Di Scuola e di Vita, il diario del Prof Maulucci

Di scuola e di vita.

A proposito del libro di Giorgio Maulucci, Confesso di avere insegnato

Di Marco Mastroleo

Amo follemente la scuola! 

È sempre stato il luogo nel quale mi muovevo meglio, nel quale potevo e sapevo esprimermi, sono un fan dei banchi, delle cattedre, dei teatri, delle palestre fetenti e delle scale affollate all’ingresso e all’uscita. Non ho mai perso, mai, l’occasione di partecipare a mostre, recite, musical, giornalini, tornei… carri di Carnevale (sì, a scuola ho fatto anche quello, da buon massafrese!)... E quindi, non potevo perdermi l’occasione di raccontare “confesso di aver insegnato”, un libro di Giorgio Maulucci. 

Con Passeggiando sto provando a dare una voce, un volto e una storia da raccontare ai luoghi che ci circondano. Bhé, la Scuola, come luogo narrante, è sempre stata una grande dimenticata. Ai miei tempi (perché è da un po’ che non lo sento dire) si diceva: Ah, se questi muri potessero parlare… !
Esatto! È proprio questo lo spirito, dare voce ai muri. E le scuole ne hanno davvero tante, di storie da raccontare. 

Come quella volta in cui, racconta Maulucci:
“Un bel giorno arrivò una nuova impiegata di nome Venere, si aggiungeva a colleghi dai nomi altrettanto celebrati sommando i quali e variando gli addendi il prodotto risultava inequivocabilmente... classico.  Eppure l'equivoco si verificò, imbarazzante e divertente nello stesso tempo. Una mattina ricevo un ingegnere della Provincia per dirimere una questione strutturale riguardante l'Auditorium e la biblioteca a proposito della quale era opportuno interpellare la bibliotecaria. Chiesi di Cleopatra, mi risposero che, momentaneamente, era scesa da Cesare (un ausiliario), rivolgendomi al primo a portata di mano: "Per favore Antonio, recuperami Cleopatra, mi dicono che è andata da Cesare”.
L'ingegnere mi guardò perplesso sospettando di essere preso in giro, poco dopo, appurò che si trattava di soggetti realmente esistenti ed operanti a scuola. Compiaciuti del godibile intermezzo, chiarito all'istante il problema riguardo alla biblioteca, gli rappresentai la necessità di praticare un'apertura nel piccolo ambiente destinato a cabina di regia su di un lato del palcoscenico per consentirne la visuale, sentenziò che non era possibile trattandosi di muro portante. Il problema fu bellamente risolto da Peppino (marito di Teodora, altro valore aggiunto), da provetto carpentiere nei suoi anni di lavoro in Svizzera smenti l'ingegnere proponendo di intervenire salvo a non intaccare le anime di ferro nel cemento armato.”

LiceClassicoLatina

Liceo Classico Dante Alighieri di Latina

Ma il libro non racconta solo storie di scuola, in maniera diacronica percorre anche la storia della città di Latina, dagli anni ‘50 ad oggi e, tra un aneddoto e l’altro, si può sbirciare tra le fessure dei racconti e vedere Latina “crescere”.

A proposito degli anni ‘50:

“… luoghi familiari e rassicuranti. La prima e unica scuola di infanzia, l'asilo con le suore di S. Marco - le "cappellone", copricapo con svettanti ali inamidate - dove molti della mia età ricordano orgogliosi e felici di aver vissuto le ore migliori della loro infanzia; la Scuola Elementare di Piazza Dante, la Scuola Media in un'ala dell'omonimo Palazzo M con l'Istituto Magistrale al centro, il Ginnasio-Liceo "Dante Alighieri" nell'altra ala. Per noi giovinetti il riferimento della M a Mussolini era puramente casuale, poco o nulla sapevamo dell'origine e del valore degli edifici di fondazione o storici della città; sapevamo, certo, che era stata voluta e fondata dal duce, chi fossero i fascisti e i comunisti. Non ci rendevamo ancora conto, però, degli scempi edilizi iniziati a partire dagli anni Sessanta, quando in nome di una sommaria cancellazione dei fasti del Ventennio, in realtà, di una conclamata ignoranza e scellerata frenesia speculativa, furono demoliti edifici di fondazione di gran pregio. Nel 1962, l'originaria Casa dell'Agricoltura o del Contadino (architetto F. Di Fausto 1938) demenzialmente abbattuta per costruirvi un anonimo e grigio falansterio; a seguire, l'amputazione di un'ala del palazzo della Posta - l'elegante scaletta sottesa da un armonioso arco dove eravamo soliti giocare a nascondino (architetto A. Mazzoni, 1932) sostituita da un orrendo parallelepipedo in calcestruzzo armato, giustificato dalla pretestuosa necessità di ampliare gli uffici. La sparizione di quelle costruzioni è a tutt'oggi testimonianza della incultura e mancanza di senso estetico, da un lato, di una mentalità proto speculativa di palazzinari che hanno deformato la fisionomia di una città che avrebbe potuto vantare il primato e privi legio di "città ideale”. Di un centro turistico e balneare invidiabile, non fosse avvenuto lo scempio selvaggio della marina, che, allora, voleva dire Foce Verde. Allegro, a volte rocambolesco, l'arrembaggio mattutino di una folla festosa di grandi e piccoli con l'assalto alla diligenza (la corriera) per assicurarsi il posto sia all'andata sia al ritorno.”

E degli anni '60:

“Disco VERDE

Dal punto di vista formativo ed esperienziale, tra la libreria Raimondo e Musica Radio si colloca la storica "Casa del disco" di Danilo, in certo senso la mia "Casa Ricordi”. Inizialmente, si trovava sotto casa, accanto al portone d'ingresso, dunque, vi entravo ed uscivo a tutte le ore. Carlo (Musica Radio) era il commesso e consulente esperto e attento dei clienti. Danilo se ne intendeva, sempre aggiornato, l'unico in città a essere fornito di etichette discografiche di pregio …”

Tutto il libro è accompagnato da “fotografie” che raccontano di teatro, cinema e musica, sempre presenti anche nei racconti di vita vissuta. Si tratta di “chicche” da non perdere per chi ama questi mondi:

“... la bislacca "Tintarella di luna” (stesso anno) urlata, sincopata e singhiozzata da Mina. Un'estate, per caso, l'ascoltai dal vivo, a Porto Civitanova Marche, fulminato da quella ragazzona dai movimenti e gesti sussultori ed ondulatori, a buona ragione ribattezzata "la tigre di Cremona"; qualche anno dopo la rividi al Circeo, in una "Bussola" altra da quella ben nota. Decollata a cielo aperto sull'Italia cantando a gola spiegata quel poetico cielo immaginato da Gino Paoli …”

“la Ekberg era decisamente vistosa, anche lei come la Girardot a fior d'acqua. Nella celebre scena di seduzione del bel Marcello mi sembrò una donna angelicata, al di sopra di ogni scandaloso sospetto, venuta a Roma per mostrare innocentemente il suo seno e la sua sensualità. In una pausa riuscii ad avvicinare Fellini, che fu gentile; gli dissi di Foce Verde, mi sorrise compiaciuto, spari in fretta senza darmi il tempo per l'autografo. Andai a vedere il film a Nettuno - a Latina le prime visioni tardavano ad arrivare in un cinema affollatissimo e affumicatissimo, posti in piedi, i commenti tra i più disparati, il più rumoroso e insistente: “Nun ce se capisce un cazzo" contrappuntato da: "A bona!". …  Nel 1961 Pasolini gira "Accattone”, il suo primo film, debuttando come regista e cineasta già sui generis, uscito in concomitanza con la pubblicazione di uno dei suoi libri di poesia più intensi, "La religione del mio tempo". Ad "Accattone" seguiranno "Mamma Roma" con Anna Magnani, l'episodio "La ricotta" (in "Rogopag"). Tre film non solo di rottura ma di sconvolgente bellezza e autentica avanguardia, dunque, scandalosi e perciò guardati con sospetto e ostilità dall'Italia bigotta e paesana. Nello stesso anno mio padre inviava alla Agenzia Ansa, "Corriere della Sera" e "Gazzettino del Lazio" una notizia sensazionale: il già famoso scrittore e regista Pier Paolo Pasolini, sceso da una macchina presso un distributore in un negozio di alimentari di benzina, a San Felice Circeo, entrava in un negozio di alimentari minacciando con la pistola il giovanotto Bernardino De Santis - dietro il bancone - intimandogli di consegnargli l'incasso. Questi sporgeva denuncia contro il rapinatore presto identificato, condannato (nel 1962) a quindici giorni di arresto, amnistiato in appello. Uno strano caso che diede adito a un'infinità di congetture, soprattutto, per il credito dato dai carabinieri, poi, dal giudice al fantasioso racconto del testimone, paradossalmente cinematografico, gli uni e l'altro all'unisono in sintonia con il pregiudizio e l'avversione della italietta nei confronti di Pasolini. Ciononostante, in uno dei vari articoli sul fatto, mio padre commentava: "Sia nella zona di San Felice sia nel capoluogo sono rimasti in pochissimi tra l'opinione pubblica a credere alla drammatica rapina per procurarsi un paio di mila lire". Fu proprio durante il processo, a Latina, che vidi per la prima volta Pasolini. Mio padre lo avvicinò, imbarazzato lo salutai.”

E, non mancano, passaggi in cui storia del Cinema e del Teatro e storia della Città si incrociano.

“Ero a conoscenza che l'amico Franco Barbaresi, noto architetto in città, non estraneo al mondo del cinema (conosceva Fellini), aveva scritto la sceneggiatura per uno dei film girati da Vittorio Storaro abbinati ai volumi d'arte "Roma imago urbis” a cura della Zecca dello Stato. Perché non presentare al Liceo un prodotto di tal riguardo in cui era coinvolto un nostro concittadino e magari invitare Storaro? La macchina, grazie a Franco, fu messa immediatamente in moto. Perfezionato l'Auditorium nei primi, indispensabili accorgimenti (dopo le quinte lo schermo), fu contattato Storaro, pose una condizione: proiezione solo in pellicola (35mm) … Arrivò il gran giorno anzi, la grande serata con un parterre da Scala di Milano, rituale saluto del sindaco della città (Ajmone Finestra) il quale, estroverso ed immaginifico qual era, nel suo entusiastico saluto chiese al "fotografo" Storaro di fare qualche bella fotografia alla sua città (!).”

“Senza essere fatalisti sarà stato scritto da qualche parte che Latina dovesse essere il luogo di elezione della mia attività nella scuola, teatralmente e cinematograficamente conformato. Gli anni Ottanta l'hanno vista protagonista assoluta nella sua metafisica bellezza del film di Marco Ferreri "Storia di Piera" (1983), girato quasi interamente nella città di cui il regista sembra aver colto l'essenza restituendone un'immagine ideologicamente emblematica nelle sue architetture del Ventennio con lo svettante obelisco littorio (nel parco)!, esaltata e trasfigurata dalla superba fotografia in una metafisica città del futuro. Una sequenza fu girata nell'atrio dell'ancora esistente vecchio ospedale, poi, adibito a scuola (Liceo Scientifico "G.B. Grassi"), con alcune comparse del luogo, con esse l'attrice Lina Bernardi (pure di Latina), in un piccolo ruolo. Conobbi le due protagoniste, spigolosa la Huppert, più disponibile e spiritosa la Schygulla, le chiesi che impressione avesse della città a percorrerla in bici. "Una città misteriosa anche in piena luce", sentenziò aforisticamente.”

Storia di Piera 1983 Marco Ferreri recensione 932x460

Una scena del film "Storia di Piera", girato a Latina (https://quinlan.it/2018/12/23/storia-di-piera/)

Mentre leggevo questo diario, personale e pubblico allo stesso tempo, non potevo non pensare che, infondo, è proprio questo che dovrebbe fare un intellettuale: dare il suo punto di vista rispetto alle cose (come il mito della caverna di Platone insegna, tanto per rimanere sul classico!). E nella mente mi frullava, continuamente, un concetto che poi ho ritrovato nel libro stesso. E così lo riporto come formulato dal Professor Maulucci, che sa esprimerlo certamente meglio di come farei io e che, penso, lo abbia posto a fondamento di tutta la sua narrazione:

“Come uomo di scuola e cittadino, oggi, mi trovo a dover constatare, in parallelo, i destini incrociati di due realtà - la città e la scuola - che in cinquant'anni hanno certamente cambiato il vestito, non del tutto l'anima. Entrambe, infatti, rischiano di rimanere avvitate su sé stesse, ancorate a una tradizione scolorita dal tempo, ancora alla ricerca di un autore che consenta ad esse, nate vive, di vivere. La scuola, però, equiparabile a un gran teatro, ha la risorsa degli insegnanti grazie ai quali può ravvivarsi (tornare a vivere) giorno dopo giorno poiché loro, come gli attori, non smettono mai di essere tali. Infatti, loro restano e resteranno sempre legati alle tavole del palcoscenico (la cattedra), al pubblico (gli alunni), sempre pronti a rinnovare lo stupore tra "letteratura" e realtà.”


SINOSSI

ConfessoAvereInsegnato

Il diario (quasi segreto) di un viandante sfrontato, impertinente, provocatorio. Un “gioco” con persone e personaggi di una città nuova, della scuola, del paese Italia. Un mettersi in gioco per capire se hai vinto o hai perso. Un’escursione della memoria tra il sentimentale, il razionale e l’immaginario. Quasi un romanzo. Catullo l’avrebbe detto nugae (sciocchezze).


CONFESSO DI AVERE INSEGNATO, Diario di un viandante tra scuola, cinema e teatro di Giorgio Maulucci è acquistabile nelle principali librerie di Latina e Provincia o direttamente dal sito dell'Editore, spedizione gratuita con Corriere, consegna in 3-4 giorni lavorativi.

https://www.atlantideditore.it/prodotto/confesso-di-avere-insegnato/

Grazie a Dario Petti e ad Atlantide Editore per la disponibilità nella realizzazione di questi articoli

Passo Genovese, c'era una volta un ponte

c'era una volta un ponte... il ponte di passo genovese

Una strana “riscoperta”

In queste poche righe vogliamo raccontarvi una storia insolita di “riscoperta” del patrimonio archeologico e culturale. 
È proprio vero: "quando vuoi nascondere qualcosa, mettila sotto gli occhi di tutti!". Diventerà parte del paesaggio, parte del tutto, e diventerà "invisibile"! 

È quello che succede ogni giorno con i nostri  oggetti, con i modi di fare, con le strutture, in sostanza con la cultura del quotidiano: con il passare del tempo sparisce, risucchiata dal nuovo e dall’abitudine.
Ecco perché quando qualcuno comincia a “ricordare”, in un certo senso è come se facesse una  scoperta, è come se quello che vede fosse del tutto “nuovo” anche se realisticamente non può che essere definito “vecchio”!
Si chiama “archeologia”, le sue fondamenta stanno tutte lì, nella riscoperta del vecchio che viene liberato dagli strati di abitudine che l’hanno ricoperto per anni, per secoli o addirittura per millenni.

È quello che è successo anche al ponte di Passo genovese. 

Era lì, sotto gli occhi di tutti i frequentatori di foce verde e del litorale di Latina ma poi, un po’ per incuria, un po' per via dell’abusivismo, un po' perché la foresta che componeva la cosiddetta “selva di Cisterna” prima della bonifica prepotentemente si riprende ogni spazio che le apparteneva quando viene lasciato incustodito … il ponte era scomparso, anche se è sempre rimasto lì ed anche se era “sotto gli occhi di tutti”.

Chi, quando e perché

È stato il gruppo di Protezione Civile “Passo Genovese” di Borgo Sabotino che lo ha “scoperto”, in tutti i sensi!
Sono passati più di dieci anni ormai: ad Ottobre del 2009, i volontari dell’associazione ripulirono il ponte da sterpi, arbusti e rifiuti per riportarlo alla luce, all’aria... a respirare: un primo passo verso l’adozione di questo monumento.
Venni invitato a fare l'archeologo supervisore dei lavori e, per questo motivo, ho deciso di raccontare ancora una volta, a distanza di dieci anni, quello che è venuto fuori, perché penso che possa servire a qualcosa ed a qualcuno.
Penso che questo lavoro, infatti, abbia un notevole valore, sia dal punto di vista pratico che dal punto di vista simbolico.
Il lato pratico lo lascio al resto dell’articolo, quello simbolico eccolo qui. 

L’associazione ha scelto il ponte di passo genovese come suo simbolo, lo ha inserito nel nome ed anche nello stemma. Sembra una cosa banale ma non lo è, questo interesse nei confronti di un monumento è "notevole" e rispecchia quello che dovrebbe succedere normalmente nei confronti dei beni culturali, che sono il simbolo della nostra identità e del nostro territorio. Si tratta brutalmente di “marketing della cultura”. Serve a far circolare nomi e fatti che rendono più vicini questi monumenti al sentire collettivo. Chiunque avrà a che fare con la Protezione Civile di Borgo Sabotino si chiederà: perché “Passo Genovese”? Cos’è? E scoprirà un pezzo in più della sua storia e del suo territorio!
Se tutte le associazioni o le aziende facessero così, i Beni Culturali Italiani avrebbero valori inestimabili e noi non avremmo perso il senso dell’appartenenza e delle radici come invece stiamo facendo.

C’è anche un altro valore che sta dietro questo gesto: un valore “civile”.

L’area di foce verde non è sicuramente una “perla” della Provincia: inquinamento, centrale nucleare, Terna, progetti di porti faraonici e soprattutto, abusivismo edilizio ed abbandono sono le uniche parole che ti vengono in mente quando passi da lì. Di certo non viene da pensare a quel tratto di costa come ad un pezzo fondamentale della storia della Provincia, né ad un parco archeologico!

E poi i problemi sono tanti e vari che interessarsi alla tutela di un monumento non è certo la priorità, neanche se intorno ci costruiscono una baraccopoli abusiva ed una mezza discarica a cielo aperto!
”Pulire” un monumento in quella zona equivale a dire: noi teniamo a questo posto e, se ci teniamo, un motivo ci deve essere! 

         

 PASSO GENOVESE PRIMA DELLA PULIZIA

Un pezzo di storia da raccontare

Non si può certo dire che il ponte di passo genovese sia uno dei monumenti più importanti della zona, tuttavia, la sua presenza ha un pezzo significativo di storia da raccontarci, soprattutto per quello che oggi si chiama Borgo Sabotino.
Partiamo dal nome: Passo Genovese
Durante la bonifica integrale degli anni 20-30, tutti i borghi della provincia hanno perso il loro nome originario e sono stati ri-battezzati con i nomi delle battaglie principali della Prima Guerra Mondiale. Stessa sorte è toccata a Borgo Sabotino che, in precedenza, si chiamava Passo Genovese.

Non a caso, la toponomastica è una delle scienze che contribuiscono alla ricostruzione della storia dei luoghi.
Il fatto che quella zona si chiamasse Passo genovese lascia intendere che Genova vi abbia qualcosa a che fare.
Prima della bonifica, la zona era sotto lo Stato Pontificio, commerciava molto con i genovesi ed era nota in tutta Italia per tre aspetti strettamente legati alla palude stessa:

  • le bufale e la produzione di latte e mozzarelle.
  • Il legname di tipo forte delle foreste della allora “Macchia di Cisterna”, soprattutto querce, che Genova utilizzava per costruire le sue imbarcazioni
  • Il pesce di acqua dolce e salata che proveniva dai laghi, dagli stagni e dalle peschiere oltre che dal mare e che veniva trasportato a Roma, dove era molto apprezzato. 

L’intenso commercio con i genovesi era anche dovuto allo scambio di minerali metallici che loro portavano qui dall'isola d'Elba per alimentare Le Ferriere di Conca. Un rapporto privilegiato che ha dato il nome alla zona, sancito anche a livello formale dallo Stato Pontificio, anche a seguito di alcuni favori di guerra per i quali la Chiesa era debitrice. 

Borgo Sabotino in quanto tale, venne costituito come villaggio di appoggio per i lavori di bonifica che si dovevano realizzare nella zona. L’opera più importante era proprio l’apertura del tronco inferiore del Canale Mussolini, come sfocio a mare del Fosso Moscatello presso la torre di Foce Verde.
Il fosso Moscarello scendeva dai Colli Albani, e si “inpantanava” nella zona retrostante la duna marina fino a tracciarsi un vero e proprio alveo alle spalle della duna e parallelo alla costa.
A nord della torre di Foce Verde avveniva la stessa cosa con il Canale di Mastro Pietro, un derivatore del Fiume Astura che portava, anche attraverso il Moscatello, acqua dolce nel lago di Fogliano.
Si veniva a creare quindi, una vera e propria via acquatica, un sistema di collegamento in parte artificiale ed in parte naturale tra i vari fiumi e laghi costieri, quella che è stata chiamata “fossa Augusta”, la via di collegamento tra il litorale Romano (il Tevere) ed il Circeo (il Lago di Paola).

Il ponte di Passo Genovese serviva a “scavalcare” questi fossi (in particolare il Rio Giordanello) e consentire il carico delle navi genovesi (ma non solo) ormeggiate al largo, in mare.
Non si tratta quindi, di un vero e proprio ponte ma di un pontile di carico, un molo ed un “braccio murario” di collegamento tra il mare ad una probabile strada posta sulla duna quaternaria (quella dove ora scorre la via litoranea).

La parte in muratura del ponte di Passo Genovese (vedi architettura del ponte) passava probabilmente proprio sul fosso Moscarello, ora interrato e parallelo alla costa. Ecco perché l’andatura del ponte è perpendicolare alla costa e parallela all’attuale Foce verde. 

La strada di cui si ipotizza la presenza potrebbe essere stata la via Severiana.

La leggendaria Via Severiana era una strada litoranea di collegamento tra Roma ed il Circeo, fatta costruire o forse, più probabilmente “rintracciare e valorizzare” sulla base di un tracciato già esistente, da parte della dinastia dei Severi, gli imperatori che governarono Roma nel I sec d.C..
La via Severiana comprendeva diverse “stazio” (stazioni di posta, luoghi destinati al rifornimento ed al risposo), tra le quali molte possono essere riconosciute negli stessi posti in cui adesso sorgono Torre Astura, B.go Sabotino, la foce di Rio Martino (B.go Grappa),  e così via fino al Circeo a Torre Paola.
La via Severiana era importante perché serviva a collegare la costa pontina ed il suo sistema di laghi (dove, tra l’altro, sorgevano diverse ville romane) a Roma, con notevole movimento di merci, che avveniva sulle chiatte lungo la già citata “fossa augusta”. È evidente che il trasporto su carro doveva, in alcuni casi, essere molto più rapido di quello su chiatta trainata.

Come era fatto il ponte: l’architettura

Quello che vediamo adesso è il risultato finale di quello che potremmo definire un “restyling strutturale” del ponte avvenuto sotto Pio VI (1775 – 1799) 

Prima di essere in muratura, il ponte doveva essere in legno e doveva esistere già dall’epoca romana, contemporaneo alla via Severiana.

La struttura attuale ricalca i canoni dell’architettura settecentesca, è composto di tre parti realizzate con due tecniche costruttive diverse e forse se ne può ipotizzare una quarta: 

  • Prima parte: tra la duna ed il ponte, realizzata con la cosiddetta tecnica a sacco, ovvero un terrapieno foderato in pietra che doveva essere una vera e propria rampa o strada sopraelevata fino al ponte in muratura,
  • Seconda parte: al di sopra di un canale parallelo al mare, probabilmente un affluente del canale di foce verde, in muratura. Quattro archi in mattoncini realizzati su 4 pilastri in pietra con facciata in cortina decorata in pietra. 
  • Terza parte: un altro terrapieno che doveva superare il secondo livello di dune, più basse rispetto alla duna quaternaria.
  • Quarta parte: dal terrapieno al mare. Non essendoci resti né fonti che lo testimonino, possiamo solo ipotizzare la sua presenza. è in dubbio se fosse in muratura o in legno e doveva servire da vero e proprio molo di imbarco, passando sopra la spiaggia ed arrivando fino in mare. Non essendoci neanche resti delle fondamenta in pietra al largo, è possibile ipotizzare che fosse in legno come la prima versione del ponte.

In conclusione, questo posto della Provincia Pontina, è importante per quattro ragioni:

  • è la testimonianza di una realtà pre - bonificafondamentale per l’economia della zona: lo sfruttamento della già citata “selva di Cisterna”come fonte di legname. 
  • dimostra l’esistenza di un discreto traffico di merci tra la terraferma ed il mare
  • dimostra probabilmente l’esistenza di una via di comunicazione di una certa importanza, quella che qualcuno ha riconosciuto come la via Severiana.
  • è la testimonianza dell’esistenza di una idrografia complessa(sia naturale che artificiale) che doveva tenere collegati i laghi con i fiumi e le coste.

Lavoro di pulizia e scelte tecniche

I problemi che si affrontano quando si decide di pulire un monumento sono soprattutto di carattere conservativo. Quando si va a togliere l’involucro di piante, spazzatura e terra che lo hanno ricoperto per anni si corre il rischio di “esporlo” di più alle intemperie ed al vandalismo. Anche se è brutto dirlo, quando un monumento è sepolto, si conserva meglio e può sopravvivere più a lungo. 

Ecco perché bisogna fare molta attenzione ed avere una certa lungimiranza, senza esagerare e pulire troppo.
I volontari della Protezione Civile, con ruspe, motoseghe e roncole hanno eliminato tutti gli arbusti, i giunchi e le canne che crescevano sopra ed intorno al monumento ma, insieme, abbiamo deciso di lasciare in loco le radici degli arbusti e di tenerle sotto controllo lasciandogli continuare quel lavoro di imbrigliamento delle strutture che hanno fatto così bene negli ultimi anni. Abbiamo deciso inoltre di lasciare un letto di terra e muschio sulla sommità del ponte che aiuti a proteggerlo dalle intemperie. I fianchi invece sono stati puliti del tutto per lasciarli respirare ed asciugare ed è scavato un canaletto per il deflusso delle acque stagnanti verso i vicini canali di deflusso per evitare il ricrearsi di quelle terribili mini-paludi che stavano inzuppando le gambe del ponte.

 

OPERAZIONI DI PULIZIA DEL PONTE e PONTE A LAVORO FINITO

La domanda finale

Se questo fosse un quiz, questa sarebbe la domanda finale, quella a cui, se rispondi bene, vinci cifre esorbitanti: e dopo? Cosa è successo dopo la pulizia?
L’associazione decise di “adottare” il ponte, che si tradusse in: ci pensiamo noi a tenerlo pulito ed a valorizzarlo per bene. Ed, in effetti, con iniziative di pubblicità e di pulizia, ci stanno pensando loro. 
Si tratta indubbiamente di una azione nobile e riguardevole ma io mi chiedo: basta? 

Nel senso, può una associazione di volontariato impegnarsi a tempo indeterminato per la salvaguardia e la tutela di un monumento? E soprattutto, spetta davvero a loro farlo? Hanno i mezzi e le competenze necessarie?

È vero che non stiamo parlando del Colosseo ma la domanda è quella che tutti coloro che si occupano di Beni Culturali in Italia si trovano a fare di frequente: Dov’è finito lo Stato? Che dovrebbe salvaguardare il patrimonio pubblico attraverso risorse specifiche ed istituzioni che trà l’altro già esistono!
La verità è che questo tipo di azioni fatte da parte dei privati sono lodevoli ma se le facesse lo Stato sarebbe parte del suo dovere Costituzionale!

In conclusione la domanda rimane: cosa ne sarà del ponte di passo genovese? Verrà restaurato? Le costruzioni abusive che sorgono intorno (a ridosso della spiaggia e quindi anche a rischio idrogeologico) verranno abbattute? I terreni di accesso al ponte che attualmente sono incredibilmente privati (stiamo parlando di un pezzo della duna quaternaria, parte del demanio dello Stato), verranno espropriati? Il ponte sarà accessibile e fruibile?

Per ora, la risposta è: forse, chissà... speriamo, non per il momento... un'altra occasione caduta nel vuoto!


di Marco Mastroleo

Gran parte dei dati storici provengono dal prezioso lavoro di Francesco Tetro.
In particolare, per la redazione di questo articolo, ho consultato:
Paola de Paolis – Francesco Tetro, La Via Severiana. Da Astura a Torre Paola, Regione Lazio Ente Provinciale per il Turismo Latina, 1986 

PER MAGGIORI INFORMAZIONI SULL'ASSOCIAZIONE PASSO GENOVESE E SUL PONTE, VISITATE IL SITO http://www.passogenovese.org


da un'idea di Marco Mastroleo

per maggiori informazioni, contattaci su Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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