Un giorno abbiamo deciso, io e Aurelio, di andare a farci un bagno alle piscine. Ma siccome la sera doveva arrivare una mia amica da Bari, col traghetto, prima di scendere alle piscine volevo fare scorta di preservativi… 

—  Michele! Ci sono i bambini… 

— Arià, e che si scandalizzano per queste cose naturali?! Vabbuó, dicevo, venni a far scorta qui alla farmacia di Le Forna. Entrai, chiesi  quello che dovevo chiedere… 

— Cioè i preservativi, vero zio? 

— Arià, come vedi… Vabbuó, dicevo…  Chiesi quello che dovevo chiedere e la farmacista mi guardò dall’alto in basso, “con occhi di bragia” direbbe la nostra archeologa, e mi fece: “Lei, signore, dovrebbe vergognarsi. Questo gesto dimostra che è contro la vita!”.
A me? Ad un ecologo vai a dire che è contro la vita? ’Stà scema... E già mi giravano, ma stavo sopportando. Poi aggiunse: “Pregherò per lei, perché si redima e torni sulla giusta via, pregherò per lei e per la vita”.
Mi giravano sempre di più ma riuscii ancora a trattenermi e le risposi in maniera gentile che io di vita me ne intendevo, la studiavo in tutti i modi possibili e che quello di cui parlava lei con la vita non aveva niente a che fare. Ma quella, tutta serafica (e presuntuosa pure), riattaccò:  “E allora perché non decide di prendersi tutti i figli che Dio le dona?”
Mho’!  Non ci vidi più! Ma lo capite? Uno passa ... una vita … a studiare le popolazioni, gli ecosistemi, gli equilibri e si deve sorbire ’sti pipponi? E no!
Cominciai a dirle...

—  E della gentilezza, ormai… nessuna traccia… 

— … che forse lei non se ne rendeva conto ma eravamo nel 2019, sull’orlo della più grande crisi ecologica che la Terra avesse conosciuto negli ultimi sessanta milioni di anni, che questo problema era causato soprattutto dal fatto che noi esseri umani eravamo troppi, che ci eravamo presi già più risorse di quelle che ci spettavano e che il pianeta era in crisi. Che proprio quel giorno cadeva l’Earth Overshoot Day ed eravamo solo al 29 luglio e che questo significava che, da quel giorno in poi fino alla fine dell’anno, avremmo consumato risorse sottraendole alle future generazioni, che stavamo mangiando e prendendo molto più di quello che la Terra poteva darci, che questa cosa significava che tutti quelli che sarebbero nati, i nostri figli, avrebbero dovuto fare i conti con la fame e la sofferenza, se noi non avessimo preso qualche contromisura, e che, se proprio ci teneva tanto alla  vita, di queste cose doveva preoccuparsi, non di un povero squattrinato che si compra un pacco di preservativi. E, soprattutto, che prima di giudicare qualcosa o qualcuno bisogna conoscerli e capirli! 

— Sì, Michele, tutto vero, peccato che mentre lo dicevi ti scappava pure qualche bestemmia in pugliese e qualche frase che capivi solo tu. E, in ogni caso, hai dimenticato un particolare fondamentale!

— Che particolare, Auré? Non mi ricordo!

— Le hai detto, tra mille parolacce, che non doveva farsi “ottenebrare il cervello” dalla sua religione. E mentre lo dicevi sbavavi rabbia… Non è proprio il modo migliore per farsi ascoltare e diffondere le proprie idee, ah ah ah…

— Eh! Ridi, ridi… C’era poco da ridere, con quella… Io le parlavo, e lei mi guardava come si guarda un povero pazzo. Ferma come una statua di cera co’ ’stó sorrisetto del cazzo, di una che ti sta a giudicare... Mi faceva salire il sangue al cervello, porca miseria!

— E me lo ricordo. Bene me lo ricordo! Perché, mentre tu non puoi fare a meno di fare l’ecologo, io non posso fare a meno di fare l’antropologo. E intervenni. Mi misi in mezzo e spiegai alla signora che, purtroppo, lei aveva toccato un tasto dolente, che il povero Michele lì presente era disperato e turbato proprio perché il suo desiderio più grande, il sogno della sua vita, era quello di avere dei figli. Ma che la sua condizione lavorativa — il precariato, l’Università eccetera — non gli permettevano neanche di avere una casa fissa, figuriamoci un figlio, e che lui ne soffriva terribilmente. Era proprio turbato! E questo bastava a spiegare la sua reazione, senza dubbio esagerata, al buon consiglio che la signora era stata così gentile e premurosa da dargli. Ho salutato ed ho accompagnato lo “smadonnante Michele” fuori dalla farmacia. E l’ho anche costretto a chiedere scusa.

— Eh! L’eroe… 

— Sì, testa d’abbacchio! Come ti ho spiegato già quella volta, e come continuo a ripetere a tutti voi da vent’anni a questa parte, ricordiamoci sempre che noi siamo ospiti dell’isola. Siamo di passaggio, come moderni Ulisse nell’isola di Ea. Se vogliamo essere accettati, dobbiamo mimetizzarci e non esagerare. Di certo litigare con la farmacista, dirle che la sua fede le “ottenebra il cervello” e sputarle addosso parolacce e insulti in barese, non era un buon modo per cominciare!

— Hai ragione Aurè, però mo viene il bello di questa storia. Posso raccontarlo io?

— Vai, vai pure, sono curioso di sentire cosa tiri fuori... Tralascia i particolari dell’amica di Bari che aspettavi, che ti ha lasciato all’asciutto e che proprio mentre era con noi sull’isola si è fidanzata con un romano conosciuto qui...

— E meno male! Sennò non avrei mai potuto conoscere l’amore della mia vita, Alisea Rossi, la divinità della chimica che è arrivata sull’isola a settembre, quasi alla fine di quell’estate. Baci, amore mio…

— Ruffiano! Baci anche a te! Diciamo che quei cosi che hai comprato erano pure difettosi, visto che meno di un anno dopo era già nata Elettra…

— Vabbuó, vado avanti nonostante l’evidente ostilità nei miei confronti, branco di maravuottoli che non siete altro! Dicevo che, usciti dalla farmacia, il nostro caro Aurelio mi fece il cazziatone e mi spiegò che, purtroppo, gli esseri umani non sono oggettivi, che c’erano studi recenti che dimostravano che quando vengono loro proposte due spiegazioni, una di natura causa-effetto e una di carattere animistico, gli uomini scelgono più frequentemente la seconda.

— Cioè, siamo antropocentrici ed egocentrici. Tendiamo a personalizzare sempre tutto e questo, spesso, vince sulla nostra razionalità; vediamo il divino ovunque, il nostro cervello tende a vedere “messaggi”, “segni” divini diretti a noi, ovunque, non riusciamo a farne a meno… “Se è caduto un fulmine è perché ho fatto arrabbiare un Dio!”. In questo modo per millenni abbiamo spiegato fenomeni che non si potevano comprendere. Poi abbiamo cominciato a chiederci il perché degli eventi ma quel retaggio persiste, in molti in maniera ancora molto forte, e spesso l’irrazionale prevale ancora sul razionale... Scusa, Michè, ci dai la traduzione di maravuottoli?

— Rane... Ranocchie che non siete altro...

I bambini scoppiano a ridere e, dandosi dei maravuottoli,   cominciano a gracchiare ed urlare correndo per il piazzale della chiesa. Ci vuole un po’, per ristabilire la calma. Soprattutto ci vuole l’intervento di Alisea e Arianna.
Il buon Michele, nonostante sembri allampanato e distratto, in realtà conosce ed usa benissimo i tempi del cabaret! Ogni buon cabarettista, però, ha bisogno di una spalla; così Alisea e Aurelio, che non riescono a rinunciare a queste scenette al limite dell’imbarazzante, gli danno corda e gli “lanciano” la corsa. Li conosco da poco tempo ma scenette di questo tipo ne ho già viste, un bel po’. Il copione è più o meno sempre lo stesso: Michele si lancia in un racconto pieno di aneddoti e personaggi macchietta, Aurelio e Alisea lo prendono in giro e lui comincia a “smadonnare” in pugliese. Un teatrino…
La cosa che mi sorprende e diverte, ogni volta, è pensare che, ancora oggi, nel 2040, quando i dialoghi degenerano o diventano, per così dire, folkloristici, fiorisce il dialetto!
Gli italiani ormai parlano quasi senza accento, tanto che è diventato difficile capire chi viene dal Nord, dal Centro o dal Sud del Paese,  parlano bene in inglese, e qualcuno anche in cinese (come potevamo farne a meno…?), ma in certi contesti non rinunciano al dialetto! Non c’è niente da fare, alcune espressioni, se devono essere “condite”, devono essere in dialetto!
Così, anche questo racconto è andato nello stesso modo. Finito il teatrino, Michele ricomincia a raccontare:

— Insomma, quell’episodio e le parole di Aurelio sull’irrazionalità degli uomini mi avevano insegnato una cosa importantissima: non potevamo andare in giro a raccontare le cose come stavano punto e basta.

— Dopo quanto accaduto, io e Michele ci siamo chiesti se il nostro lavoro di scienziati avrebbe avuto senso e scopo se fosse rimasto confinato solo all’ambito accademico, se avessimo continuato a confrontarci solo con “addetti ai lavori”... Per quanto possa sembrare strano, la nostra è stata una conversazione molto profonda e la risposta che ci siamo dati è stata, ovviamente: no! Bisognava trovare un modo per parlare di scienza alla gente, in un linguaggio che fosse comprensibile a tutti. 

— Non solo, bisognava fare presto, molto presto. Il riscaldamento globale era sempre più accentuato, le cose andavano più velocemente del previsto. Proprio nell’estate del 2019, in Siberia ci fu un enorme incendio che mandò in fumo centinaia di migliaia di ettari di foresta e di torba. Milioni di tonnellate di CO2 in atmosfera, effetti collaterali sugli ecosistemi difficili da immaginare... Era URGENTE cominciare a fare qualcosa. Fare e basta, però, non era sufficiente. In giro per il mondo c’erano migliaia di scienziati impegnati nel FARE, eppure alla gente sembrava non importare!

— Ancora una volta l’analisi antropologica era semplice: il cervello umano è strutturato per comprendere facilmente le cose che riusciamo a vedere, a toccare ed a percepire come imminenti. Siamo programmati per capire bene il “qui ed ora”. Il cambiamento climatico non rientrava in queste categorie. Era una cosa troppo astratta, troppo lontana. Noi uomini facciamo fatica a comprendere fenomeni lenti, grandi, con i quali interagiamo solo in piccola parte. Per comprendere un fenomeno, questo deve riguardarci direttamente... Un incendio in Siberia? E vabbé, basta che non sia vicino a casa mia!
Proprio in quegli anni, gli psicologi cognitivi e gli scienziati che studiavano lo sviluppo del cervello, lo stavano dimostrando con forza: noi uomini tendiamo ad avere un atteggiamento “teleologico”, a cercare un fine per le nostre azioni. Per spiegare un fenomeno preferiamo cercare una causa che in qualche modo ci riguarda: “Devo aver fatto arrabbiare un Dio!” Crediamo nel destino e nella conseguenza animistica delle nostre azioni.  Preferiamo semplificare le cose complesse cercando di trovare una sola causa.
Questo meccanismo, dal punto di vista evolutivo, ci ha aiutato molto, perché ci ha permesso di prendere velocemente decisioni importanti per la sopravvivenza. Come in guerra, ad esempio, quando le ideologie e le religioni contano più della ragione e permettono di non farsi venire “dubbi” su chi sia giusto ammazzare e chi no. Ma nel 2019 non aveva più senso! Il mondo era diventato troppo interconnesso e ramificato. E sempre più intricata era anche la nostra relazione col mondo. Bisognava fare un salto evolutivo! E quello era il momento di farlo. Doveva esserlo, se si volevano evitare conseguenze irreparabili… 

— D’altra parte, proprio in quegli anni, c’era chi faceva leva sul meccanismo che abbiamo appena descritto per trarne dei vantaggi, specie in politica. Per raggiungere l’obiettivo sfruttavano i social network, le fake news, i video e gli slogan. Lo avevano fatto Santini in Italia,  Donald J. Fuff in America, i fautori della Brexit in Gran Bretagna…  Ed erano riusciti ad accrescere il loro consenso e il loro potere. 

La gente faceva fatica ad arrivare a fine mese, non trovava lavoro, pagava le merci ed i servizi sempre di più e cercava una risposta a questi problemi.
E loro la davano, la risposta: tutti i problemi del paese erano legati all’euro o agli immigrati. Ecco trovata “la causa dell’effetto”!
Una spiegazione priva di fondamento e di senso bastava a fare tutti contenti.
Slogan in serie, buttati lì senza capo né coda, erano meglio di studi scientifici ed economici seri ed affidabili. Eppure molti ci credevano ed erano disposti a votarli.  E Santini, Fuff e gli altri sovranisti cavalcavano benissimo questa ondata...

—  Il Medioevo, insomma! Solo che nel Medioevo ’sto ruolo lo svolgeva la Religione!

— E Santini non tralasciava neanche quello! Spesso concludeva i suoi comizi invocando la Madonna o sventolando il rosario…

— Insomma, la conclusione era: se un prete ti dice che sta piovendo fuoco perché Dio è arrabbiato, gli credi. Se uno scienziato ti spiega che si tratta di una eruzione vulcanica, no! Perché per capire l’eruzione devi aver studiato un minimo e devi aver liberato la tua parte razionale…

— Che di solito è offuscata da quella irrazionale: l’emotività, i sentimenti…

— Abbiamo compreso allora che per farti  ascoltare devi  rivolgerti alla parte sentimentale e “viscerale” delle persone. Cosa che nessuno scienziato aveva ancora mai fatto. Su quell’aspetto bisognava far leva, non sulla razionalità.

— Ci voleva una Religione! Una nuova religione in cui i sacerdoti fossero degli scienziati…

—  Ma uno scienziato non può fare leva sulla parte irrazionale, altrimenti smette di essere uno scienziato e diventa uno sciamano!

—  Tuttavia, se spieghi razionalmente che buttare una bottiglia di plastica in mare non va bene per una serie di motivi, nessuno ti ascolta…

— Mentre se a dirtelo è un Dio, cambia tutto! Il Dio può arrabbiarsi e punirti in un modo non umano. E noi uomini abbiamo paura delle cose non umane. In fondo, le Religioni ci hanno sempre dato dei sistemi morali di riferimento …

— Ci voleva una truffa, insomma, una cosa altamente immorale…

—  Il sentiero che stiamo per fare, quello che scende alle piscine naturali dalle spalle della Chiesa… Ogni volta che lo percorro, mi fa venire in mente tutte le parole di quella nostra chiacchierata. Ogni gradino di pietra, ogni pianta, ogni panorama mi ricorda quel pomeriggio…

—  Anche per me è così…  Arrivati alla fine del sentiero, mentre ci mettevamo in costume, guardando il mare da una parte e le piscine naturali dall’altra, continuavamo a chiederci: chi avrebbe potuto avere il coraggio di fare una cosa così subdola, così immorale, eppure così necessaria? Noi?

— Da una parte la nostra moralità, grande quanto le piscine, limpida, affascinante, invitante…. dall’altra il mare, il mondo, la crisi climatica globale, la grande necessità di fare qualcosa…

— Ci siamo guardati negli occhi, abbiamo aperto una birra, abbiamo fatto un brindisi alla farmacista, abbiamo bevuto ed abbiamo preso la decisione più impegnativa e più importante della nostra vita…

— Abbiamo fatto una scelta, e ci siamo… tuffati!

— Da che parte? Da che parte vi siete tuffati? Zio, papà, cosa avete scelto? Le piscine o il mare?

... CONTINUA ... Mercoledì 20 Gennaio


Marco Mastroleo, Latina 16/01/2021

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 5 (il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

Se non volete aspettare le prossime uscite e volete subito sapere come andrà a finire questa storia, scrivete una mail aQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. per acquistare il libro intero in formato e-book.

Oppure cliccate "mi piace" sulla pagina Facebok https://www.facebook.com/passeggiando.info per rimanere sempre aggiornati sulle vicende di Clorofilia.

Ringraziamenti:

Grazie a Giulia Santoro per il supporto ed i consigli.

antropologia, teleologia, ecologia, piscine naturali, ponza

  • Visite: 517

da un'idea di Marco Mastroleo

per maggiori informazioni, contattaci su Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Questo sito utilizza cookies di raccolta dati, utilizzando i servizi si acconsente all'utilizzo delle tecnologie descritte nella Politica sui cookie per la raccolta di Dati personali e Dati non personali e la memorizzazione di informazioni sul vostro dispositivo o browser Web secondo le modalità descritte nella pagina dedicata.