Giorno 6: Città

Giorno 6: Città

Tutti adorano (o forse no) il flauto dolce! Chi non ha mai lanciato una qualche forma di imprecazione dopo dieci o quindici minuti passati ad ascoltare (passivamente e suo malgrado) un ragazzo delle scuole medie che studia musica torturando quel magnifico strumento? Fiulì, fiulà, prrrrr… prooooo, fuuuuu… una tortura! Ecco cos’è il flauto dolce, se non lo sai suonare!
Ebbene, la sveglia dell’ultimo giorno del viaggio dell’allegra combriccola di Clorofilìa inizia con una sorta di ululato suonato in onore del sole che sorge. Un ululato flautato…

– Michè! Smettila con quel coso!

– Te tiro na scarpa…

– Smetti di suonare o, giuro, non te la do più!

– Cos’è che non gli dai più, mamma?

– Ecco, Michè, hai svegliato pure Elettra…

– Alisea, amore mio… Quest’alba mi ha ispirato. Mi sono ricordato di come ci siamo conosciuti… e mi sono sentito ispirato. L’ho fatto per te! Era puro romanticismo.

– Papà, cos’è che mamma non ti dà più?

– Niente Elettra, niente.  Dormi un altro po’, ché è ancora presto. Dormi, a papà.

Così, grazie al trambusto generato dal flauto di Michele, un po’ ridendo, un po’ no, anche gli altri cominciano ad uscire dalle loro tende e si danno da fare. Chi inizia a smontare il campo, chi prepara la colazione, e chi, come i bambini,  gira tra le tende cercando di svegliare i pochi che, insensibili alla… musica, dormono ancora.

– Ma, ’st’arma de distruzione di massa, non l’avevano vietata?

– Eh Flavio, non c’è verso! Ogni volta gli chiedo: “L’hai lasciato a casa il flauto, vero?”. Lui mi dice sempre sì, e sempre se lo porta… non c’è speranza.

– Che poi, Aurè, ma tu l’hai mai capito perché cazzo a scuola devono usà  ’sto maledetto flauto dolce pe fa fà musica ai regazzini?! Non potrebbero usà cose meno aggressive, tipo l’ukulele, la diamonica… Quand’ero regazzino io se usava la diamonica…

– Flavio, pure ’na batteria è meno aggressiva di quel flauto, se lo suona Michele…

– E comunque, Aurè, con la celebrazione dell’alba abbiamo cominciato e con la celebrazione dell’alba lo finiamo,  ’sto viaggio. Solo che il primo giorno abbiamo iniziato la giornata con una ode al sole, oggi chiudiamo con una serenata poco rasserenante…

– Ah ah ah! Grazie Flavio, e grazie a tutti voi per aver apprezzato la mia musica.

– Grazie a te, maestro Michele, e ringrazia che Gino è ancora troppo addormentato per sfotterti, sennò...

I bambini ridono per la situazione, e chiamano Michele per andare a giocare con lui. Perché Michele è così, il più cresciuto dei ragazzini. Ed il flauto, quel suo modo di suonare il flauto, lo dimostra appieno!

– Zio, ci racconti meglio quella cosa che hai detto prima? È vero che tu e zia Alisea vi siete conosciuti grazie al flauto?

– Se volete ve lo racconto io!

– Eh… Vai, vai, Alisea, amore della mia vita. Vai, dacci dentro anche tu. Dai!

– Ah ah ah! Michele, lo sai che non potrei fare a meno di te e del tuo flauto. Anche perché l’isola è piccola e quando suoni, non c’è scampo per nessuno…

Comunque, è andata così: come vi raccontava Michele qualche giorno fa, sono arrivata qui a Ponza a settembre del 2019. Ero in vacanza, solo in vacanza. Non avevo nessun altro obiettivo, al contrario di tutti voi qui. Mi piace alzarmi molto presto, così una mattina sono scesa sulla spiaggetta di Ponza porto con l’idea di godermi l’alba, comprare la colazione per tutto il gruppetto degli amici con cui ero venuta qui e andare a casa a svegliarli. Nel 2019 il livello del mare, come vi abbiamo detto già un sacco di volte, era più basso di così, quindi la spiaggia era più ampia. Proprio in riva al mare c’era una sola persona. All'inizio non capivo, mi sembrava di sentire una specie di rumore, un… qualcosa…

 – Nu suon… Non ho parole! Altro che rumore: era musica!

– Sì, Michele mio, musica, ok. Dicevo, vedo ’sta figura, una specie di asceta, con i capelli lunghetti, la barba, con i piedi in ammollo nell’acqua, che cerca di suonare un flauto. Qualunque persona sana di mente sarebbe scappata via. Io, invece, gli sono andata incontro e l’ho salutato. Eravamo gli unici due mattinieri amanti del mare su quella spiaggia…. E così abbiamo iniziato a chiacchierare.

– Ma ci potete pensare? Appena ho visto ’sta venere che camminava nell’acqua, ho smesso di suonare e sono rimasto a bocca aperta. Meno male che ha parlato lei!

– Sì. Per fortuna, diciamo, ha smesso di suonare ed è rimasto a bocca aperta. Altrimenti sarei scappata… Invece l’ho trovato incredibilmente simpatico. E siamo andati a fare colazione insieme.

– E i tuoi amici? La colazione che dovevi portargli?

– Boh, in qualche modo avranno fatto… Io sono rimasta tutto il giorno co ‘sto personaggio qui. E non sono più andata via dall’isola.

– Mo me fat chiagnere. Ja! A vulimm fa’ ’sta colazione, o no?

– Grazie, Gino, per aver contribuito anche tu a celebrare degnamente quest’ultima alba del viaggio.

Dopo la tanto sospirata colazione, caricano tutto su Fùfilo e si mettono in viaggio.

Dal “Semaforo” di Monte La Guardia, il gruppo scende percorrendo il sentiero che arriva al porto, passando dalla zona degli Scotti. 

Al bivio de «U Spàlece» girano a sinistra e puntano verso Ponza porto. Da quel punto si vedono il piccolo promontorio che chiude la baia a nord-est,  e, in sequenza, il cimitero, proprio sul promontorio, l’isola di Zannone e, in lontananza, il golfo di Terracina con Sperlonga e Fondi sullo sfondo.

Quest’isola, ancora oggi, non è solo Clorofilìa, è tutta la sua storia. O meglio, Clorofilìa non sarebbe nata senza tutta la storia di Ponza e, se hai una buona guida che ti accompagna, una semplice camminata può trasformarsi in un viaggio nel tempo.

La prospettiva è troppo bella. Francesca non riesce a resistere e comincia a raccontare.

– Lo sapete che quel promontorio è il punto più anticamente abitato dell’isola? Proprio lassù sorgeva una villa romana e, in mare, dall’altra parte, si trova la Grotta di Pilato, uno dei punti più belli dell’isola. La conoscete?

– Io sì, zia.

– Beh, fino a qualche anno fa era visitabile; si poteva arrivare all’ingresso maggiore anche con una piccola barca. Ma oggi che il mare si è alzato, è molto più complicato raggiungerla ed entrare. E si vede anche meno bene, nonostante la posizione da cui la stiamo guardando. 

– Anche io la conosco, zia. Però non so cosa sia, esattamente.

– Sembra una semplice grotta, ma non è così. E oggi si può capire bene cos’è solo guardando le foto di qualche anno fa o facendo snorkeling, magari con una torcia. Sul mio smartphone ho qualcosa che ci può aiutare… Una foto ed un disegno, di quelli che si trovavano sulle guide turistiche fino a qualche anno fa.

– Zia, questo tuo telefono è come un’enciclopedia dell’isola. Hai tutte le cose antiche!

– Sì, mi piace troppo, non posso farne a meno. Adesso vi racconto la storia della peschiera. Più in là, se vi va, vi racconto la storia di Pisacane.

– Piscia che?

– Pi-sa-ca-ne, non quello che hai detto tu…

– Quello del corso, Livia. Anche a me ha sempre fatto ridere questo nome… Sono curioso di conoscere la storia di questo signore, chissà che c’entrano i cani!

– Niente Ettore, i cani non c’entrano. Dai, dopo ve lo racconto. Vi dicevo della frotta. Si tratta di una peschiera, in realtà. Cioè, sono tre vasche scavate nella roccia dai Romani per catturare ed allevare pesci.

– Anche alle grotte di Pilato ci siamo ispirati quando abbiamo progettato le serre con le vasche d’allevamento. Una versione moderna delle peschiere romane.

– Eh sì, grazie Flavio! Dicevo, una serie di canali univano le vasche con il mare aperto, con un sistema di saracinesche per regolare il flusso delle maree e permettere il ricambio dell’acqua.

Probabilmente la peschiera serviva a rifornire di pesce la villa romana sul promontorio. Era come avere un grande frigorifero: i pesci venivano allevati o pescati e poi conservati nelle vasche. Quando volevano mangiarli, andavano lì, li pescavano con un retino e li cucinavano…

– Mia nonna avrebbe detto: ’Sto pesce è frisco frisco, Gino. È bbuono assaje...”

– Grazie, Gino. Oltre a tua nonna però, un po' prima che lei nascesse, anche Plinio aveva raccontato della peschiera.

— Francé, sei sicura? Guarda che mia nonna è morta a 105 anni, mi sa che ’sto Plinio l’ha pure cunosciut…

–Gino! Plinio, detto “il Vecchio”, era un autore romano. È morto nel 79 dopo Cristo, durante la famosa eruzione del Vesuvio.

– Guarda che mia nonna, all’epoca, era ’na ragazzetta e sulla lava del Vesuvio ci ha surfato!
Sto pazziann… ja! Lo so chi era Plinio.

- Plinio ci racconta che qui dentro si svolgevano anche riti di buon auspicio, una sorta di riti magici che i sacerdoti pagani usavano per interpretare il futuro.
Dal comportamento dei pesci che nuotavano verso la superficie dell’acqua, al richiamo del sacerdote, gli ospiti potevano provare ad indovinare il loro futuro. Luigi Maria Dies, uno storico che ha studiato questi riti, per descriverli, scriveva: “Correvano le delicate murene a mangiare le leccornie loro offerte dai visitatori: erano pesciolini salati, frutte fresche schiacciate, briciole lucenti di pan fresco, bocconi preferiti e, dal modo come si accostavano oppure rifiutavano, con un colpo di coda, le ghiottonerie offerte, i relegati, specialmente, credevano di interpretare i futuri eventi della loro triste sorte”.
-Fico… Che superstiziosi, però…
- Si, i romani osservavano la natura e provavano sempre a interpretare i “segni” che poteva racchiudere. C’era anche un’altra credenza legata alla grotta. Probabilmente, come riporta Dies, nelle vasche venivano allevate le murene. I sacerdoti pensavano che le murene fossero pesci incrociati con i serpenti. Credevano che potessero venire fecondate una sola volta all’anno, nella notte in cui una certa stella illuminava con i suoi raggi la superficie del mare con una precisa inclinazione. Per far avvenire questa “fecondazione” tagliarono, sul tetto della grotta, una finestra che rispettasse l’allineamento astrale e facesse entrare i raggi di luce di quella stella. Considerando l’inclinazione della finestra e la posizione delle stelle nel cielo in epoca romana, la costellazione magica era probabilmente quella del Drago.
-Strafico… quando possiamo andare a fare snorkeling lì?
- Un giorno vi ci porto, ma il mare deve essere calmissimo.
- Sennò ci mandiamo un drone!
- Oh, Ettore, ma tu sei proprio fissato coi droni eh!
- Ah ah. Dai, continuiamo la discesa.

Si rimettono in viaggio e scendono verso gli Scotti, costeggiando il mare. 

– Papà, ora che sappiamo come si sono conosciuti zio Michele e zia Alisea, ci raccontate come vi siete conosciuti tu e mamma?

– Sì, Laura, va bene. Ma non è una storia divertente come quella di Michele! Io e Arianna ci conoscevamo già dai tempi del liceo. Ci siamo sempre frequentati, anche durante l’Università. Anche perché eravamo entrambi nel movimento studentesco. Organizzavamo feste, manifestazioni… casini vari, insomma. Ed eravamo anche iscritti entrambi al Partito Democratico. Un giorno, era il dieci aprile 2013, durante una festa del PD, Arianna, sempre frizzante e vivace, stava proiettando su un maxischermo un video girato durante un intervento presso una ludoteca. Nel video lei ballava e cantava con i bambini. Era al centro dell’attenzione, tutti gli occhi puntati su di lei. Non era una ballerina, ma era molto agile e si muoveva bene, sinuosa e delicata. Rideva, si divertiva, era raggiante e ogni tanto si aggiustava gli occhiali sul naso. Io ero in piedi accanto a lei, le tenevo la mano, la abbracciavo e la accarezzavo, per farla rilassare ed aiutarla a contenere l’emozione. Le facevo complimenti, sussurrandole parole nelle orecchie. Tenendola stretta.

Ad un certo punto, alle nostre spalle si presentano due ragazze, maglione e jeans, ci prendono da parte e cominciano ad attaccarci: “Certe scene sono indecenti”, “Non ci si scambia effusioni davanti a tutti”, “Non ci si tocca in pubblico” e così via.

Arianna, in tutta risposta, si incazza come una iena, le chiama “bigotte”, ricorda loro che non possono andare in giro a parlare di “apertura, uguaglianza e democrazia” se loro per prime non sono mai uscite dall’ottica ottusa del cattolicesimo di inizio secolo. Che la loro “democristianità” non è tollerabile se diventa “oscurantismo”, eccetera eccetera. Le avevano rotto gli argini, come è successo a Michele con la farmacista. Non riuscivo a trattenerla!

Qualche giorno dopo, il diciannove aprile 2013, questa divisione tra democristiani e socialisti, che avevamo vissuto sulla nostra pelle, e le questioni non risolte interne al Partito vennero a galla. Si doveva votare per il Presidente della Repubblica. Durante un’assemblea pre-voto interna al partito si era deciso di votare tutti per Renano Perdi. Invece, durante la votazione in Parlamento, ben centouno senatori  del PD non hanno votato per lui, tradendo gli accordi e facendo vedere al Paese la spaccatura profonda che c’era all’interno del partito. Noi siamo “scappati” appena in tempo, da quel momento in poi è cominciata l’ascesa di un certo Matteo Rocci. Un disastro per quel che rimaneva del PD…

– Papà, non ci stiamo capendo niente…

– Sì, scusate. Io e la mamma siamo usciti dalla sala, mano nella mano. Mentre uscivamo, Arianna mi ha tirato verso di lei e mi ha baciato, con lo schiocco, per farsi sentire da tutti. Non vi dico la reazione delle “bigotte”! Bocca aperta e braccia spalancate. Per un bacio! Da non credere! Mi ricordo ancora oggi cosa mi disse : “Sai che c’è? Adesso le effusioni ce le scambiamo davvero. Per ripicca? Sì, per ripicca… Scemo di un amico timido: baciami!”.

Da quel giorno, abbiamo cominciato a costruirci una visione tutta nostra del mondo che volevamo immaginare e per il quale volevamo spenderci.

Anche da qui è nata Clorofilìa, dal crollo delle ideologie politiche e dei sogni condivisi. Per noi era diventato necessario sceglierci un “piccolo sogno privato”, “un’utopia minimalista”. Per questo, dopo tanti anni, quando abbiamo capito qual era la nostra strada, ci siamo tuffati in questo progetto senza farci troppi problemi e senza troppi dubbi.

– Ma, allora vi siete innamorati per ripicca?

– No, no. Semplicemente avevamo bisogno di uno schiaffone che ci svegliasse e ci ricordasse chi eravamo. Lo schiaffone ce l’hanno dato quelle due “bigottine” lì. Eravamo al terzo anno di Università, da allora siamo sempre stati insieme, non ci siamo lasciati mai!

 

Nell’ascoltare quella storia, tutti i ragazzini e buona parte dei grandi si sono fermati, godendosi il racconto su quel tratto della strada da cui si intravedono il mare, da una parte, ed il borgo, dall’altra; a metà strada tra il mondo dei paesaggi, dei sogni e delle speranze, ed il mondo reale, quello degli uomini.

Plin. Il suono di una notifica su un cellulare riporta tutti con i piedi per terra, nel presente. Da un cellulare parte una vocina metallica, robotica: “Potenza 8,5, intensità 10. Congratulazioni, il tuo “super ruttone” ti porta in testa alla classifica. Hai appena realizzato un rutto da primo posto!”.

I bambini scoppiano a ridere e, tra le risate varie, uno di loro chiede:

– Ma la APP non era stata distrutta? Zio Ugo, non ce la racconti tutta…

– Scusate, è che, quando bevo acqua gassata e cammino, per me è come bere una birra! Non potevo perdermelo… Primo in classifica, comunque, eh? Ho dato il meglio di me sulla durata...
– Sì, la APP è stata disinstallata dal telefono di tutti, tranne, evidentemente da quello di Ugo. Grazie, Ugo. Stavo raccontando che ci serviva uno schiaffone per ricordarci chi siamo e tu, con un rutto, lo hai fatto alla grande. Ecco chi siamo! Un gruppo di fuori di testa!

Riprendono a camminare e arrivano, infine, nel borgo.  Quel piccolo borgo nel quale vivono e lavorano tutti i giorni. Girano verso destra percorrendo via Parata, scendono da via Roma e giungono alla chiesa dei Santi Silverio e Domitilla.

Il punto è che, quando questo gruppo di “fuori di testa” è arrivato sull’isola, tra il 2019 e il 2021, il borgo era completamente diverso da come appare adesso. Cioè, guardandolo dal porto sembra esattamente identico al passato ma, in realtà, nella sostanza, è profondamente diverso.

Già nel 2020 esistevano tecnologie e tecniche che permettevano di trasformare qualsiasi costruzione in una struttura confortevole ed ecosostenibile. Ma quanti usavano queste tecniche?

Questi piccoli e banali accorgimenti di edilizia o di ingegneria, tutti insieme, sono stati applicati qui per la prima volta. Con un progetto ambizioso e coerente. Chi veniva sull’isola, a vedere cosa stavano combinando, rimaneva stupito perché poteva vedere il futuro con i propri occhi. Poteva capire, senza troppo sforzo di fantasia, che un modo diverso di vivere ed abitare era possibile, bastava mettersi a… costruirlo. Clorofilìa ha dato al mondo una visione del futuro, un futuro sereno ed in equilibrio con l’ambiente, una visione che, ancora solo nel 2030, era inimmaginabile, visti i disastri ambientali che il mondo stava vivendo. A Ponza c’era il sole dopo la tempesta!

Quando il progetto Clorofilìa ha cominciato a prendere piede, con la piantumazione degli alberi, la riattivazione dell’acquedotto romano, l’arrivo dei robot e così via, insieme all’entusiasmo sono arrivati soldi. Un sacco di gente ha voluto investire in questa visione del mondo così diversa. Alcuni per gioco, altri per “fede”, fatto sta che l’isola ha cominciato a ricevere finanziamenti per portare avanti il sogno.

Per prima cosa l’energia elettrica. Sull’isola costava davvero troppo e per mettere a pieno regime autobus e barche elettriche serviva energia economica e pulita. Hanno cominciato con il finanziare impianti domestici: fotovoltaico, solare termico per l’acqua calda e microeolico.

Il problema di queste tecnologie è che sono “brutte” da vedere.

Cioè,  Ponza è bellissima, perché la linea delle case di età borbonica e il prospetto del borgo visto dal mare sono rimasti identici a come erano nel 1800. Quindi l’uso di queste tecnologie non doveva cozzare con la bellezza del borgo. Così, dove possibile, i pannelli sono stati nascosti dietro le volte delle case, nella faccia non visibile da terra. Gli isolani, poi, hanno “inventato” un modo ingegnosissimo per nascondere i pannelli, dove i tetti delle case erano piatti o troppo in vista. Sui tetti hanno montato staccionate di legno o di ferro e ci hanno fatto crescere piante rampicanti o piccole siepi. I tetti di Ponza sono diventati verdi. Cioè, bianchi e verdi. Il profilo del borgo non è più lo stesso, certo, ma è più allegro. Si è aperta una sorta di gara a chi allestiva il tetto più bello e, nel giro di soli due anni, quasi tutti i tetti di Ponza si sono riempiti di piante e pannelli.

Nei punti più alti, più esposti e dove c’era spazio, qualcuno ha montato anche delle micro pale eoliche ad asse verticale. Sono delle piccole colonnine, alte poco più di un metro e mezzo, bianche, che si mimetizzano con i comignoli delle case.

Così, sfruttando i tetti, si è arrivati  a produrre la metà dell’energia elettrica necessaria a Ponza. Un altro po’ di energia era prodotta con le pale eoliche classiche, quelle ad asse orizzontale, montate sui crinali più ventosi dell’isola. Eppure, non bastava. Per mandare avanti i traghetti elettrici, le barche, i battelli, gli autobus e tutto il resto, l’energia prodotta dai tetti non era sufficiente. Allora la compagnia nazionale dell’energia elettrica ha usato il mare intorno all’isola per un grande esperimento: convertire in energia elettrica il moto ondoso. 

Presto, al largo di Ponza, verso sud, nel tratto di mare che la separa da Ventotene, è nata una nuova isola. Non vulcanica come le altre, ma fatta di acciaio e gomma. Una piattaforma galleggiante ancorata al fondo del mare grazie a robuste corde d’acciaio. La piattaforma si chiama “Inertial Sea Wave Energy Converter (ISWEC)” e trasforma l’energia prodotta dalle onde — la più grande fonte rinnovabile inutilizzata al mondo – in energia elettrica, adattandosi anche alle differenti condizioni del mare.  In pratica produce quasi sempre, ma produce al massimo quando il mare è mosso.

Il limite di tutte queste tecnologie, però, è dato dal fatto che producono molto in alcuni momenti (con il vento, il sole, il mare mosso), e poco o niente in altri. Quindi, gli ingegneri di Clorofilìa hanno dovuto inventare un sistema per rendere disponibile l’energia anche quando non può essere prodotta, ovvero di notte, quando non c’è vento e quando il mare è calmo, insomma… Anche questa è stata un rivoluzione, ma, come quasi tutto quello raccontato fino ad ora, non ha richiesto l’invenzione di qualcosa di nuovo, solo l’utilizzo di tecnologie già esistenti!
Hanno, dunque, installato in diversi punti dell’isola, soprattutto nei centri abitati, una serie di accumulatori ad idrogeno, basati sulla tecnologia delle celle a combustibile, come quelle usate per le auto ad idrogeno. 

Cioè, raccontandolo meglio: l’energia elettrica prodotta dai vari sistemi viene utilizzata per produrre idrogeno tramite elettrolisi. L’idrogeno viene accumulato in grandi bombole stabilizzate e poi usato per produrre, di nuovo, energia elettrica, facendolo reagire con l’ossigeno. L’energia prodotta viene poi redistribuita per i vari usi, sfruttando la rete elettrica esistente. Un processo ad emissioni zero: l’unico scarto è l’acqua! 

Tutto fantastico, se non fosse che l’idrogeno è un gas molto pericoloso da maneggiare ed intorno a questo progetto si sono concentrate per molto tempo le ansie degli isolani e di tutti gli altri. Ora che funziona, da tanti anni e senza problemi, quasi non se ne ricordano più. Inoltre, molti abitanti dell’isola sono stati coinvolti nella gestione e manutenzione di queste piccole centrali, creando anche posti di lavoro.

Passiamo all’acqua, ora. Quella che arriva dall'acquedotto viene mandata nelle piccole cisterne di cui ogni casa di Ponza dispone. Le acque “usate”, poi, grazie a delle piccole stazioni di filtraggio fisico e microbiologico, vengono depurate e rimandate nelle case, per essere utilizzate per gli scarichi. Poi, ancora una volta, l’acqua viene depurata e filtrata ed usata in agricoltura. Ogni linea ha i tubi di un colore specifico: le acque pure in blu, le acque filtrate la prima volta in viola, le acque per l’agricoltura in verde. Come avviene in Israele, dove neanche una goccia della poca acqua che hanno viene sprecata!

Ed anche intorno a questo sistema, sono nati nuovi posti di lavoro.

Passeggiando in mezzo alle case della “vecchia-nuova” Ponza, il gruppetto, seguito dal fedele Fùfilo, raggiunge la piazzetta della Chiesa, dalla quale si può godere la vista di tutto il porto.

– Zia Francesca, ce la racconti la storia che ci hai promesso?

— Sì certo. Sedetevi qui, sui gradini della chiesa di Santa Domitilla. Sapete chi era santa Domitilla?

– No.

– Flavia Domitilla era figlia dell’Imperatore Vespasiano e sorella degli imperatori Tito e Domiziano. Era stata confinata qui sull’isola, punita per essersi professata cristiana. Dopo qualche anno tornò a terra, a Terracina, dove morì. Molti secoli più tardi fu ricordata come una delle prime martiri cristiane. Per questo è celebrata in una chiesa qui a Ponza.

– Cioè, i Romani facevano così? Se uno la pensava in modo diverso da loro, lo mandavano in esilio su qualche isola lontana?

– Beh, non solo i Romani! Queste isole sono state usate come luogo di confino da quasi tutti. I Borbone avevano costruito un “bagno penale” qui sull’isola, ovvero una specie di grande dormitorio dove vivevano i “coatti”.

– Ah sì, quelli di ieri…

– Sì, ed anche in epoca fascista, per un certo periodo, furono mandate persone qui, in confino.

– Pure Mussolini, quando fu deposto, fu portato qui a Ponza in esilio, per qualche giorno. Abitò in una casa del borghetto di Santa Maria, dove abitiamo noi. Quasi un contrappasso!

– Sì, Aurelio, vero. I confinati fascisti vennero poi trasferiti a Ventotene, dove erano stati costruiti dei grandi capannoni. Il bagno penale di Ponza non era più sufficiente, gli oppositori del regime erano… un po’ troppi! Insomma, queste isole hanno sempre ospitato ribelli, pensatori e malviventi in “soggiorno forzato”...

– Noi, zia, a quale delle tre categorie apparteniamo?

– Ah ah ah, Ettore… Non l’avevo mai vista in questo modo, però sì, è vero, un po’ in esilio coatto siamo anche noi! Comunque, la storia che volevo raccontarvi ha a che fare anche con i coatti e si è svolta proprio qui, in questa zona dell’isola. Quando la leggo, mi fa sorridere. Un po’ per l’italiano in cui è scritta, un po’ per l’atmosfera che suscita. Però, vivere quelle situazioni deve essere stato tragico! Soprattutto la fine. Non è stata delle migliori. Cioè, poteva finire meglio, ecco!

– Dai zia, spara!

– Sì, ecco, vi leggo un altro passaggio del libro del Tricoli. Comincia così: 

“Il partito benanche liberale Italico ideò un movimento nel reame napolitano, ed a riuscirvi sopra il vapore di Sardegna “il Cagliari” furono imbarcati 18 casse di armi come mercanzie, 25 emigrati corsi, romagnoli, coi regnicoli Carlo Pisacane come capo, Giovanni Nicotera e Giovanni Falcone quali sottocapi, ed invece di far rotta di spedizione per Tunisi, approdavasi in Ponza il dì 27 giugno 1857, verso le 5 pomeridiane, pretestando (cioè usando come pretesto) danni alla macchina…”.

In pratica, il partito liberale, capitanato da Carlo Pisacane e da Giovanni Nicotera, provò a portare la rivoluzione nel regno di Napoli. Partirono a bordo del “Cagliari”, un vaporetto, ed arrivarono a Ponza fingendo di avere un guasto…

“Vi accorreva il capitano del porto Montano Magliozzi, il pilota pratico, e l'uffiziale di piazza, che furono osteggiati (presi in ostaggio), la deputazione sanitaria era divertita (cioè fuorviata), mentre due lance inosservate per la esterna scogliera sbarcavano 18 dei cennati individui armati di due botti (cioè fucili a due colpi), con giubba e berretta rossi, immettendosi pel vicolo La Caletta, preceduti dallo stendardo ancor rosso, gridando ‘Viva l'Italia e la Repubblica’, tirando fucilate…”

Insomma… sorpresa! Dalla nave scendono diciotto tizi armati che cominciano a sparare fucilate per aria, gridando “Viva l’Italia”... Da pazzi…

“Attoniti i custodenti e gli abitanti nel vedere quei furibondi impadronirsi della scorridoia (barca) di marina, scambiarsi i colpi con taluni soldati, uccidendo il tenente di servizio, ed occupata parimenti la Gran Guardia, la batteria-molo e il palazzo del comando, ove si erano riuniti gli uffiziali, e segnata la resa tutti furono prigionieri sul Vapore. Ecco in breve i terrori della rivoluzione scoppiarono, armandosi da circa due mila dei servi di pena fra ex militi, rilegati, e presidiarii con le armi ricavate dalla truppa, e disbarcate dal legno in due botti (fucili a due canne), tromboni (fucili con una canna molto larga), pistole e stili (spade).

Fattasi imponente la massa, rabbrividivano i naturali (ovvero gli abitanti di Ponza) perché tutto cedeva, aperto il bagno (il bagno penale), e le altre prigioni della rilegazione, e circondariali, un torrente di forsennati coi gridi sediziosi gridava per lo abitato e pei casali, crescendo in audacia e in eccessi, allorché il fuoco consumava le officine della comandanzìa, del giudicato, del Municipio e de’ posti degli urbani, di polizia e di gendarmeria: indi col proclamare la Repubblica quei ribaldi sbrigliati, mettevano a sacco l'intera isola, non esclusi commestibili e gli arnesi ancorché ìnfimi…”.

Cioè, in pochissimo tempo mettono sottosopra l’isola, liberano i coatti e sequestrano i militari portandoli sulla nave, in un lampo! E cominciano ad appiccare incendi qua e là per spargere terrore. E saccheggiano tutto quello che c’è da mangiare, benché “infimo”, come dice il Tricoli.

E qui arriva la parte "grottesca" di tutto questo teatrino. I rivoltosi che fanno? Proclamano la Repubblica e… fanno suonare la banda! Cioè, erano proprio altri tempi! La banda! Che spettacolo! E poi le parole, “la obbligata illuminazione”, per dire l’illuminazione pubblica… Ve lo leggo. Fate attenzione!

“Mentre essi festeggiavano all'imbrunire della sera, bensì con la obbligata illuminazione, e banda musicale, aumentavanzi le angosce de’ sbalorditi ponzesi rannicchiati per le remote caverne coi funzionari, ed eternavasi i momenti del lottare benanche fra i disagi, ed il certo sterminio, dopo tanto bisbigliare e ladrocinare, senza speranza di soccorso o freno a quella deplorabile scena. Verso la mezzanotte salpava intanto al tiro di cannone il piroscafo con ancora 323 di essi servi di pena de’ più audaci dirigendosi a Sapri presso le coste di Salerno”.

Ora, c’è un altro passaggio,  in quanto vi ho appena letto, che mi piace molto. Il Tricoli dice che gli abitanti erano “sbalorditi, rannicchiati per le remote caverne…”. Caverne? Cioè? Cioè le bellissime case-grotta a basso impatto ambientale, con circolazione forzata dell’aria, ristrutturate in bioedilizia… Insomma, le meraviglie in cui abitiamo adesso, il Tricoli le chiama “caverne”. Ed i poveri ponzesi erano lì rannicchiati e tremanti. Che scena!

– Certo, Francesca. Pensate, bambini, che le case-grotta, ancora fino a non molti anni fa, erano davvero umide e fredde come caverne. È stata un’altra delle mega-imprese di Clorofilìa quella di rendere le case ospitali e salubri come sono adesso. Abbiamo dovuto smontare tutte le piastrelle e gli intonaci impermeabili che avevano usato per decine di anni e sostituirli con malte naturali e traspiranti per far sì che il tufo potesse “respirare”. E abbiamo dovuto scavare cunicoli e camini per far fuoriuscire l’umidità in eccesso. E abbiamo montato delle ventole domotiche per far circolare l’aria tra le camere, distribuendo aria fredda ed aria calda grazie a particolari sensori che…

– Arià, avemo capito. Fermate, daje!

— Sì, Flavio, hai ragione, mi sono lasciata andare… Francesca, finisci tu!

– Arianna, giuro, non ripeterò la parola “caverne” per un bel po’! Insomma, Pisacane ed i suoi, dopo aver messo su tutto questo trambusto nella piccola Ponza, con tanto di banda e festeggiamenti vari, salpa diretto a Sapri, vicino Salerno, per continuare la rivoluzione nel regno di Napoli.

E qui scatta l’imprevisto: mentre la nave dei ribelli repubblicani è in viaggio verso sud, dal porto di Ponza, nascosto dal buio della notte, parte un gozzo (una barca da pesca) con otto rematori diretto a Gaeta. La guarnigione viene informata della rivoluzione e, in poche ore, i Borbone mettono in moto il meccanismo che porta Carlo Pisacane a morire, con pochi altri dei non molti che lo avevano seguito, sulle coste di Sapri. Povero Pisacane! L’idea era buona: venire qui a Ponza, formare un esercito con tutti i reclusi del bagno penale ed attaccare i Borbone con un mini-esercito. Ma i reclusi non l’hanno seguito! Codardi? Fedeli ai Borbone? Egoisti? Chissà! I tempi non erano ancora maturi. Pisacane è stato un eroe solitario, morto da traditore, che ha guidato una rivolta in nome dell’Italia unita.

– Dai, che peccato, dopo tutto il trambusto che avevano fatto qui!

– Eh già. Però poi l’unità d’Italia s’è fatta ed è per questo che oggi la piazza ed il corso principale di Ponza sono intitolati a lui.

– Mangiamo qualcosa, dai. Nella pizzeria qui sotto, magari, vicino al faro. E poi rientriamo a casa.

– Andate, io vi raggiungo subito. Vado un attimo a salutare Silverio.

– Silverio chi, papà? Qui a Ponza si chiamano tutti Silverio!

– Silverio Mazzella, della libreria “Il Brigantino”. Francesca, come dice Gino, è una azionista di maggioranza di quella libreria, ha speso un sacco di soldi lì… In pratica è un po’ anche sua! E poi lei e Silverio sono diventati molto amici. Adesso che è anziano, va a salutarlo spesso. È lì che ha imparato tutte queste storie sull’Isola.

– Fico! Quel posto piace tantissimo anche a me. Vado, ho famissima. Vado a mangiare la pizza da Gennaro. Ciaoooo.

In pochi passi abbiamo percorso un pezzo di storia: più volte si era provato a far partire una rivoluzione da Ponza. Quella dell’Italia unita di Pisacane fallì. Ci riuscirono altri: nel secondo dopoguerra, dalle idee nate dai confinati sulle isole pontine a Ventotene cominciò la storia dell’Europa unita. Un’altra storia, dell’altra isola dell’arcipelago.

Nel 2020, invece, Ponza non è rimasta a guardare. Da qui è partita una rivoluzione che ha unito l’Italia e l’Europa al resto del mondo: una visione, un sogno. Da dieci anni a questa parte, l’isola è meta di architetti, ingegneri, biologi e naturalisti che vengono a studiare “il sistema Ponza”, per provare ad applicarlo nei loro Paesi. Ché in qualche modo, in Italia, la storia deve passare dalle isole, perché è sul mare che nascono le idee migliori!

Dopo la pizza d’ordinanza, con vista mare, il gruppetto si rimette in cammino.

– Mi sono davvero divertito! Attraversare Ponza a piedi è stato veramente incredibile. Non avevo mai visto l’isola da questa prospettiva. Prima di fare questi ultimi passi, che ci condurranno a casa, volevo ringraziare tutti, per aver raccontato un pezzo della nostra storia. Sono commosso!

– Grazie a te, papà, per la bella idea. Io, parlo per me, penso di essere un po’ diverso da come ero anche solo cinque giorni fa.

– Io, invece, dico che, mo, ce vo nu bell gelàt. Per festeggiare la fine di questa camminata, intendo...

– E grazie a Gino, che riesce a mandare sempre tutto in caciara!

Si muovono verso la Gelateria del Corso. Attraversano piazza Pisacane, passano davanti al Municipio e camminano lungo il corso.

– Aurelio e Michele, c’è una cosa che dovete vedere.

– Cosa,Ugo?

-Guardate qua…

– Minchia! Andiamo al molo. Grazie, Ugo. Andate a casa ed aspettateci lì. Mi sa che stasera lo chiudiamo col botto ’sto viaggio...


Marco Mastroleo, Latina 14/03/2021

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 14 (il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

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Approfondimenti:

- A proposito delle grotte di Pilato: https://www.ponzaracconta.it/2011/07/06/biografia-di-un-paese-7/
La foto delle grotte di Pilato è tratta da iPonza: https://www.iponza.it/luoghi/lt/cosa-fare-a-ponza-e-luoghi-di-interesse/le-grotte-di-pilato/

- Il Sistema ISWEC per sfruttare il moto ondoso esiste davvero! Per saperne di più: https://www.eni.com/it-IT/attivita/onde-mare-energia.html

- Sulle celle a combustibile ad Idrogeno, invece, consiglio il sito dell'ENEA: https://energia.enea.it/celle-a-combustibile-e-idrogeno/

Ringraziamenti:

Grazie a Giulia Santoro per il supporto ed i consigli.

da un'idea di Marco Mastroleo

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