Giorno 3: Il fuoco

Giorno 3: il fuoco

Il giorno dopo, a gran richiesta dei bambini, Elena e Michele organizzano un’uscita in mare. Sono tutti curiosi di vedere questa bellissima fioritura di fitoplancton. Il viaggio doveva durare cinque giorni, ma questo evento ha cambiato tutto. È una festa, una celebrazione del successo di anni di lavoro. Non si può lasciar andare così.

Eccoli, allegri e spensierati, pronti a questa bella giornata in mare. Con questa stupenda visione romantica del mare.

Eppure, negli ultimi anni, proprio il mare è stato l’incubo più ricorrente nella mente degli uomini, il nemico numero uno!

Sembra facile e banale dire, come raccontavo prima, che il mare si è alzato di un metro negli ultimi venti anni, ma avete idea di cosa voglia dire?

Ci siamo tristemente abituati ad ascoltare notizie di migrazioni di massa di popoli che, dalle coste sulle quali vivevano, cercavano posto nell’entroterra, invadendo città e territori di altri. Abbiamo raccontato gli uragani, le alluvioni e le pianure invase dall’acqua, le coltivazioni e le case distrutte. L’economia che collassava sotto il peso di cambiamenti così grandi! Trasformazioni così epocali non avvengono senza causare disastri. 

Gli sceneggiatori di Hollywood vedevano i loro film diventare realtà. Chiunque, come era di moda nell’era dei social network, aveva la sua idea da esprimere, e lo faceva a suo modo: chi urlava al complotto, chi ne sapeva sempre più degli altri, chi cercava solo e soltanto qualcuno a cui addossare le colpe, senza neanche provare a cercare una soluzione… 

Certo, i climatologi avevano previsto tutto questo, ma si aspettavano che accadesse nel giro di cinquant’anni, non di venti!

Invece noi uomini avevamo accelerato il processo naturale di riscaldamento del clima in maniera talmente incisiva da non poterlo invertire. Non con i nostri mezzi!

Il Mediterraneo poi, essendo sostanzialmente un immenso lago collegato agli oceani con un solo sbocco, subiva questi fenomeni con un peso cento volte maggiore. Le città lungo la costa del mare nostrum sono state le prime ad essere invase dall’acqua, le prime a subire tempeste mai viste prima, le prime a dover organizzare delle vere e proprie migrazioni di massa.

Ve l’ho detto: il mare era il nostro nemico numero uno!

E pensare che i segnali c’erano tutti già dagli anni Duemila! I ghiacciai sulle Alpi si stavano sciogliendo molto più in fretta di quelli del resto del mondo, i livelli delle acque sotterranee stavano cambiando un po’ dappertutto e tempeste ed alluvioni erano all’ordine del giorno. Ogni anno, tra settembre e dicembre, si aspettava il peggio. Un clima monsonico a tutti gli effetti.

Per questo, entrare in mare, nel 2040, in modo così spensierato e leggero, era il segno preciso che qualcosa era cambiato davvero. Che si poteva tornare al mare amandolo, e non solo avendone paura.

Le piscine naturali di Ponza si chiamano così perché, un tempo, una fila di scogli divideva una pozza d’acqua, “incisa” nella roccia, dal resto del mare. Oggi, quegli scogli si vedono solo con la bassa marea, ci si cammina sopra, passeggiando con i piedi in ammollo. Il paesaggio è cambiato!

Ma torniamo al nostro gruppetto, mette gioia solo a guardarlo: bambini che strillano, adulti che si prendono in giro e scienziati emozionati come al primo giorno di scuola: si va a Palmarola, l’isola del fuoco! 

Escono con le barche elettriche che usano per il lavoro intorno all’isola. Devono prepararne due. Non è possibile ospitare tutto il gruppo in una sola imbarcazione: sono piccole e la potenza del loro motore non consente di superare un certo peso a bordo. Sono stati Arianna e Gino ad inventare queste "lance" snelle, agili e silenziose, adatte al lavoro di studio e ricerca dei biologi, e sono sempre loro a prendersene cura. Ma sono barche un po’ lente rispetto allo standard. Tocca accontentarsi. 

– Zio Gino, perché Fùfilo non può venire?

– Perché è grosso assai… Pesa troppo per queste barchette, e non c’è spazio sufficiente.

– Mi dispiace lasciarlo a terra, tutto solo…

– Non preoccuparti, Licia. Ne approfitterà per ricaricarsi un po’. Lo lasciamo al sole, con i pannelli tutti aperti, e così, al ritorno, lo troviamo bello carico.

– Va bene, però gli lascio il mio pupazzo, così non si sente solo.

Licia è la seconda figlia di Michele e Alisea. Una strana combinazione di freddo calcolo matematico, misto ad affetto e premura. Quando ti guarda con quegli occhi verde oliva non sai mai quale parte di lei stia affiorando, fino a che non apre la bocca. Ed ha una gran passione per i robot. Per questo viaggia praticamente appiccicata a Fùfilo, e a Gino e Arianna, ovviamente!

Il gruppo si distribuisce sulle due barche in modo omogeneo: adulti e bambini su una barca e sull’altra, per equilibrare i pesi sulle due lance. 

Elena guida il gruppo della sua barchetta. Si posiziona a prua e, più eccitata dei bambini, racconta a tutti quello che potrebbe accadere. O, quantomeno, quello che lei si aspetta che accada.

– Come vi ho detto ieri, il fitoplancton potrebbe attirare banchi di pesci, anche di specie nuove. Per cui, silenzio assoluto e… occhi aperti!

Ma dopo più di quindici minuti di silenzio, osservazione e rollio della barca sul mare, i bambini cominciano ad essere impazienti…

– Quanto saranno grandi questi pesci?

– Non lo so, è una sorpresa anche per me…

– Arriveranno anche gli squali?

– Non so neanche questo, è probabile…

– E i pesci tropicali, che sono arrivati nel nostro mare negli ultimi anni per via del riscaldamento globale?

– Ettore, sì, penso di sì. È una domanda difficile, bisogna studiare...

– Zia, i pesci che arriveranno saranno grandi quanto quei pescioni che saltano sull’acqua, laggiù?

– …

– Zia? Zia, mi hai sentita?

– Sì, Laura, scusami... Penso che quelli non siano semplici pesci. Do una occhiata con il binocolo… Mi manca il fiato… Potrebbero essere delfini… e sarebbe la prima volta che li vedo da anni. Da più di dieci anni… 

– Non è possibile, i delfini non esistono!

– Luca, ancora con questa storia... Eccoli, li vedo anche io. Esistono eccome! E ci portano al pesce, come avevo previsto io. Cavolo, dovevo portarmi il drone…

– Ettore, silenzio. Goditi lo spettacolo…

Ettore, il figlio di Aurelio e Arianna, è il capogruppo dei bambini, un ruolo che si è guadagnato per via dell’età e della sua corporatura massiccia. Zittito lui, tutti quanti rimangono in religioso silenzio. Luca, invece, è il più piccolo fra loro. È il figlio di Flavio e Sara, l’agronomo e la matematica del gruppo (avranno anche loro una parte importante in questa storia…)

L’aria si satura di tanta umidità, e dalle goccioline piano piano emergono delle virgole nere, all’orizzonte. Il mare comincia ad incresparsi ed una serie di zampilli, flutti e schizzi piroetta nell’aria, come se i vulcani che hanno fatto nascere le isole si fossero risvegliati, come se tutto si fosse rimesso in moto, come se la terra ricominciasse a respirare. I flutti e gli schizzi, simili a lapilli di lava, prendono vita con la stessa potenza di un’eruzione, portando a galla un’energia del tutto simile. Un’energia di muscoli e respiri: i delfini!

Un branco di stenelle, piccoli delfini tipici del Mediterraneo, dorso grigio e pancia bianca e gialla, compare a Sud. Lo spettacolo è incredibile: venti o trenta animali che, sincronizzati, sbucano fuori dall’acqua mostrando il loro dorso, che riflette i raggi del sole. Le stenelle in testa al gruppo accennano anche qualche salto acrobatico, forse per segnalare agli altri la direzione da seguire.

Tutti rimangono a bocca aperta.
Quello che li impressiona di più è il suono. Certo, hanno visto documentari o video nei quali i delfini nuotano, si incrociano, sfrecciano sotto il pelo dell’acqua, ma averli lì, davanti ai propri occhi, e “sentirli” allo stesso tempo è una sensazione che lascia col fiato sospeso.

Quando emergono, i cetacei sbuffano fuori l’acqua contenuta nello sfiatatoio ed inspirano, prima di immergersi di nuovo. Questo suono, questo soffio rotondo e intenso, è l’elemento che rende la scena profonda, che la rende concreta. E che permette di capire che sta avvenendo davvero, che due mondi si stanno incrociando. E che siamo fatti tutti della stessa materia, di aria, acqua e fuoco...

– Io… Io ieri vi dicevo che ci sarebbero voluti mesi, ed invece già oggi abbiamo visto tornare i delfini. È proprio vero che la natura ha tempi e modi che ancora non riusciamo a capire! Ogni volta che pensiamo di aver compreso dei meccanismi, ecco che arriva una sorpresa, una nuova sfida…

Spengono i motori e rimangono tutti in silenzio ed immobili, a godersi la meraviglia. E sui visi di molti di loro compare una lacrima di gioia. Elena, invece, filma tutto. Seria e professionale. Si è già sfogata la sera prima…

I bambini, presi dall’euforia, immergono le mani nell’acqua e cominciano a schizzarsi. Forse attratti da quei gesti, alcuni delfini si avvicinano agli scafi. Giocano e sfrecciano tra le barche e, dopo venti minuti, si allontanano seguendo le scie della fioritura del fitoplancton. Macchie lucenti su un orizzonte verde e blu.

Divertimento ed emozione pura, questo si legge sul volto dei bambini. Uno spettacolo del genere non è così frequente nel 2040. 

Riaccendono i motori e ripartono. Nessuno parla, sono ancora tutti troppo emozionati.

Stanno arrivando presso le coste di Palmarola quando Laura, la sorella maggiore di Ettore, comincia a urlare:

– Lì! Lì! Guardate lì, cos’è? Cos’è? È grande…

Elena punta la telecamera nella direzione indicata da Laura e, dopo aver zoomato e guardato, si siede. Questo è troppo anche per lei.

Un grande sbuffo d’acqua, altissimo, un’eruzione pliniana di acqua, accompagnata da una ricaduta di vapore…

– È una balenottera. Non ne avevo mai vista una in questi mari. È incredibile! Che… che bello!

Le balenottere, perché sono due, in realtà, venendo in superficie sollevano grandi spruzzi in aria e immergendosi lasciano vedere la loro lunga coda, che spunta come la vela di una nave. Dolci ed eleganti nel loro delicato nuotare.

Di nuovo si spengono i motori, e si osserva. Le balene vengono su a bocca aperta, raccogliendo e filtrando tutto quello che può passare dalle loro enormi bocche. 

È un momento quasi mistico, un’apparizione. Il rumore ritmato degli sfiati che saturano l’aria di vapore, il suono delle code che si infrangono sulle onde… La consapevolezza che gli animali che stanno osservando sono dei veri e propri giganti, incredibilmente più grandi ed eleganti di qualunque cosa abbiano visto prima, rende questo momento quasi estatico.

Elena racconta, prendendo spesso fiato:

– Al largo di Palmarola c’è la fossa più profonda del Tirreno. Una grande valle sottomarina che arriva a toccare i 5000 m di profondità. È la porzione di mare con la più grande massa di acqua e di ossigeno di questa zona. Dovrebbe essere normale vedere animali così grandi qui, eppure non ne avevo mai visti. Troppe navi, troppo movimento, troppo poco pesce… con Clorofilìa, con le politiche di rispetto del mare che abbiamo messo in piedi, abbiamo permesso a questi splendidi esseri di tornare in questi mari. Viva la Vita… 

Osservano in religioso silenzio questi enormi animali immergersi e riemergere mostrando ora le pinne, ora il dorso, ora la pancia. Una danza di un’eleganza difficile da immaginare per degli animali terrestri come noi.

Quando le balenottere sono ormai lontane, le barche si rimettono in marcia alla volta di Palmarola.

Sulla seconda lancia, Gino, “il dissacratore”, si gira verso Flavio e rompe il silenzio, commentando:

– Uè, Flavio, occhio che mo’ attacca Francesca! Ogni volta che jamm a Palmarola tira o’ pippone de l’ossidiana. Navigavano ’ncopp, navigavano arrèt, l’ossidiana di Palmarola... E che du’ palle, come dite a Roma!

– Ah ah, Gino, sei ’na bestia! Però è vero, hai ragione. Anzi, sai che ti dico, secondo me tra un po’ parte pure il pippone della geologa! Ogni volta che attraversiamo questo tratto, Chiara si gira verso Ponza e dice: “Si vede proprio che è vulcanica… Guarda che cono, che cratere… Sono proprio isole nate dal fuoco...”.

– E ’nfatti. Che du’ palle… Per quanto la rispetti, Flavio, ogni tanto scassa pure lei!

– Eh eh! Comunque, pensa, senza di loro, la Soprintendenza non ci avrebbe mai fatto lavorare qui. E poi, diciamoci la verità, per scalfire il tuo duro e puro cuore da ingegnere ce ne vuole... Non t’emozioni co’ niente!

– E come no? Certo che m’emoziono… Le femmine, Flavio... Quelle mi emozionano sempre! Si può dire che sia l’unico motivo per cui abbia accettato questo lavoro sull’isola: femmine a volontà, tra maggio e settembre, turiste in abiti succinti e “aperte agli scambi culturali”...

– Ah ah ah! E gli altri mesi?

– L’attesa, Flavio. L’attesa! Comm’è doce l’attesa… Il fatto di sapere cosa mi allieterà da maggio a settembre... L’attesa è la cosa migliore! Sogno ad occhi aperti…

Flavio Vignaroli è l’agronomo del gruppo, ed è l’unico, da buon romanaccio, che riesce a tenere testa a Gino e alle sue battute. Mentre il dialogo truce va avanti, come da copione, Chiara e Francesca si scatenano.

Chiara è la geologa di Clorofilìa, madre del piccolo Mattia. È arrivata sull’isola da sola ed incinta. Sempre ben vestita, linguaggio forbito, portamento altero, “fighetta” direbbe Gino (ed in effetti lo dice…), sembra uscita da un film dei primi del Novecento, ma quando parla di “pietre”, e quando si tratta di scavare, picconare e sporcarsi le mani, si trasfigura… s’accende… diventa una ruspa!

– Il punto di vista che si ha da Palmarola è sempre unico. Da qui si apprezza veramente bene la geologia delle isole, sia di Ponza che di Palmarola stessa. Sono bellissime sculture di fuoco, guardarle da qui mi emoziona sempre…

– Non dimenticarti dell’ossidiana, l’oro nero della Preistoria…

– A Flavio, che t’ho detto… ? So’ partite, ’e ddoje... 

– Gino, sei ’na bestia davvero… Lasciale fare... E poi, stanno con i bambini, oggi hanno il pubblico! 

– Certo, Francesca… In effetti, proprio partendo dalla storia dell’ossidiana si potrebbe riassumere tutta la geologia di queste isole… La loro storia comincia 2,5 milioni di anni fa, quando, dal fondo del Tirreno, in questo punto, spuntò una catena di vulcani. Da quei vulcani nacquero Ponza, Palmarola e Zannone. Ventotene e Santo Stefano, invece, sono più recenti e risalgono ad eruzioni di circa un milione di anni fa. La caratteristica di questi vulcani è data dal fatto che si sono formati tramite eruzioni sottomarine di magma acido, silice pura. A contatto con l’acqua, il magma si raffredda bruscamente e genera una roccia chiamata ialoclastite. Bianca e cristallina, un vetro vulcanico. È bellissima! È la bianchezza della ialoclastite che rende Ponza così bella, il suo mare così trasparente. In alcuni punti, i clasti conservano la loro grandezza originale, non si sono frammentati e sono visibili in noduli neri: la famosa e preziosa ossidiana!

 

Me lo chiedevo sempre, prima di arrivare qui, sull’isola: com’è osservare la natura con gli occhi di un tecnico? Noi vediamo spiagge bianche, acqua pulita e limpida in cui nuotare, e loro, loro vedono la… ialocosa. Mah! Già la sola parola mi fa passare la voglia di tuffarmi.

E invece, col tempo, ho capito che c’è una certa poesia anche in questo. Sapere come sono nate le cose, da dove “arrivano”, quanto tempo hanno, qual è la loro storia, te le fa apprezzare ancora di più. Se ti tuffi nel mare di Ponza non puoi fare a meno di goderti la sua pulizia e lo spettacolo che ti offre ma, se sai qual è la sua storia… allora ne apprezzi il valore, lo ami ancora di più, perché capisci che stai nuotando in qualcosa di unico. E puoi anche chiamare per nome ciò che lo rende unico: Ialo… ialo… Ialo… tu: non ti temo… Prima o poi devo imparare a nominarla, ’sta roccia! 

— Oltre alla ialoclastite ed all’ossidiana, qui si può trovare anche la perlite. Il magma, fuoriuscendo e raffreddandosi, si “contrae”, si rimpicciolisce ma, se nelle sue fratture entra l’acqua, il magma la ingloba e tende ad espandersi di nuovo formando delle bolle, delle sferette, la perlite appunto, che si chiama così perché ricorda le perle. 

– Ho capito, zia. Ecco, allora, cosa sono quelle montagnette di Palmarola! Se l’isola una volta era un vulcano, quelle sono i suoi coni, vero?

– Sì e no. Insomma, i magmi acidi di questi vulcani sono molto viscosi, molto densi; non scorrono molto bene, si accumulano e formano delle cupole. Le isole sono quello che resta di una serie di cupole vulcaniche sottomarine che i geologi chiamano domi. Se poi il domo trattiene la lava al suo interno, si formano i cosiddetti dicchi, pezzi di lava che fuoriescono, allargandosi a forma di cono verso l’alto o di lato. Si vedono bene sulle falesie, le pareti a picco sul mare. Si distinguono chiaramente perché sono rossi o marroni e spiccano bene sul bianco della ialoclastite, come ’o core della storia dei giganti. Quando un dicco, durante l’eruzione, si fa strada nella ialoclastite e poi fuoriesce si raffredda molto velocemente. È proprio qui che si forma la famosa ossidiana. Tutto chiaro? 

– Sì, dicchi… 

– Ok, osservando la disposizione dei dicchi su una carta geografica si nota che formano dei cerchi, l’interno dei cerchi indica il centro dei domi, le cupole che formano le isole. Ce ne sono tre a Ponza ed uno a Palmarola. Piano d’Incenzo, dove eravamo il primo giorno, è molto particolare, perché è un criptodomo. Ovvero, è un domo che non è fuoriuscito. Ha spinto i depositi di lava dall’interno, questi si sono sollevati ed hanno formato una collina.

– Come un brufolo, zia? 

– Sì. Insomma, non è una bella immagine ma rende bene l’idea. Anche Zannone è formata da un criptodomo: al centro dell’isola c’è un enorme e bellissimo dicco. 

– Chiara, bambini, guardate! Ecco il dicco più grande e spettacolare delle due isole. È pieno di bellissima e nerissima ossidiana! 

La barca è ormai arrivata nei pressi della spiaggia di Palmarola. Ogni volta che arrivano lì, Francesca si fa prendere dall’entusiasmo.

– Questo grande dicco era conosciuto già dalla Preistoria. Pensate che nel Neolitico, circa 5000 anni fa, le persone attraversavano il mare, dal Circeo a qui, in canoa, per venire a prendere l’ossidiana. La caricavano sulle barche, venivano a Ponza, la “sbozzavano”, la pulivano e la lavoravano, per poi riattraversare il mare e tornare al Circeo, dove c’erano dei piccoli villaggi che realizzavano frecce, lame ed altri strumenti, da vendere in tutta Italia. Tutto il “percorso” veniva chiamato la “via dell’ossidiana”. Partiva da qui ed arrivava fino in Veneto e poi in Slovenia. Che meraviglia! Ogni volta che ci penso mi vengono i brividi. 

– A me, invece, fa impressione pensare che solo venti anni fa qui c’era una spiaggia enorme, il mare era più basso di quasi un metro. Ora si attracca vicino alla falesia ma prima si camminava sulla spiaggia di ciottoli!

– Le “case-grotta” che vedete qui sulla falesia sono state scavate dai primi abitanti dell’isola, tra il 1700 ed il 1800. Vivevano qui per qualche mese all’anno, coltivando legumi e vigne: “agricoltura eroica” la chiamano!

– Fico! Possiamo farci il bagno, ora? 

– Ok, sì, la lezione è finita: bagno! E non dimenticate la maschera, ché andiamo a vedere l’ossidiana… È bellissima! 

Immergersi al largo di Palmarola è sempre, anche oggi, nel 2040, un’esperienza unica, che va vissuta almeno una volta nella vita. Il fondale bianco, le rocce brillanti e le acque cristalline ti lasciano addosso la sensazione del volo. Quando ti immergi in questo mare vedi sempre il fondo. Quando galleggi sembri sospeso a mezz’aria. E ti senti leggero.

Da ragazzo sognavo spesso di volare, di poter planare tra i tetti delle case o sui parchi di Roma. Niente, nella vita, mi ha fatto provare questa sensazione come immergermi al largo di quest’isola. Ed oggi so che è tutto merito della ialoclastite e di tutte le sue bellissime sfumature. Ehi, finalmente ho imparato a dirlo!

Fare snorkeling nel 2040 è fico come essere nello spazio. Si indossa una maschera ipertecnologica con una videocamera sulla fronte, una serie di sensori che segnano profondità e distanza dalla costa, ed un quadrante incorporato che ti permette di leggere queste informazioni sulla maschera stessa. Ti senti un po’ astronauta, un po' androide.
Ma, per fortuna, nessuna tecnologia potrà mai sostituire la sensazione che si prova entrando in acqua. Quel brivido che ti sale lungo la schiena, quella sensazione di liberazione che ti mette in contatto con quello che ti sta intorno.

I bambini nuotano come pesci, d’altra parte sono cresciuti su un’isola, il mare è la loro dimensione. Elena li guida, come sempre quando si immergono, a cercare pesci, spugne ed altri animali strani. Aurelio e Michele, invece, lasciano la maschera e tutto il resto in barca.

– Oggi ho voglia di nuotare così, come si faceva un tempo, senza troppa tecnologia addosso. Ho voglia di sentirmi in puro contatto con il mare, festeggiare così l’evento incredibile che abbiamo vissuto. Le balene, Aurè… Ma chi ci aveva mai sperato?

– Michè, mi preoccupi. Non starai sviluppando una sorta di spiritismo naturista? A parte gli scherzi, sì, sono d’accordo con te. Il bagno di oggi ha un sapore diverso...

Dopo un pranzo frugale a bordo delle barchette, il gruppo rientra a Ponza ed attracca vicino alle piscine naturali, è ormai pomeriggio inoltrato.

– Fùfilo ci ha aspettati qui, buono buono. Posso riprendermi il pupazzo?

– Sì, Licia, certo. Grazie, piccola. Fùfilo è stato molto contento di avere il tuo pupazzo.

Gino, cinico e truce, in realtà, ha un cuore di panna!
Si preparano per la seconda notte a Cala Feola. La giornata è stata intensa, ricca di emozioni.
Sulla bellissima falesia bianca di ialoclastite, in una casa-grotta a picco sul mare, da sempre c’è un piccolo ristorante. Stasera il gruppo mangerà qui. Menù: frittura di paranza. Per l’occasione, Giovanni, il cuoco, abbonda con le alici. Per ricordare quanto sono importanti per la salute del mare. Anche a lui Elena ha fatto ’na capa tanta con la storia del fitoplancton!

– Grazie a tutti per la bella giornata. Mi tremano ancora le gambe per l’emozione. Mai come oggi, quando ho visto le balene, mi sono sentita parte del mare, una sua creatura. Propongo un brindisi al mare ed alla vita!

Elena, le sue emozioni, e il mare, che un tempo era il nostro peggior nemico…


Marco Mastroleo, Latina 31/01/2021

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 8 (il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

Se non volete aspettare le prossime uscite e volete subito sapere come andrà a finire questa storia, scrivete una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. per acquistare il libro intero in formato e-book.

Oppure cliccate "mi piace" sulla pagina Facebok https://www.facebook.com/passeggiando.info per rimanere sempre aggiornati sulle vicende di Clorofilia.

Ringraziamenti:

Grazie a Giulia Santoro per il supporto ed i consigli.

Per saperne di più sulla Geologia di Ponza:

Giorno 5 - Tecnologia

Giorno 5: Tecnologia

La giornata precedente è stata quasi malinconica. Parlare di come è nata la loro comunità ed il loro sogno ha coinvolto tutti, nel corpo e nello spirito. Aurelio e Michele si ritrovano fuori dalle tende già alle prime luci del mattino, come se si fossero messi d’accordo. Quante volte si sono ritrovati a guardare nascere il giorno per poi cominciare il lavoro! Preparano il caffè per tutti gli adulti e li svegliano, per assistere insieme al sorgere del sole.

– Che bella è l’alba a Ponza! Qui a Frontone, poi, è veramente magnifica.

– La falesia brilla alla luce del mattino. È splendida. Sembra veramente scolpita da un gigante folle!

– Se svegliamo presto i bambini possiamo fare un po’ di strada al fresco! Su questo versante il sole batte forte la mattina. “Coce!”, come dicono qui…

Così Arianna sveglia i bambini e mette fretta al gruppo, ripetendo continuamente che non possono fare tardi perché Antonio, detto "’O pulptàr", li aspetta per la colazione, sta già preparando tutto. Oggi si muovono in groppa ai robot da lavoro, i parenti di Fùfilo. Sono già arrivati e non bisogna far tardi, perché i robot devono tornare alle loro occupazioni. Arianna e Gino ne hanno programmati dieci per raggiungerli lì, a Frontone. Queste bestioline meccaniche hanno una sorta di sella, usata normalmente per caricare merci o strumenti da lavoro e che, all'occorrenza, può essere usata come seduta. 

Salgono e cominciano la salita. La “sella” è molto ampia e ci si sta comodamente in due o tre per ogni robot. È come stare in groppa ad un cavallo, i bambini ridono ad ogni saltello. Devono raggiungere Punta Capo bianco, dall’altra parte dell’Isola.

Circa trenta minuti di sobbalzi ed eccoli arrivati. 

Proprio dove un tempo era il parcheggio Capobianco, ora sorge un bar, il bar di Antonio "’O pulptàr". È lì che fanno colazione, con vista panoramica sulla bellissima falesia che dà il nome al luogo. 

Come in ogni bar e ristorante dell'isola, anche qui, sulla porta, è esposto il menù con l'elenco ingredienti. È un elenco speciale, perché riporta luogo di origine del cibo e carbon footprint del suo ciclo produttivo. Anche questo è Clorofilìa. Questa del progetto “Menù intelligente” è stata un’idea di Flavio: ne ha curato ogni dettaglio ed ha messo in piedi la supersquadra che ha elaborato le certificazioni, i metodi, le scale di giudizio e tutto quello che serviva per realizzarlo. 

Ma la vera rivoluzione l'ha portata Ugo! Ugo è un nickname, non è il suo vero nome. Forse solo Flavio sa come si chiama davvero "Ugo". Fa parte della sua natura: è un informatico di altissimo livello, professionale come pochi ma, in maniera del tutto equivalente, un gran cazzarone, alleato di Gino in molti scherzi e goliardate. 

 Ugo ha permesso che tutti i cibi che arrivano sull'isola siano tracciati e codificati, con tecnologia cloud. Così ogni punto vendita che li espone può mostrarne, grazie ad una serie di schermi, la provenienza ed il certificato, in tempo reale e senza sforzo. Lo sforzo di questa enorme mega-elaborazione dati la fa il software inventato da Ugo. Lo sforzo di elaborare e presentare tutte queste informazioni, lo fa il server di Clorofilìa. I commercianti devono solo occuparsi di accendere lo schermo e di tracciare tutte le merci in ingresso. Ogni cibo ha un codice di provenienza, espresso in un QR code che può essere letto da qualsiasi smartphone. Ogni volta che il cibo fa un passaggio viene tracciato, ed il suo impatto ambientale (questo è il carbon footprint) e la sua posizione vengono ricalcolati.

Inoltre, una tabella specifica racconta quali sono i cibi di stagione in quel periodo, le loro caratteristiche nutritive ed i modi per prepararli. 

– Quasi tutto il cibo servito nel bar proviene da Ponza. Quando siamo arrivati, era esattamente il contrario. Qui sull'isola non si produceva quasi più niente. 

– Ma, zio Flavio, che se ne facevano di tutte le serre dell'isola, se non le usavano per produrre cibo? 

– Le serre, sull'isola, le abbiamo portate noi, Mattia. Sono serre speciali, hi-tech, progettate da me, Arianna, Gino ed Ugo. In particolare da Gino ed Ugo.

– Zio Gino e zio Ugo, ce lo raccontate?

– Ué, guagliunciè, magnt 'a pastarell’ e famm’la magnà in santa pace… 

– Gino, ma dai, cosa ti costa? Finisci la colazione e poi ci racconti, dai… 

– Dai, zio! Tieni contento Mattia!

– Chiara e Licia. Siete due infami, lo sapete che ho un debole per voi e non posso dirvi di no. Chiara, sei la mia stella, la mia geologa isolana preferita...

– Anche l'unica… 

– Eh, ma bell'accussì ce ne stanno poche... E tu, Licia… 

– Sono la tua “nipote” preferita, lo so… 

– Ecco! Dopo la sfogliatella ed il cappuccino mi dedico a voi, dai. 

Gino, diminutivo di Luigi Capoccia, può essere riassunto in questo passaggio. Gino è tutto qui! Burbero e burlone solo in apparenza. Generoso e dinamico nella realtà. Gino è stato ed è, a tutti gli effetti, una delle locomotrici del progetto, nonché lo “zione” di tutti i bambini.

– Flavio tiene na capa tanta, ma poi, quando si tratta di pensare a cose pratiche, si perde… E quindi io e Arianna ci siamo messi sotto e gli abbiamo progettato, in pochi mesi, un sistema che, fino al 2020, era solo teorico. Abbiamo costruito le serre autosostenibili e le abbiamo chiamate “ZAPPÀM”, che è l'acronimo di Zona ad Alta Produzione di Puzza di Asparago Marcio… 

– Gino, sei sempre il solito idiota! Questa è come la storia di Spazzolo! Le serre si chiamano High Efficiency Recycling Greenhouse, o HERG. 

– Arià, quello è un nome buono per le pubblicazioni scientifiche, vuò mettere HERG cu ZAPPÀM?

– ZAPPÀM è troppo bello, non si batte! Zio, sei un genio! 

– Grazie marmocchié, vado avanti. Al di fuori della serra c’è una vasca, una mini-piscina, che si alimenta con l'acqua piovana e con le falde. Nella vasca c’è un allevamento di pesci. L'acqua della vasca è usata per innaffiare le piante nella serra, perché, grazie ai liquami dei pesci, è già ricca di azoto e fosforo e non c'è bisogno di altri concimi. 

– Sì, Gino. Lo so che mi chiamo Ugo e nei confronti degli Ugo c'è sempre un certo pregiudizio. Pregiudizio che tende a farti dimenticare il ruolo fondamentale che questo Ugo ha avuto in tutta la faccenda. Ma ricordati che a gestire la baracca, lì, c'è uno dei miei computer, che, con vari sensori, controlla in continuo i livelli di azoto e fosforo ed accende e spegne in automatico i filtri, se serve, in base ai valori impostati da Flavio. E funziona quasi sempre bene, perché lo ha fatto Ugo...

– E certo Ugo. ’O dico sempre io: “Ma come fa uno che si chiama Ugo ad andare oltre le tre lettere del nome suo”. Eppure, come dici tu, Ugotto mio, hai fatto un buon lavoro. Mica te volevo negà ’a fatica… 

– Fottiti… Ah ah ah!

– Pozz continuà? Allora, le piante si trovano dentro le serre. Pomodori, pesche, zucchine, melanzane… Di tutto. Stanno su un letto di lana di qualcosa… Com'è che si chiama, Flà? 

– Lana di roccia. Ma il “letto” può essere anche in fibra di cocco, torba… Quello che serve, in base alla coltura. Le piante sono disposte su due o tre piani. Le piante da frutto sono sui piani alti, o in un angolo della serra se questa è bassa. Negli strati più bassi alleviamo ortaggi e insalate e, se la luce è poca, le illuminiamo con lampade LED. Livelli e quantità di concimazione e irrigazione vengono decisi da un software, che regola, in maniera robotizzata, le distribuzioni. 

– E anche quello l'ha progettato Ugo, che sarei io! Il software per autoregolarsi usa anche una serie di sensori installati nei substrati e sulle piante. 

– Insomma, tutto robotizzato… Usiamo meno della metà dei concimi, nessun trattamento chimico e l'acqua viene quasi tutta riciclata. Produciamo frutta e verdura tutto l'anno, usando pochissime risorse. Di serre così, sull'isola, ce ne sono quasi trenta. Alcune sono piccole qualche metro quadrato, altre sono alte fino a sette metri. E sono sempre nei pressi delle valli o nelle piccole pianure, dove è più facile recuperare l'acqua e gestire le vasche. E poi, nelle valli, risentono meno del vento battente. 

– Fico! Zio Flavio, una cosa non l'ho capita... Perché le serre puzzano? 

– In realtà, Mattia, a puzzare non sono le serre, ma le compostiere che abbiamo all'esterno. Le usiamo per produrre il concime. 

– Le compostiere sono un'idea di Arianna. So’ scatolotti de ferro, fetenti assaie, all'interno dei quali tutti gli scarti delle colture vengono messi a fermentare e maturare per tre o quattro mesi. Quanno ’a cosa fetente, ’o compòst, è pronto, lo usiamo come concime. 

– Una serie di sonde di temperatura e umidità regolano la gestione della massa, grazie ad un software…

– Che hai fatto tu, zio Ugo?

– Ormai l'abbiamo capita la filastrocca! Povero zio Ugo…

– Vi voglio bene, piccole canaglie! Facciamo così, mentre camminiamo vi racconto una storia veramente interessante. Altro che ’sto progetto delle serre. Ne ho scritti di software fichi, io!

Così, seduti su una terrazza con vista su Capo Bianco, godendosi cornetti e frutta di stagione, il gruppo inizia la preparazione per la scarpinata quotidiana. I robot, zampettando come capre, tornano al loro lavoro quotidiano. Con i viaggiatori rimane solo il solito, fedele Fùfilo. Cominciano la salita verso Monte La Guardia.

La strada verso la cima è costellata di terrazze sulle quali si coltivano ulivi e vigne. Agricoltura eroica, la chiamavano nei primi anni Duemila e, in questo caso, anche artistica, perché, ispirandosi al primo esempio del genere, Masseria La Mastuola di Massafra, le terrazze che ospitano le vigne sono state realizzate seguendo il profilo della collina e delle valli. A Ponza, questi terrazzamenti li chiamano "le catene". Con l'inizio del progetto Clorofilìa le catene sono state risistemate ed adattate, anche grazie all'aiuto dei robot da lavoro. Lo spettacolo che offre questo “disegno” è incantevole perché, come un vestito aderente, accentua le curve del monte ed offre colori diversi in ogni stagione. Dai giochi dei verdi in primavera ed estate si passa agli arancioni e ai rossi in autunno e inverno. E, ovviamente, il vino che si ricava da vigneti così è superbo, perché la circolazione dei venti e dell’umidità sono giusti ed equilibrati rispetto alle esigenze delle vigne.

Salendo tra le terrazze, oltre a godere della bellezza delle vigne e degli ulivi, si gode della vista dell'intera isola. Uno spettacolo unico, emozionante, che fa apprezzare appieno la bellezza di questa virgola di terra adagiata sul Mar Tirreno. 

Anche se la vista è incantevole e l'umore è alto, la salita della fatica si fa sentire. Si fermano all’ombra di un gruppo di ulivi, e Arianna ne approfitta per raccontare quel paesaggio dal suo punto di vista. 

– So che, per voi che siete nati qui, vivere così è normale. Ma per noi, che venivamo da Roma o da altre città d’Italia, vivere in un posto che ha una sola strada per andare ovunque era davvero impensabile. Questo serpente che stiamo “inseguendo” da quando siamo partiti è l’unica via che permette di andare in ogni posto dell’isola. Pensate come doveva essere quando siamo arrivati qui, venti anni fa: autobus a benzina o diesel, macchine e moto rumorosissime, mezzi di tutti i tipi che ti sfrecciavano davanti ogni volta che mettevi un piede sulla strada e, soprattutto, pensate che puzza che c’era! Puzza di benzina e di diesel, che ti entrava nelle narici e non ti lasciava.

Non potevo sopportare questa situazione, così mi sono data da fare per trovare una soluzione. Ed abbiamo inventato il sistema che oggi conoscete tutti.

– Zio Gino, hai dato un nome strano anche a questa invenzione?

– No, no, non mi sarei mai permesso. L’ho sempre e solo chiamata “la circumponziana”, il nome che gli ha dato tua madre, Ettore. Era già un capolavoro accussì!

– Ecco, almeno questo! Quello della circumponziana è stato il progetto più impegnativo di tutti, perché un conto era portare novità come Spazzolo, un conto era portare gli alberi e l'acqua con l’acquedotto, un altro bel conto era convincere tutti a rinunciare quasi completamente alle auto private per usare un sistema pubblico e condiviso. Però i benefici sono stati talmente tanti che ormai, trascorsi quasi dodici anni da quando abbiamo finito i lavori, i cittadini di Ponza non possono più fare a meno della circumponziana. E ci credo! Abbiamo creato una metropolitana su gomma, elettrica, che attraversa l’isola ogni dieci minuti ed è collegata ad una miriade di macchinette elettriche, silenziose ed agili, che fanno da “spola” tra la metropolitana e le zone lontane dalle fermate. Ormai, per attraversare l’isola o per muoversi a Ponza porto, non serve più prendere l’auto privata, tutt’al più si ha bisogno di un piccolo robot da lavoro o di uno scooter per arrivare alla fermata più vicina! Puntuale, pulita, silenziosa e bella, la circumponziana! E pensare che all'inizio tutti volevano andare in giro solo con la propria auto! Che proteste che abbiamo dovuto sopportare! È stata dura, nei primi anni…

Come il resto del progetto, anche questa “rivoluzione” raccontata da Arianna non aveva nulla di fantascientifico o di incredibile. Queste tecnologie esistevano già tutte negli anni Duemila. Eppure, spesso rimanevano confinate nel limbo del “non è applicabile” o del “si può fare, ma non qui…”.

La svolta, questa sì fantascientifica, è stata riuscire, finalmente, a rendere concrete tutte le idee che fino al 2020 erano ferme sulle carte degli scienziati. Riuscire a rendere reali le innovazioni progettate e immaginate, a rendere reali i sogni di un futuro migliore.

Clorofilia è nata perché questo gruppo di “pionieri” ha capito che tutti i sogni degli scienziati erano sogni per pochi sognatori. Che bisognava trovare il modo di tradurre quelle ambizioni in qualcosa di “reale” per tutti. Che bisognava tradurre lo “scientifichese” nel linguaggio di tutti i giorni. Perché il paradosso era proprio lì: un futuro felice ed in equilibrio con l’ambiente esisteva solo nella mente di pochi studiosi, quando, invece, bisognava farlo diventare il futuro ambìto da tutti!

– E indovinate chi ha progettato il sistema che gestisce il traffico? 

– Ugo, ‘a fernsc o no, cu chesta cantilena? 

– Dai, zio, raccontaci quella cosa divertente che ci hai promesso prima!

– Va bene, va bene. Quest'ulivo qui, su questa piccola altura, e questa vista mi ispirano! Anche se ci vorrebbe una bella birra… 

– Birra? E perché?

– Eh! Allora, dovete sapere che il progetto Clorofilìa mi ha sempre entusiasmato e mi ci sono lanciato subito a capofitto, ma… i primi inverni qui, sull'isola, da soli, senza cinema, senza teatro, senza pub affollati… Che palle! Io ho studiato a Roma e sono nato e cresciuto nelle Marche, a Pesaro. Ero abituato alla movida, ragazzi… Così, ho trovato un modo per divertirmi un po'.

Un pomeriggio, un lungo pomeriggio di pioggia, un lungo pomeriggio di pioggia invernale, di quelli che ti bloccano in casa, bevendo una bella birra ho avuto l'illuminazione. E mi sono messo a scrivere un codice. In sole tre ore di intenso lavoro, ho prodotto DCR!

– E che è? Non ne abbiamo mai sentito parlare… 

– DCR, Dillo Con un Rutto. La prima APP che misura l'intensità dei rutti, la loro profondità ed intonazione e gli assegna un voto. Il voto tiene in considerazione potenza, cioè la vibrazione che produce, e intensità, cioè la durata.

– Una cosa seria, insomma… 

– Una cosa serissima, caro Aurelio! Ogni volta che realizzi un bel ruttone, la DCR ti invia una notifica sullo smartphone comunicando il voto assegnato al rutto e la posizione in classifica.

– Wow, c'è una classifica? 

– Sì, avevo installato di nascosto la APP nei telefoni di tutti usando la rete aziendale, dicendo che era una APP per il team building.

I bambini non riescono a smettere di ridere, si buttano per terra a pancia all'aria, rotolando persino. Ugo, soddisfatto, sottolinea che con quella APP i pomeriggi non erano più lunghi e noiosi…

– Ecco, appunto! Erano, al passato. Sappiate che la APP è stata disinstallata dai telefoni di tutti.

– Aurelio è un vero bacchettone, ragazzi. Che ci possiamo fare. Anche se ricordo perfettamente un suo rutto da dieci punti che lo ha portato in testa alla classifica per quasi due settimane. Ah ah ah!

I bambini continuano a ridere a crepapelle. Poi si riprende il cammino, con passo leggero.

Proseguendo la salita verso Monte La Guardia, Luca, il figlio di Flavio e Sara, chiama Ugo a squarciagola, ma non fa in tempo a finire la “o” del suo nome che gli parte un rutto gigante!

– Quanti punti ho fatto, zio? 

Gli adulti non sanno se ridere o arrabbiarsi, così lasciano perdere, lanciando occhiate traverse ad Ugo. 

Ma Ugo non molla e, fiero, risponde:

– Secondo me era un otto, forse otto e mezzo, ma, purtroppo, come sapete, la APP non è più in uso, e il mio sogno di costruire una società dal rutto libero è andato distrutto. Era un sogno… da avanguardia. Troppo, evidentemente. Peccato! 

– Ah ah ah, zio, mi sto divertendo tantissimo! Perché non abbiamo mai fatto prima una cosa del genere? È troppo bello raccontarsi storie vere… 

Tra chiacchiere e scherzi, il gruppo continua a salire verso Monte La Guardia e, grazie al fedele Fùfilo, che trasporta tutto il necessario sulla sua groppa, arrivano sul pianoro nei pressi del Faro antico, che qui chiamano "il semaforo" e montano le tende per accamparsi per la notte.

Quando è ormai tutto pronto, è quasi ora del tramonto. Chiara ed Elena chiamano tutti e li invitano a guardare verso ovest. Lì sotto ci sono gli scogli detti "le Formiche". Quando il mare era più basso di così, le Formiche erano una serie di piccoli scogli affioranti, molto aguzzi, da cui tenersi alla larga. Ora sono anche peggio, perché sono proprio a pelo d’acqua o subito sotto la superficie di qualche centimetro e chi ha barche con la chiglia profonda rischia di arenarsi. Le Formiche, nel 2040, vengono sempre nominate solo come fonte di disgrazia: “Quello si è arenato alle formiche", "quell'altro ci ha quasi rimesso le penne" eccetera.

Ponza. Le Formiche

Ma, viste dalla cima del monte, sono tutta un'altra storia. Le Formiche sono bellissime. Delle lame di roccia che, al tramonto, creano giochi di luce stupendi. Elena le tiene sempre sott'occhio perché, secondo le leggende dei pescatori, intorno alle Formiche si trova sempre un sacco di pesce e, quando non ci sono i pescatori, ci vanno i delfini. Solo che, in vent’anni, ad Elena non era mai capitato di vederli, questi famosi delfini delle Formiche. E invece, oggi, sono tornati. Sono proprio lì, intorno agli scogli, a banchettare. Da lassù si vedono solo i riflessi che i loro dorsi producono riflettendo la luce del tramonto. Ma sono riflessi inconfondibili, sono delfini!

Rimangono un po' in contemplazione, mentre Chiara racconta a tutti che le Formiche, e tutte le rocce lì sotto, sono nere perché la zona dell'isola in cui si trovano ha una storia diversa dal resto. Le rocce vulcaniche di Monte La Guardia sono più recenti rispetto alle altre rocce dell'isola. L'eruzione data un milione di anni, ed è formata da lava trachitica; ovvero, il domo del monte si è formato quando l'isola era già emersa, e le eruzioni sono state di tipo idromagmatico. Durante l'eruzione, cioè, l'acqua entrava nel comignolo del vulcano, facendo raffreddare la lava molto in fretta e creando giochi di forme e cavità molto particolari. Alla parata degli Scotti, oltre che a Le Formiche, ci sono esempi bellissimi di questo tipo di rocce. Di questo stesso periodo sono Ventotene e Santo Stefano. Ventotene è quel che resta di un enorme cono vulcanico esplosivo che è stato attivo, forse, fino a 300.000 anni fa e che poi è collassato in mare. Da qui Ventotene si vede benissimo, la “ricetta” è perfetta: un’isola sullo sfondo, il mare azzurro nel mezzo e lo sguardo sconfinato verso l’orizzonte. Le emozioni si aprono in un abbraccio ed il pensiero può vagare. Francesca, più ispirata che mai, “lancia” una delle sue storie.

Perché non si può costruire un bel futuro senza una buona storia su cui appoggiarsi. L’isola, ancora una volta, ne ha una da raccontare. Francesca è la sua bocca.

– Guardando il mare da questa prospettiva, con lo sguardo rivolto a sud, mi viene in mente la storia delle navi coralliere. Nella seconda metà dell'Ottocento, Ponza era al suo massimo splendore. La gente si occupava di pesca e di agricoltura. Sull'isola si stava, tutto sommato, bene. I ponzesi, in particolare, erano specializzati nella pesca d'altura, la pesca del pesce spada, e nella raccolta del corallo, un'attività che avevano ereditato dai loro avi, gli abitanti di Torre del Greco, venuti qui a colonizzare una parte dell'isola. La joint venture, come la chiameremmo oggi, tra Torre del Greco e Ponza era una “potenza” nel campo della raccolta del corallo, famosa in tutto il Mar Mediterraneo: si scambiavano o mettevano in comune navi, equipaggi e finanze. E qui, sull’isola, abitavano i più famosi e più bravi corallieri d'Italia.

Girando per il Mediterraneo, avevano scoperto l'isola La Galite, cento miglia a sud della Sardegna, di fronte alla città tunisina di El Kale, La Calle in epoca francese.

I ponzesi conoscevano già La Calle, perché scappavano lì quando volevano evitare di pagare le tasse, quando l'isola era troppo affollata o, nella gran parte dei casi, quando l'esercito li chiamava a combattere e loro non volevano andarci! Un rifugio di ponzesi "mariuoli", insomma!

Tra i vari "mariuoli fuggitivi" c'era un certo Antonio D'Arco che, nel 1867 "se ne scappó" da Ponza a La Calle su una nave coralliera di Torre del Greco per sfuggire ad una condanna. Aveva picchiato a sangue un coatto, ed era ricercato. 

– Ma, zia, i “coatti” di Roma? 

– Ma no! I coatti erano persone che venivano confinate sull’isola. Erano costretti a stare qui come se Ponza fosse una enorme prigione. Domani, scendendo in paese, prometto di raccontarvi anche questa storia.

Comunque, cinque anni dopo essere arrivato a La Calle, Antonio D'Arco prese una barca, la famiglia, sette fucili da caccia, quattro mobili, qualche animale, qualche seme ed occupò l'isoletta La Galite, proclamandosene padrone.

– Seeee! Che matto!

– Infatti. Fatto sta che, dopo qualche tempo, lo raggiunse Giuseppe, suo fratello. L'isola cominciò a diventare presto un vero e proprio piccolo regno, tanto che la Francia, che all'epoca dominava sulla Tunisia, chiese ai tunisini di inviare una nave a vapore per far sloggiare i ponzesi.Era il 1873. Antonio D'Arco avviò una piccola guerra di resistenza, ma aveva solo sette fucili! Così si arrese. A patto, però, che i tunisini gli… pagassero il disturbo, per così dire. Volle un indennizzo in cambio della resa. E se ne tornò a La Calle. Però, Antonio, fermo non poteva stare, così già nel 1877 tornò di nuovo sull'isola. La Tunisia, stavolta, mandò subito una guardia, una sola... una di numero, con tanto di bandiera nazionale, per sottolineare che quella era e rimaneva terra tunisina. Questa situazione stava bene a tutti, così cominciò una pacifica convivenza. I coloni ponzesi divennero addirittura duecentocinquanta, perfettamente organizzati, come se fossero a Ponza. Con le istituzioni, il dialetto ed i santi protettori identici a quelli dell'isola madre. Insomma, una piccola Ponza in mare di Tunisia.

– Fico! Che spettacolo, zia. Questa storia è veramente incredibile. Ma è vera? 

– Sì, sì. Verissima, Licia! 

– E sono ancora lì, i “ponzesi tunisini”? 

– No. Purtroppo, la storia è finita male. Durante la Seconda guerra mondiale, l'Italia di Mussolini dichiarò guerra alla Francia. Di contro, i francesi arrestarono tutti i ponzesi di La Galite rimasti cittadini italiani. Quelli che, invece, erano diventati francesi, andarono in guerra con la Francia. I ponzesi, però, proprio come Antonio D’Arco, non sanno stare fermi! Così, dopo la guerra, i ponzesi di La Galite ripresero la “marcia”, se ne andarono in giro per il Mediterraneo e l'isola si spopolò. Nel 1967, sull'isola erano rimasti solo sessanta ponzesi. A metà degli anni Settanta, a La Galite era rimasto un solo abitante, che di cognome faceva, ovviamente, D'Arco. 

– Wow. Che figata! Ponzesi “all over the world”. Grazie per questa storia, zia. Mi è proprio piaciuta. Mi fa pensare che il mare non sia un limite ma un territorio da esplorare.

– Grazie a te, Elettra. Adesso a dormire! Buona notte a tutti.

Il piccolo campo improvvisato, con le tende hi-tech in fibra di carbonio, la cucina mobile, Fùfilo e tutto quello che abbiamo conosciuto in questi giorni, è presto pronto e silenzioso: i bambini sono stanchi e, dopo una rapida cena, vanno dritto in tenda. I grandi si ritrovano sotto il faro, ad osservare le stelle.

– Mi pare che il viaggio stia funzionando, non pensate?

– Sì, Aurelio, è stata veramente una grande idea. Presi dai nostri impegni, dai nostri sogni, dai nostri figli, non avevamo mai pensato di prenderci il tempo per fare il bilancio di questi ultimi venti anni, in modo leggero, attraverso le nostre storie.

– Anche la DCR fa parte della nostra storia…

– Ugo!

– Ok, scusate… Scherzi a parte, è incredibile come, anche dopo venti anni, quest’isola ci parli ancora e continui ad ispirarci.

– Festeggio il parto di questo raro pensiero filosofico di Ugo con una riflessione altrettanto pretenziosa: le isole sembrano l’esatto opposto di questo sconfinato cielo stellato: piccoli mondi chiusi, ti fanno pensare che tutto sia sotto il tuo controllo, o, almeno, che tu possa davvero conoscerle in ogni angolo, che non abbiano segreti… E, invece, sono esattamente come questo cielo: infinite. Perché in realtà sono solo una piccola parte dell’immenso che le circonda.


Marco Mastroleo, Latina 28/02/2021

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 12 (il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

Se non volete aspettare le prossime uscite e volete subito sapere come andrà a finire questa storia, scrivete una mail aQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. per acquistare il libro intero in formato e-book.

Oppure cliccate "mi piace" sulla pagina Facebok https://www.facebook.com/passeggiando.info per rimanere sempre aggiornati sulle vicende di Clorofilia.

Approfondimenti:

- Il Semaforo di Monte La Guardia, Ponza: https://www.ponzaracconta.it/2012/02/23/il-semaforo-del-monte-guardia/

- Le Formiche, Ponza: https://www.ponzaracconta.it/2013/10/28/le-formiche-di-ponza-una-leggenda/

Ringraziamenti:

Grazie a Claudio Lucchi, collega (agronomo) e amico, col quale ho condiviso anni e anni di riflessioni sui temi dell'agricoltura sostenibile, dell'agricoltura di precisione e del ruolo dell'agricoltura nel futuro dell'umanità (oltre a innumerevoli altri argomenti da "essere o non essere"). Flavio è un po' lui...

Grazie a Giulia Santoro per il supporto ed i consigli.

da un'idea di Marco Mastroleo

per maggiori informazioni, contattaci su Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Questo sito utilizza cookies di raccolta dati, utilizzando i servizi si acconsente all'utilizzo delle tecnologie descritte nella Politica sui cookie per la raccolta di Dati personali e Dati non personali e la memorizzazione di informazioni sul vostro dispositivo o browser Web secondo le modalità descritte nella pagina dedicata.