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Giorno 5 - Tecnologia

Giorno 5: Tecnologia

La giornata precedente è stata quasi malinconica. Parlare di come è nata la loro comunità ed il loro sogno ha coinvolto tutti, nel corpo e nello spirito. Aurelio e Michele si ritrovano fuori dalle tende già alle prime luci del mattino, come se si fossero messi d’accordo. Quante volte si sono ritrovati a guardare nascere il giorno per poi cominciare il lavoro! Preparano il caffè per tutti gli adulti e li svegliano, per assistere insieme al sorgere del sole.

– Che bella è l’alba a Ponza! Qui a Frontone, poi, è veramente magnifica.

– La falesia brilla alla luce del mattino. È splendida. Sembra veramente scolpita da un gigante folle!

– Se svegliamo presto i bambini possiamo fare un po’ di strada al fresco! Su questo versante il sole batte forte la mattina. “Coce!”, come dicono qui…

Così Arianna sveglia i bambini e mette fretta al gruppo, ripetendo continuamente che non possono fare tardi perché Antonio, detto "’O pulptàr", li aspetta per la colazione, sta già preparando tutto. Oggi si muovono in groppa ai robot da lavoro, i parenti di Fùfilo. Sono già arrivati e non bisogna far tardi, perché i robot devono tornare alle loro occupazioni. Arianna e Gino ne hanno programmati dieci per raggiungerli lì, a Frontone. Queste bestioline meccaniche hanno una sorta di sella, usata normalmente per caricare merci o strumenti da lavoro e che, all'occorrenza, può essere usata come seduta. 

Salgono e cominciano la salita. La “sella” è molto ampia e ci si sta comodamente in due o tre per ogni robot. È come stare in groppa ad un cavallo, i bambini ridono ad ogni saltello. Devono raggiungere Punta Capo bianco, dall’altra parte dell’Isola.

Circa trenta minuti di sobbalzi ed eccoli arrivati. 

Proprio dove un tempo era il parcheggio Capobianco, ora sorge un bar, il bar di Antonio "’O pulptàr". È lì che fanno colazione, con vista panoramica sulla bellissima falesia che dà il nome al luogo. 

Come in ogni bar e ristorante dell'isola, anche qui, sulla porta, è esposto il menù con l'elenco ingredienti. È un elenco speciale, perché riporta luogo di origine del cibo e carbon footprint del suo ciclo produttivo. Anche questo è Clorofilìa. Questa del progetto “Menù intelligente” è stata un’idea di Flavio: ne ha curato ogni dettaglio ed ha messo in piedi la supersquadra che ha elaborato le certificazioni, i metodi, le scale di giudizio e tutto quello che serviva per realizzarlo. 

Ma la vera rivoluzione l'ha portata Ugo! Ugo è un nickname, non è il suo vero nome. Forse solo Flavio sa come si chiama davvero "Ugo". Fa parte della sua natura: è un informatico di altissimo livello, professionale come pochi ma, in maniera del tutto equivalente, un gran cazzarone, alleato di Gino in molti scherzi e goliardate. 

 Ugo ha permesso che tutti i cibi che arrivano sull'isola siano tracciati e codificati, con tecnologia cloud. Così ogni punto vendita che li espone può mostrarne, grazie ad una serie di schermi, la provenienza ed il certificato, in tempo reale e senza sforzo. Lo sforzo di questa enorme mega-elaborazione dati la fa il software inventato da Ugo. Lo sforzo di elaborare e presentare tutte queste informazioni, lo fa il server di Clorofilìa. I commercianti devono solo occuparsi di accendere lo schermo e di tracciare tutte le merci in ingresso. Ogni cibo ha un codice di provenienza, espresso in un QR code che può essere letto da qualsiasi smartphone. Ogni volta che il cibo fa un passaggio viene tracciato, ed il suo impatto ambientale (questo è il carbon footprint) e la sua posizione vengono ricalcolati.

Inoltre, una tabella specifica racconta quali sono i cibi di stagione in quel periodo, le loro caratteristiche nutritive ed i modi per prepararli. 

– Quasi tutto il cibo servito nel bar proviene da Ponza. Quando siamo arrivati, era esattamente il contrario. Qui sull'isola non si produceva quasi più niente. 

– Ma, zio Flavio, che se ne facevano di tutte le serre dell'isola, se non le usavano per produrre cibo? 

– Le serre, sull'isola, le abbiamo portate noi, Mattia. Sono serre speciali, hi-tech, progettate da me, Arianna, Gino ed Ugo. In particolare da Gino ed Ugo.

– Zio Gino e zio Ugo, ce lo raccontate?

– Ué, guagliunciè, magnt 'a pastarell’ e famm’la magnà in santa pace… 

– Gino, ma dai, cosa ti costa? Finisci la colazione e poi ci racconti, dai… 

– Dai, zio! Tieni contento Mattia!

– Chiara e Licia. Siete due infami, lo sapete che ho un debole per voi e non posso dirvi di no. Chiara, sei la mia stella, la mia geologa isolana preferita...

– Anche l'unica… 

– Eh, ma bell'accussì ce ne stanno poche... E tu, Licia… 

– Sono la tua “nipote” preferita, lo so… 

– Ecco! Dopo la sfogliatella ed il cappuccino mi dedico a voi, dai. 

Gino, diminutivo di Luigi Capoccia, può essere riassunto in questo passaggio. Gino è tutto qui! Burbero e burlone solo in apparenza. Generoso e dinamico nella realtà. Gino è stato ed è, a tutti gli effetti, una delle locomotrici del progetto, nonché lo “zione” di tutti i bambini.

– Flavio tiene na capa tanta, ma poi, quando si tratta di pensare a cose pratiche, si perde… E quindi io e Arianna ci siamo messi sotto e gli abbiamo progettato, in pochi mesi, un sistema che, fino al 2020, era solo teorico. Abbiamo costruito le serre autosostenibili e le abbiamo chiamate “ZAPPÀM”, che è l'acronimo di Zona ad Alta Produzione di Puzza di Asparago Marcio… 

– Gino, sei sempre il solito idiota! Questa è come la storia di Spazzolo! Le serre si chiamano High Efficiency Recycling Greenhouse, o HERG. 

– Arià, quello è un nome buono per le pubblicazioni scientifiche, vuò mettere HERG cu ZAPPÀM?

– ZAPPÀM è troppo bello, non si batte! Zio, sei un genio! 

– Grazie marmocchié, vado avanti. Al di fuori della serra c’è una vasca, una mini-piscina, che si alimenta con l'acqua piovana e con le falde. Nella vasca c’è un allevamento di pesci. L'acqua della vasca è usata per innaffiare le piante nella serra, perché, grazie ai liquami dei pesci, è già ricca di azoto e fosforo e non c'è bisogno di altri concimi. 

– Sì, Gino. Lo so che mi chiamo Ugo e nei confronti degli Ugo c'è sempre un certo pregiudizio. Pregiudizio che tende a farti dimenticare il ruolo fondamentale che questo Ugo ha avuto in tutta la faccenda. Ma ricordati che a gestire la baracca, lì, c'è uno dei miei computer, che, con vari sensori, controlla in continuo i livelli di azoto e fosforo ed accende e spegne in automatico i filtri, se serve, in base ai valori impostati da Flavio. E funziona quasi sempre bene, perché lo ha fatto Ugo...

– E certo Ugo. ’O dico sempre io: “Ma come fa uno che si chiama Ugo ad andare oltre le tre lettere del nome suo”. Eppure, come dici tu, Ugotto mio, hai fatto un buon lavoro. Mica te volevo negà ’a fatica… 

– Fottiti… Ah ah ah!

– Pozz continuà? Allora, le piante si trovano dentro le serre. Pomodori, pesche, zucchine, melanzane… Di tutto. Stanno su un letto di lana di qualcosa… Com'è che si chiama, Flà? 

– Lana di roccia. Ma il “letto” può essere anche in fibra di cocco, torba… Quello che serve, in base alla coltura. Le piante sono disposte su due o tre piani. Le piante da frutto sono sui piani alti, o in un angolo della serra se questa è bassa. Negli strati più bassi alleviamo ortaggi e insalate e, se la luce è poca, le illuminiamo con lampade LED. Livelli e quantità di concimazione e irrigazione vengono decisi da un software, che regola, in maniera robotizzata, le distribuzioni. 

– E anche quello l'ha progettato Ugo, che sarei io! Il software per autoregolarsi usa anche una serie di sensori installati nei substrati e sulle piante. 

– Insomma, tutto robotizzato… Usiamo meno della metà dei concimi, nessun trattamento chimico e l'acqua viene quasi tutta riciclata. Produciamo frutta e verdura tutto l'anno, usando pochissime risorse. Di serre così, sull'isola, ce ne sono quasi trenta. Alcune sono piccole qualche metro quadrato, altre sono alte fino a sette metri. E sono sempre nei pressi delle valli o nelle piccole pianure, dove è più facile recuperare l'acqua e gestire le vasche. E poi, nelle valli, risentono meno del vento battente. 

– Fico! Zio Flavio, una cosa non l'ho capita... Perché le serre puzzano? 

– In realtà, Mattia, a puzzare non sono le serre, ma le compostiere che abbiamo all'esterno. Le usiamo per produrre il concime. 

– Le compostiere sono un'idea di Arianna. So’ scatolotti de ferro, fetenti assaie, all'interno dei quali tutti gli scarti delle colture vengono messi a fermentare e maturare per tre o quattro mesi. Quanno ’a cosa fetente, ’o compòst, è pronto, lo usiamo come concime. 

– Una serie di sonde di temperatura e umidità regolano la gestione della massa, grazie ad un software…

– Che hai fatto tu, zio Ugo?

– Ormai l'abbiamo capita la filastrocca! Povero zio Ugo…

– Vi voglio bene, piccole canaglie! Facciamo così, mentre camminiamo vi racconto una storia veramente interessante. Altro che ’sto progetto delle serre. Ne ho scritti di software fichi, io!

Così, seduti su una terrazza con vista su Capo Bianco, godendosi cornetti e frutta di stagione, il gruppo inizia la preparazione per la scarpinata quotidiana. I robot, zampettando come capre, tornano al loro lavoro quotidiano. Con i viaggiatori rimane solo il solito, fedele Fùfilo. Cominciano la salita verso Monte La Guardia.

La strada verso la cima è costellata di terrazze sulle quali si coltivano ulivi e vigne. Agricoltura eroica, la chiamavano nei primi anni Duemila e, in questo caso, anche artistica, perché, ispirandosi al primo esempio del genere, Masseria La Mastuola di Massafra, le terrazze che ospitano le vigne sono state realizzate seguendo il profilo della collina e delle valli. A Ponza, questi terrazzamenti li chiamano "le catene". Con l'inizio del progetto Clorofilìa le catene sono state risistemate ed adattate, anche grazie all'aiuto dei robot da lavoro. Lo spettacolo che offre questo “disegno” è incantevole perché, come un vestito aderente, accentua le curve del monte ed offre colori diversi in ogni stagione. Dai giochi dei verdi in primavera ed estate si passa agli arancioni e ai rossi in autunno e inverno. E, ovviamente, il vino che si ricava da vigneti così è superbo, perché la circolazione dei venti e dell’umidità sono giusti ed equilibrati rispetto alle esigenze delle vigne.

Salendo tra le terrazze, oltre a godere della bellezza delle vigne e degli ulivi, si gode della vista dell'intera isola. Uno spettacolo unico, emozionante, che fa apprezzare appieno la bellezza di questa virgola di terra adagiata sul Mar Tirreno. 

Anche se la vista è incantevole e l'umore è alto, la salita della fatica si fa sentire. Si fermano all’ombra di un gruppo di ulivi, e Arianna ne approfitta per raccontare quel paesaggio dal suo punto di vista. 

– So che, per voi che siete nati qui, vivere così è normale. Ma per noi, che venivamo da Roma o da altre città d’Italia, vivere in un posto che ha una sola strada per andare ovunque era davvero impensabile. Questo serpente che stiamo “inseguendo” da quando siamo partiti è l’unica via che permette di andare in ogni posto dell’isola. Pensate come doveva essere quando siamo arrivati qui, venti anni fa: autobus a benzina o diesel, macchine e moto rumorosissime, mezzi di tutti i tipi che ti sfrecciavano davanti ogni volta che mettevi un piede sulla strada e, soprattutto, pensate che puzza che c’era! Puzza di benzina e di diesel, che ti entrava nelle narici e non ti lasciava.

Non potevo sopportare questa situazione, così mi sono data da fare per trovare una soluzione. Ed abbiamo inventato il sistema che oggi conoscete tutti.

– Zio Gino, hai dato un nome strano anche a questa invenzione?

– No, no, non mi sarei mai permesso. L’ho sempre e solo chiamata “la circumponziana”, il nome che gli ha dato tua madre, Ettore. Era già un capolavoro accussì!

– Ecco, almeno questo! Quello della circumponziana è stato il progetto più impegnativo di tutti, perché un conto era portare novità come Spazzolo, un conto era portare gli alberi e l'acqua con l’acquedotto, un altro bel conto era convincere tutti a rinunciare quasi completamente alle auto private per usare un sistema pubblico e condiviso. Però i benefici sono stati talmente tanti che ormai, trascorsi quasi dodici anni da quando abbiamo finito i lavori, i cittadini di Ponza non possono più fare a meno della circumponziana. E ci credo! Abbiamo creato una metropolitana su gomma, elettrica, che attraversa l’isola ogni dieci minuti ed è collegata ad una miriade di macchinette elettriche, silenziose ed agili, che fanno da “spola” tra la metropolitana e le zone lontane dalle fermate. Ormai, per attraversare l’isola o per muoversi a Ponza porto, non serve più prendere l’auto privata, tutt’al più si ha bisogno di un piccolo robot da lavoro o di uno scooter per arrivare alla fermata più vicina! Puntuale, pulita, silenziosa e bella, la circumponziana! E pensare che all'inizio tutti volevano andare in giro solo con la propria auto! Che proteste che abbiamo dovuto sopportare! È stata dura, nei primi anni…

Come il resto del progetto, anche questa “rivoluzione” raccontata da Arianna non aveva nulla di fantascientifico o di incredibile. Queste tecnologie esistevano già tutte negli anni Duemila. Eppure, spesso rimanevano confinate nel limbo del “non è applicabile” o del “si può fare, ma non qui…”.

La svolta, questa sì fantascientifica, è stata riuscire, finalmente, a rendere concrete tutte le idee che fino al 2020 erano ferme sulle carte degli scienziati. Riuscire a rendere reali le innovazioni progettate e immaginate, a rendere reali i sogni di un futuro migliore.

Clorofilia è nata perché questo gruppo di “pionieri” ha capito che tutti i sogni degli scienziati erano sogni per pochi sognatori. Che bisognava trovare il modo di tradurre quelle ambizioni in qualcosa di “reale” per tutti. Che bisognava tradurre lo “scientifichese” nel linguaggio di tutti i giorni. Perché il paradosso era proprio lì: un futuro felice ed in equilibrio con l’ambiente esisteva solo nella mente di pochi studiosi, quando, invece, bisognava farlo diventare il futuro ambìto da tutti!

– E indovinate chi ha progettato il sistema che gestisce il traffico? 

– Ugo, ‘a fernsc o no, cu chesta cantilena? 

– Dai, zio, raccontaci quella cosa divertente che ci hai promesso prima!

– Va bene, va bene. Quest'ulivo qui, su questa piccola altura, e questa vista mi ispirano! Anche se ci vorrebbe una bella birra… 

– Birra? E perché?

– Eh! Allora, dovete sapere che il progetto Clorofilìa mi ha sempre entusiasmato e mi ci sono lanciato subito a capofitto, ma… i primi inverni qui, sull'isola, da soli, senza cinema, senza teatro, senza pub affollati… Che palle! Io ho studiato a Roma e sono nato e cresciuto nelle Marche, a Pesaro. Ero abituato alla movida, ragazzi… Così, ho trovato un modo per divertirmi un po'.

Un pomeriggio, un lungo pomeriggio di pioggia, un lungo pomeriggio di pioggia invernale, di quelli che ti bloccano in casa, bevendo una bella birra ho avuto l'illuminazione. E mi sono messo a scrivere un codice. In sole tre ore di intenso lavoro, ho prodotto DCR!

– E che è? Non ne abbiamo mai sentito parlare… 

– DCR, Dillo Con un Rutto. La prima APP che misura l'intensità dei rutti, la loro profondità ed intonazione e gli assegna un voto. Il voto tiene in considerazione potenza, cioè la vibrazione che produce, e intensità, cioè la durata.

– Una cosa seria, insomma… 

– Una cosa serissima, caro Aurelio! Ogni volta che realizzi un bel ruttone, la DCR ti invia una notifica sullo smartphone comunicando il voto assegnato al rutto e la posizione in classifica.

– Wow, c'è una classifica? 

– Sì, avevo installato di nascosto la APP nei telefoni di tutti usando la rete aziendale, dicendo che era una APP per il team building.

I bambini non riescono a smettere di ridere, si buttano per terra a pancia all'aria, rotolando persino. Ugo, soddisfatto, sottolinea che con quella APP i pomeriggi non erano più lunghi e noiosi…

– Ecco, appunto! Erano, al passato. Sappiate che la APP è stata disinstallata dai telefoni di tutti.

– Aurelio è un vero bacchettone, ragazzi. Che ci possiamo fare. Anche se ricordo perfettamente un suo rutto da dieci punti che lo ha portato in testa alla classifica per quasi due settimane. Ah ah ah!

I bambini continuano a ridere a crepapelle. Poi si riprende il cammino, con passo leggero.

Proseguendo la salita verso Monte La Guardia, Luca, il figlio di Flavio e Sara, chiama Ugo a squarciagola, ma non fa in tempo a finire la “o” del suo nome che gli parte un rutto gigante!

– Quanti punti ho fatto, zio? 

Gli adulti non sanno se ridere o arrabbiarsi, così lasciano perdere, lanciando occhiate traverse ad Ugo. 

Ma Ugo non molla e, fiero, risponde:

– Secondo me era un otto, forse otto e mezzo, ma, purtroppo, come sapete, la APP non è più in uso, e il mio sogno di costruire una società dal rutto libero è andato distrutto. Era un sogno… da avanguardia. Troppo, evidentemente. Peccato! 

– Ah ah ah, zio, mi sto divertendo tantissimo! Perché non abbiamo mai fatto prima una cosa del genere? È troppo bello raccontarsi storie vere… 

Tra chiacchiere e scherzi, il gruppo continua a salire verso Monte La Guardia e, grazie al fedele Fùfilo, che trasporta tutto il necessario sulla sua groppa, arrivano sul pianoro nei pressi del Faro antico, che qui chiamano "il semaforo" e montano le tende per accamparsi per la notte.

Quando è ormai tutto pronto, è quasi ora del tramonto. Chiara ed Elena chiamano tutti e li invitano a guardare verso ovest. Lì sotto ci sono gli scogli detti "le Formiche". Quando il mare era più basso di così, le Formiche erano una serie di piccoli scogli affioranti, molto aguzzi, da cui tenersi alla larga. Ora sono anche peggio, perché sono proprio a pelo d’acqua o subito sotto la superficie di qualche centimetro e chi ha barche con la chiglia profonda rischia di arenarsi. Le Formiche, nel 2040, vengono sempre nominate solo come fonte di disgrazia: “Quello si è arenato alle formiche", "quell'altro ci ha quasi rimesso le penne" eccetera.

Ponza. Le Formiche

Ma, viste dalla cima del monte, sono tutta un'altra storia. Le Formiche sono bellissime. Delle lame di roccia che, al tramonto, creano giochi di luce stupendi. Elena le tiene sempre sott'occhio perché, secondo le leggende dei pescatori, intorno alle Formiche si trova sempre un sacco di pesce e, quando non ci sono i pescatori, ci vanno i delfini. Solo che, in vent’anni, ad Elena non era mai capitato di vederli, questi famosi delfini delle Formiche. E invece, oggi, sono tornati. Sono proprio lì, intorno agli scogli, a banchettare. Da lassù si vedono solo i riflessi che i loro dorsi producono riflettendo la luce del tramonto. Ma sono riflessi inconfondibili, sono delfini!

Rimangono un po' in contemplazione, mentre Chiara racconta a tutti che le Formiche, e tutte le rocce lì sotto, sono nere perché la zona dell'isola in cui si trovano ha una storia diversa dal resto. Le rocce vulcaniche di Monte La Guardia sono più recenti rispetto alle altre rocce dell'isola. L'eruzione data un milione di anni, ed è formata da lava trachitica; ovvero, il domo del monte si è formato quando l'isola era già emersa, e le eruzioni sono state di tipo idromagmatico. Durante l'eruzione, cioè, l'acqua entrava nel comignolo del vulcano, facendo raffreddare la lava molto in fretta e creando giochi di forme e cavità molto particolari. Alla parata degli Scotti, oltre che a Le Formiche, ci sono esempi bellissimi di questo tipo di rocce. Di questo stesso periodo sono Ventotene e Santo Stefano. Ventotene è quel che resta di un enorme cono vulcanico esplosivo che è stato attivo, forse, fino a 300.000 anni fa e che poi è collassato in mare. Da qui Ventotene si vede benissimo, la “ricetta” è perfetta: un’isola sullo sfondo, il mare azzurro nel mezzo e lo sguardo sconfinato verso l’orizzonte. Le emozioni si aprono in un abbraccio ed il pensiero può vagare. Francesca, più ispirata che mai, “lancia” una delle sue storie.

Perché non si può costruire un bel futuro senza una buona storia su cui appoggiarsi. L’isola, ancora una volta, ne ha una da raccontare. Francesca è la sua bocca.

– Guardando il mare da questa prospettiva, con lo sguardo rivolto a sud, mi viene in mente la storia delle navi coralliere. Nella seconda metà dell'Ottocento, Ponza era al suo massimo splendore. La gente si occupava di pesca e di agricoltura. Sull'isola si stava, tutto sommato, bene. I ponzesi, in particolare, erano specializzati nella pesca d'altura, la pesca del pesce spada, e nella raccolta del corallo, un'attività che avevano ereditato dai loro avi, gli abitanti di Torre del Greco, venuti qui a colonizzare una parte dell'isola. La joint venture, come la chiameremmo oggi, tra Torre del Greco e Ponza era una “potenza” nel campo della raccolta del corallo, famosa in tutto il Mar Mediterraneo: si scambiavano o mettevano in comune navi, equipaggi e finanze. E qui, sull’isola, abitavano i più famosi e più bravi corallieri d'Italia.

Girando per il Mediterraneo, avevano scoperto l'isola La Galite, cento miglia a sud della Sardegna, di fronte alla città tunisina di El Kale, La Calle in epoca francese.

I ponzesi conoscevano già La Calle, perché scappavano lì quando volevano evitare di pagare le tasse, quando l'isola era troppo affollata o, nella gran parte dei casi, quando l'esercito li chiamava a combattere e loro non volevano andarci! Un rifugio di ponzesi "mariuoli", insomma!

Tra i vari "mariuoli fuggitivi" c'era un certo Antonio D'Arco che, nel 1867 "se ne scappó" da Ponza a La Calle su una nave coralliera di Torre del Greco per sfuggire ad una condanna. Aveva picchiato a sangue un coatto, ed era ricercato. 

– Ma, zia, i “coatti” di Roma? 

– Ma no! I coatti erano persone che venivano confinate sull’isola. Erano costretti a stare qui come se Ponza fosse una enorme prigione. Domani, scendendo in paese, prometto di raccontarvi anche questa storia.

Comunque, cinque anni dopo essere arrivato a La Calle, Antonio D'Arco prese una barca, la famiglia, sette fucili da caccia, quattro mobili, qualche animale, qualche seme ed occupò l'isoletta La Galite, proclamandosene padrone.

– Seeee! Che matto!

– Infatti. Fatto sta che, dopo qualche tempo, lo raggiunse Giuseppe, suo fratello. L'isola cominciò a diventare presto un vero e proprio piccolo regno, tanto che la Francia, che all'epoca dominava sulla Tunisia, chiese ai tunisini di inviare una nave a vapore per far sloggiare i ponzesi.Era il 1873. Antonio D'Arco avviò una piccola guerra di resistenza, ma aveva solo sette fucili! Così si arrese. A patto, però, che i tunisini gli… pagassero il disturbo, per così dire. Volle un indennizzo in cambio della resa. E se ne tornò a La Calle. Però, Antonio, fermo non poteva stare, così già nel 1877 tornò di nuovo sull'isola. La Tunisia, stavolta, mandò subito una guardia, una sola... una di numero, con tanto di bandiera nazionale, per sottolineare che quella era e rimaneva terra tunisina. Questa situazione stava bene a tutti, così cominciò una pacifica convivenza. I coloni ponzesi divennero addirittura duecentocinquanta, perfettamente organizzati, come se fossero a Ponza. Con le istituzioni, il dialetto ed i santi protettori identici a quelli dell'isola madre. Insomma, una piccola Ponza in mare di Tunisia.

– Fico! Che spettacolo, zia. Questa storia è veramente incredibile. Ma è vera? 

– Sì, sì. Verissima, Licia! 

– E sono ancora lì, i “ponzesi tunisini”? 

– No. Purtroppo, la storia è finita male. Durante la Seconda guerra mondiale, l'Italia di Mussolini dichiarò guerra alla Francia. Di contro, i francesi arrestarono tutti i ponzesi di La Galite rimasti cittadini italiani. Quelli che, invece, erano diventati francesi, andarono in guerra con la Francia. I ponzesi, però, proprio come Antonio D’Arco, non sanno stare fermi! Così, dopo la guerra, i ponzesi di La Galite ripresero la “marcia”, se ne andarono in giro per il Mediterraneo e l'isola si spopolò. Nel 1967, sull'isola erano rimasti solo sessanta ponzesi. A metà degli anni Settanta, a La Galite era rimasto un solo abitante, che di cognome faceva, ovviamente, D'Arco. 

– Wow. Che figata! Ponzesi “all over the world”. Grazie per questa storia, zia. Mi è proprio piaciuta. Mi fa pensare che il mare non sia un limite ma un territorio da esplorare.

– Grazie a te, Elettra. Adesso a dormire! Buona notte a tutti.

Il piccolo campo improvvisato, con le tende hi-tech in fibra di carbonio, la cucina mobile, Fùfilo e tutto quello che abbiamo conosciuto in questi giorni, è presto pronto e silenzioso: i bambini sono stanchi e, dopo una rapida cena, vanno dritto in tenda. I grandi si ritrovano sotto il faro, ad osservare le stelle.

– Mi pare che il viaggio stia funzionando, non pensate?

– Sì, Aurelio, è stata veramente una grande idea. Presi dai nostri impegni, dai nostri sogni, dai nostri figli, non avevamo mai pensato di prenderci il tempo per fare il bilancio di questi ultimi venti anni, in modo leggero, attraverso le nostre storie.

– Anche la DCR fa parte della nostra storia…

– Ugo!

– Ok, scusate… Scherzi a parte, è incredibile come, anche dopo venti anni, quest’isola ci parli ancora e continui ad ispirarci.

– Festeggio il parto di questo raro pensiero filosofico di Ugo con una riflessione altrettanto pretenziosa: le isole sembrano l’esatto opposto di questo sconfinato cielo stellato: piccoli mondi chiusi, ti fanno pensare che tutto sia sotto il tuo controllo, o, almeno, che tu possa davvero conoscerle in ogni angolo, che non abbiano segreti… E, invece, sono esattamente come questo cielo: infinite. Perché in realtà sono solo una piccola parte dell’immenso che le circonda.


Marco Mastroleo, Latina 28/02/2021

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 12 (il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

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Approfondimenti:

- Il Semaforo di Monte La Guardia, Ponza: https://www.ponzaracconta.it/2012/02/23/il-semaforo-del-monte-guardia/

- Le Formiche, Ponza: https://www.ponzaracconta.it/2013/10/28/le-formiche-di-ponza-una-leggenda/

Ringraziamenti:

Grazie a Claudio Lucchi, collega (agronomo) e amico, col quale ho condiviso anni e anni di riflessioni sui temi dell'agricoltura sostenibile, dell'agricoltura di precisione e del ruolo dell'agricoltura nel futuro dell'umanità (oltre a innumerevoli altri argomenti da "essere o non essere"). Flavio è un po' lui...

Grazie a Giulia Santoro per il supporto ed i consigli.

da un'idea di Marco Mastroleo

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