Bassiano, la patria di Aldo Manuzio

Bassiano, si sa, è il paese natale di Aldo Manuzio, il grande e famoso editore rinascimentale.
O no? Cioè, prima che Antonio Berardini lo dimostrasse, qualcuno aveva ancora qualche dubbio al riguardo...

È per questo che questa ri edizione del libro di Bernardini, promossa da Atlantide editore è una bella storia... perché ci da uno sguardo nuovo e raffinato su un tempo e su un uomo che vale pena conoscere.

LA PATRIA DI ALDO MANUZIO IL VECCHIO

Di Dario Petti e ALberto cardosi

“... In più di un paese è stato fatto nascere Aldo il Vecchio: a Bassiano, a Sermoneta, a Bassano, a Bracciano. Chi ponga mente al tempo in cui tale varietà di nomi si è venuta svolgendo, potrà di leggieri constatare come Bassiano sia stato il paese incontrastato fino agli ultimi anni e precisamente, fino al 1875, nel qual anno Ambrogio Firmin-Didot trasse in campo Sermoneta. Di più recente data sono Bracciano e Bassano. Ma essi fortunatamente, non hanno avuto l’onore di una dotta difesa …
Antonio Bernardini"

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Questo opuscolo, La Patria di Aldo Manuzio il Vecchio, fu dato alle stampe dal professor Antonio Bernardini nel 1908 per rivendicare a Bassiano, «al nostro paesetto umile e bello», come egli scrisse, «la nascita di Aldo il Vecchio, onde tanta gloria a noi viene». Bernardini in previsione del 400° anniversario della scomparsa di Manuzio, che sarebbe ricaduto nel febbraio 1915, voleva dire una parola definitiva nel dibattito attorno al paese natale del celebre stampatore. Ci aveva già provato nel 1904 quando, allora studente diciannovenne della facoltà di Lettere dell’Università di Roma, scrisse una missiva a Il Giornale d’Italia in cui contestava ad alcuni studiosi l’erronea attribuzione dei natali di Manuzio ad altre città italiane. Riportiamo di seguito l’articolo:

Il piccolo opuscolo che riproduciamo, La Patria di Aldo Manuzio il Vecchio, quasi introvabile nelle biblioteche, mai più ristampato dal 1908, anno della sua uscita a cura della Tipografia Oreste De Andreis di Alatri, è l’occasione per celebrare non solo il 500° anniversario della scomparsa del grande stampatore, editore e umanista, Aldo Manuzio e delle sue origini bassianesi, ma anche per riscoprire la splendida figura di intellettuale e insegnante che fu Antonio Bernardini, autore del testo, anch’egli bassianese, discendente di una influente famiglia del luogo, morto prematuramente nel 1917 a soli 32 anni. 

Allontanatisi i suoi cari dal paese natale, anche il suo ricordo con il passare del tempo era completamente svanito nella comunità d’origine, dove egli tuttora riposa. 

Quando morì Bernardini, Benedetto Croce inviò una lettera alla madre, Rosa D’Erme, residente a Bassiano, manifestando tutto il suo dolore per la perdita di quello che considerava «un giovane di grande avvenire», un «eletto» e «nobile cuore». 

Chi era dunque questo giovane studioso dei Monti Lepini capace di conquistare la stima di uno dei più grandi intellettuali europei del ‘900? 

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Infine, uno sfortunato caso del destino. Alberto Cardosi, giovane e brillante studioso, che, insieme a Dario Petti, di Bernardini ha ricostruito il profilo umano e politico-culturale, come il protagonista del suo scritto è stato rapito alla vita alcuni mesi prima che questo piccolo libro fosse ultimato. Alberto era un amico raro, per la sua alta concezione dei rapporti umani, per il suo spessore morale, per la sua fantasiosa creatività anche in ambito editoriale, spesso si discuteva dei suoi affascinanti progetti, come la riedizione critica degli statuti dei partiti politici all’alba del ‘900 per osservare la parabola dei partiti di massa lungo il XX° secolo o di altri preziosi e ormai introvabili testi storici. In queste pagine dunque si dipana un curioso intreccio di storie, di amore per l’umanità, l’amicizia, la cultura, la scuola, i libri, tutto ciò proprio nella terra di Aldo Manuzio, un fatto casuale? 

Probabilmente sì, ma a noi piace pensare che in qualche modo c’entri anche lo “stampo” di Aldo.


SINOSSI

La ristampa di un piccolo opuscolo del 1908, La Patria di Aldo Manuzio il Vecchio, quasi introvabile persino nelle biblioteche, è l’occasione per celebrare non solo il 500° anniversario della scomparsa del grande stampatore, editore e umanista, Aldo Manuzio e delle sue origini bassianesi, ma anche per riscoprire la splendida figura di intellettuale e insegnante che fu Antonio Bernardini, autore del testo, anch’egli bassianese, morto prematuramente nel 1917 a soli 32 anni. Quando Bernardini morì, Benedetto Croce inviò una lettera a Bassiano, indirizzata alla madre di lui, Rosa D’Erme, manifestando tutto il suo dolore per la perdita di quello che considerava «un giovane di grande avvenire», un «eletto» e «nobile cuore».

Chi era dunque questo giovane studioso dei Monti Lepini capace di conquistare la stima di uno dei più grandi intellettuali europei del ‘900? Il profilo biografico che accompagna la riedizione di questo pamphlet cerca di dare una risposta a tale domanda.

È l’occasione inoltre per conoscere la bellissima storia che sta dietro la pubblicazione di un altro libro del Bernardini, assai più impegnativo e voluminoso, Il concetto di filologia e di cultura classica nel pensiero moderno, che riuscì a vedere la luce, per i tipi della prestigiosa Laterza, solo trent’anni dopo la scomparsa del giovane professore, attraverso due guerre mondiali e vicende rocambolesche, grazie alla tenacia, passione ed affetto di un suo ex allievo, Gaetano Righi, che mai dimenticò il suo “maestro”.

Ma non è tutto. In queste pagine si dipana un curioso intreccio di storie, amore per l’umanità, l’amicizia, la cultura, la scuola, i libri, tutto ciò proprio nella città natale di Aldo Manuzio, un fatto casuale? Probabilmente sì, ma a noi piace pensare che in qualche modo c’entri anche lo “stampo” di Aldo.


LA PATRIA DI ALDO MANUZIO IL VECCHIO di Antonio Bernardini a cura di Alberto Cardosi e Dario Petti è acquistabile nelle principali librerie di Latina e Provincia o direttamente dal sito dell'Editore, spedizione gratuita con Corriere, consegna in 3-4 giorni lavorativi.

https://www.atlantideditore.it/prodotto/la-patria-di-aldo-manuzio-il-vecchio/

Grazie a Dario Petti e ad Atlantide Editore per la disponibilità nella realizzazione di questi articoli

I dinosauri di Sezze

I Dinosauri di Sezze

Di Daniele Raponi e Marco Mastroleo

 

No, non sto parlando di personaggi con idee antiquate o professoroni che non vogliono “mollare” la cattedra! Anche quelli sono “dinosauri”, ma di genere diverso! Parliamo di Dinosauri veri… stile Jurassic Park! E non provengono da luoghi lontani tipo Cina, Argentina o America… vengono da Sezze! Anche a Sezze c’erano i Dinosauri, cento milioni di anni fa!

È una storia grandiosa e incredibilmente affascinante. 

È una storia, quella della scoperta delle impronte dei dinosauri, che ha cambiato il volto della paleontologia italiana. 

È una storia che non può far altro che farci sognare ad occhi aperti!

In un articolo pubblicato lo scorso Gennaio 2021 avevamo già “imparato” che da queste parti circolavano bestioni cretacei, grazie all’intervista a Stefano Panigutti che ci ha parlato delle impronte di Rio Martino ma, prima della scoperta di Rio Martino, un’altra scoperta ha tracciato questa via: a Sezze, in una cava, è stata scoperta una serie molto abbondante di impronte prodotta da sauropodi (bestioni erbivori dal collo lungo) e da teropodi (piccoli carnivori che assomigliavano ai moderni struzzi). 

Il tema è talmente affascinante che si è meritato un video di approfondimento, oltre a questo articolo, prodotto in collaborazione con Dario Valeri, alla parte tecnica, ed a Daniele Raponi, un geologo esperto della materia e grande conoscitore di questa scoperta.

Proprio a Daniele lascio la parola per approfondire l’argomento con i giusti termini, come solo un geologo sa fare!

M.M.


Le impronte di Sezze, un tesoro per la scienza

La scoperta delle numerose impronte (circa 200) di sauropodi (dinosauri esclusivamente vegetariani quadrupedi) e teropodi (dinosauri carnivori bipedi) nel comune di Sezze è stata (ed è) di grande rilevanza scientifica, poiché si è inserita all’interno di un dibattito tutto interno al mondo accademico che, negli ultimi anni, ha coinvolto numerosi paleontologi e geologi.
Infatti, la scoperta di queste tracce fossili, avvenuta nel luglio del 2003 ad opera dei geologi Raponi, Morgante e Dalla Vecchia, che si somma a quelle di impronte e resti scheletrici di dinosauri nell’Italia centro-meridionale (Rio Martino/Terracina, Rocca di Cave, Esperia, Rocca di Mezzo, Pietraroja, Altamura, Gargano), è fondamentale per ricostruire l’ambiente nel quale questi dinosauri vivevano circa 95 milioni di anni fa, nel mezzo dell’era Mesozoica e, più segnatamente, nel Cenomaniano, ovvero, la parte basale del Cretacico superiore. 

Le impronte di Sezze si sono impresse, ovvero fossilizzate, su un fango carbonatico da cui poi si sono originate le attuali rocce calcaree/dolomitiche che costituiscono la struttura dei nostri Monti Lepini. Queste rocce indicano che nel momento in cui i dinosauri vivevano, durante il Cretaceo, nell’area che attualmente ospita i Monti Lepini, essi erano ben adattati in un’area che i geologi oggi definiscono di piattaforma carbonatica. Si tratta di un ambiente molto particolare formato da un’ampia distesa di acque poco profonde (10-20 cm), il cui fondale è costituito da sedimenti generati dalla deposizione, dopo la morte, di piccole alghe, molluschi e di altri organismi che per lo più vivevano sul fondale, essenzialmente con guscio esterno formato da carbonato di calcio. Attualmente un ambiente molto simile a quello delle cosiddette piattaforme carbonatiche si ritrova nelle isole Bahamas. 

In questo ambiente, i dinosauri, pur essendo animali prevalentemente terrestri, potevano tranquillamente spostarsi e lasciare impronte grazie al fondale poco profondo, oppure le loro orme venivano impresse su un suolo fangoso che periodicamente veniva ricoperto dalle acque, o al contrario, era esposto in ambiente subaereo ma soggetto a continue oscillazioni del livello delle acque. Un ambiente, tra l’altro, caratterizzato da depositi tipo “tempestiti”, il che testimonia la vicinanza relativa ad una linea di costa, cioè soggetto continuamente ad eventi deposizionali di una certa energia. Inoltre, nel sito di Sezze, il ritrovamento di dinosauri teropodi, predatori carnivori, e di sauropodi erbivori, le loro prede, implica un sistema ambientale molto complesso nel quale era necessaria la presenza di numerosi animali erbivori per soddisfare i bisogni alimentari dei predatori. L’analisi e lo studio delle impronte conservate nel sito paleontologico di Sezze ha fatto emergere dati particolarmente interessanti. 

Il Sauropode di Sezze (una pista integra con diverse coppie mano-piede) sembrerebbe appartenere al Gruppo dei Titanosauridi e, nello specifico, si tratterebbe di Titanosauri “nani”, ovvero, caratterizzati da nanismo insulare, il che dimostrerebbe la presenza di questi animali in aree separate da una zona continentale per un tempo molto prolungato. Il recente rinvenimento di alcuni resti scheletrici di “Tito” nei pressi di Rocca di cave (Roma), un sauropode titanosauriano “nano”, confermerebbe tale ipotesi. Per quanto riguarda, invece, i Teropodi gli studi delle impronte isolate e di alcune piste (orme tridattile e tetradattile) hanno consentito di correlare questi dinosauri bipedi a Ornithomimosauria o Oviraptosauria. 

È da sottolineare, inoltre, che visto il grande volume di piante necessario per nutrire gli erbivori, alcuni paleontologi hanno ipotizzato la presenza di un ambiente continentale emerso dalle acque e con vegetazione rigogliosa, molto vicino alla piattaforma carbonatica (Nicosia et al., 2007). In tal modo i dinosauri potevano vivere in un ambiente a loro favorevole e spostarsi in aree caratterizzate da acque basse e vicine alla terraferma. 

In questo contesto, le impronte di Sezze hanno rafforzato l’ipotesi sulla presenza di un’area continentale emersa nelle vicinanze. Determinare la sussistenza o meno di un continente emerso è molto importante, anzi è fondamentale, per ricostruire l’evoluzione geologica e geodinamica dell’area mediterranea durante il Cretaceo. Infatti, nel mondo scientifico, si contrappongono due ipotesi riguardo l’evoluzione geodinamica di quest’area. Circa 100 milioni di anni fa le rocce carbonatiche si depositavano al di sopra della placca Adriatica (l’attuale penisola italiana), interpretata come un prolungamento verso nord della più grande placca africana posta a sud. Lo studio di Nicosia et al. (2007), dimostra che i dinosauri che hanno lasciato le impronte nel sito di Sezze hanno una chiara origine “africana”. Ciò implica che dinosauri “africani” si sono spostati durante il Cretaceo dalla placca africana verso nord, raggiungendo la placca Adriatica e la piattaforma carbonatica, attraverso un collegamento permanente costituito da un continente emerso o comunque da collegamenti terrestri. 

Tuttavia, queste conclusioni sono in contrasto con quanto affermato da altri autori (es. Dercourt et al., 2000; Catalano et al., 2001; Passeri et al., 2005) che invece propongono la presenza, durante il Cretaceo, di un tratto di oceano con fondali molto profondi (2000-3000 metri) posto tra la placca africana e quella Adriatica. 

Un oceano così profondo sarebbe stato invalicabile da dinosauri terrestri non in grado, con molta probabilità, di nuotare e quindi di spostarsi lungo bracci di mare più o meno ampi. In questo panorama, le impronte di Sezze sostengono la prima ipotesi scientifica. 

Tuttavia, è ancora necessario studiare, approfondire, fare ricerca sul campo, e soprattutto tutelare le testimonianze geologiche e paleontologiche del territorio dei monti Lepini. 

Un’istantanea unica, una ricchezza scientifica enorme, una traccia fondamentale per capire l’evoluzione dell’area mediterranea e quindi contribuire a “ricostruire” la storia del nostro Pianeta.

D.R.

 


Bibliogarfia

  • Catalano, R., Doglioni, C., & Merlini, S. (2001). On the Mesozoic Ionian Basin. Geophysical Journal International, 144, 49–64.
  • Dercourt, J., Gaetani, M., Vrielynck, B., Barriere, E., Biju-Duval, B., Brunet, M.F., Cadet, J.P., Crasquin, S., & Sandulescu, M. (2000). Atlas Peri-Tethys, Palaeogeographical Maps. CCGM/CGMW, 269 p., 24 maps.
  • Nicosia, U., Petti, F.M., Perugini, G., Porchetti, S., Sacchi, E., Conti, M.A., Mariotti, N., & Zarattini, A. (2007). Dinosaur Tracks as Paleogeographic Constraints: New Scenarios for the Cretaceous Geography of the Periadriatic Region. Ichnos, 14, 69-90.
  • Passeri, L., Bertinelli, A., & Ciarapica, G. (2005). Paleogeographic meaning of the Late Triassic-Early Jurassic Lagonegro units. Bollettino della Società Geologica Italiana, 124, 231–245.

da un'idea di Marco Mastroleo

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