• Home
  • Pianura Pontina

Era mio nonno

Storie di uomini che danno voce alla storia, dal punto di vista dei "piccoli", di quei nomi che non si trovano sui libri ufficiali. Anche per questo è bello esplorare i paesi come Bassiano, perché, a ben sentire, anche un semplice quadro su una parete può raccontare una bellissima storia. 

Ecco quella di Masimo Porcelli e della sua Famiglia.
Grazie Massimo 


Era mio nonno

Di Massimo Porcelli

Quanti di voi ne avevano uno in casa? E’ un’usanza che è appartenuta a tre-quattro generazioni che ci hanno preceduto e che andrà probabilmente scomparendo, soppiantata da altre forme che le tecnologie rendono oggi disponibili …

Quella di esporre su una parete, possibilmente la più “importante” di casa, un fotoritratto di grande formato, naturalmente in bianco e nero o, tutt’al più, acquarellato a colori, raffigurante un proprio avo, i propri nonni nel giorno del matrimonio … chi in posa austera, chi con lo sguardo serio, consapevole dell’immortalità di quell’attimo racchiuso nello scatto.

Nella casa dei miei genitori, quella che, per così dire, ho “frequentato” fin dalla mia nascita, c’era, appunto, un grande fotoritratto, incorniciato in una massiccia cornice scura, incombente sulla sala da pranzo. Si … proprio incombente, perché con le alte pareti, il soffitto a 3 metri e trenta, il “quadro” era stato affisso al chiodo con un sistema che gli faceva assumere un’inclinazione di 10 gradi, così che l’immagine nel ritratto avesse proprio il suo sguardo rivolto verso chi si fosse trovato nella stanza.

L’immagine, il fotoritratto, era quella di mio nonno Antonio Porcelli, ripreso a mezzobusto, in uniforme militare, Soldato della Grande Guerra.

Porcelli

Lui era lì, è sempre stato lì … mentre io crescevo, era presente in tutte le occasioni in cui quella sala è stata frequentata da qualcuno della famiglia, per una pranzo speciale, il festeggiamento di un compleanno, l’incontro con qualcuno che veniva a trovarci … una discussione … lui era lì, una presenza silenziosa, discreta.

Tanto discreta che io, di mio nonno Antonio, sapevo poco o niente.

Quel fotoritratto era una delle poche cose che mio padre Armando custodiva del padre, di Antonio, scomparso, anzi, per l’esattezza “dichiarato disperso”, il 27 ottobre 1917, per fatto di guerra, lasciandolo, suo malgrado, orfano di guerra a 3 anni.

Mio padre ha patito per i successivi 97 anni la mancanza del padre, di cui tuttavia poteva avere forse, sottolineo forse, un ricordo sbiadito ma il vuoto, quello sì, era presente!

Dicevo … di mio nonno Antonio sapevo poco o niente. Certo, il ritratto è stato sempre lì, non poteva sfuggire, anche ad uno sguardo distratto, ma la curiosità di saperne di più, un po’ di più di quei scarni accenni che saltuariamente faceva mio padre, di Lui disperso nel 1917 ed io nato nel 1957, quarant’anni dopo, confesso … non m’è mai venuta!

Fin quando, sistemando delle cartelle custodite da mio padre Armando, ho rinvenuto una serie di lettere fittamente scritte con una calligrafia ordinata ed elegante che si potrebbe stentare a credere siano state scritte, tra il 1916 e il 1917, da colui che, nei documenti ufficiali, alla voce “professione” era indicato: pastore.

Ebbene sì, mio nonno Antonio si qualificava “pastore”, perché nel novero delle professioni dell’epoca era quella che più corrispondeva al suo impiego: custodire, accudire, il bestiame di cui lui, con gli altri familiari, era proprietario. La famiglia accudiva, infatti, ad una decina di bovini e ad almeno cinquanta suini (dati desunti dal censimento effettuato nel 1914 per determinare l’ammontare delle tasse da corrispondere all’Università Agraria, Ente creato per la gestione dei territori in uso civico alla Comunità di Bassiano) con i quali provvedeva, insieme alle terre in affitto nelle lestre di San Donato, al sostentamento economico.

Qui, ora, mi si potrebbe obiettare: ma come fai a dire queste cose su tuo nonno se poco prima hai detto che ne sapevi poco o nulla?

Infatti … quel poco o nulla, piano piano è stato colmato dalle ricerche, e dalle scoperte, che la curiosità suscitata dalla lettura delle lettere ha innescato.

E’ stata una scoperta sapere che circa 80 famiglie di Bassiano - e tra queste quella di mio nonno Antonio - trascorrevano buona parte dell’anno, da ottobre a maggio, nelle lestre nei territori del Quarto di San Donato, parte della Selva di Terracina, concessi in uso civico dalla Famiglia Caetani alla Comunità di Bassiano.

 

E ancora, è stata una scoperta apprendere che è mio nonno, il pastore Antonio, di sentimenti politici socialisti, che nel 1913, appreso delle aperture, nei territori vicini, di alcune scuole rurali ad opera dell’Ente Scuole per i Contadini dell’Agro Romano e le Paludi Pontine - consapevole dell’importanza di elevare il livello culturale degli adulti e di assicurare l’istruzione per i giovani che vivono con le famiglie in palude, promuove la costruzione, insieme ad alcuni altri capifamiglia - della capanna-scuola che consentirà l’istituzione dei corsi feriali diurni e serali, frequentati rispettivamente dai bambini e dagli uomini, e quello festivo per le donne, svolti dai coniugi Nicola e Lina Barbieri, originari di Barletta.Capanna Scuola

Ma l’impulso a migliorare le condizioni di vita della propria Comunità deve costituire una costante del proprio agire. Ed è così che nel 1914 promuove l’iniziativa per la costruzione di un ponte in legno necessario per consentire l’attraversamento in sicurezza del fiume Sisto, che si frappone da ostacolo nei frequenti spostamenti che vengono effettuati tra il paese di Bassiano e le lestre nei territori del Quarto di San Donato, evitando così che si effettui il guado rischiando il ripetersi di “… vittime umane …” per non parlare del “… bestiame asportato dall’impeto delle acque …” o dovendo ricorrere, sia da parte dei viandanti che degli animali che sono al seguito nelle transumanze, alla chiatta gestita da un privato, al quale si deve pagare il pedaggio.Chiatta Sandalo

Con l’istanza diretta all’Università Agraria di Bassiano si chiede quindi l’autorizzazione al taglio del legname necessario alla costruzione del ponte o, in alternativa, si propone che sia lo stesso Ente a farsi carico della realizzazione. La domanda ha, come primo firmatario, l’avvocato Giulio Bernardini, che nel 1920 diverrà il primo sindaco socialista di Bassiano, al quale segue la firma di “Porcelli Antonio di Venanzio” e di ulteriori 39 capifamiglia.

La pratica viene inizialmente accolta dall’Università Agraria ma l’iter amministrativo, non perfettamente definito, incorre nei rilievi del Sottoprefetto di Velletri che ne determina il rigetto.

Saranno quindi gli stessi promotori dell’iniziativa a costruire il ponte sul finire del 1914 “a proprie spese dei pastori dimoranti a S. Donato e di qualche volenteroso Cittadino residente a Bassiano”, scavalcando il Fiume Sisto e mettendo “in comunicazione lo stradone della fossa Migliaria 45 tenuta Foro Appio e il Quarto San Donato tenimento della Università Agraria”.  

E arrivo ora alle lettere rinvenute, una dozzina, solo una piccola parte, ma estremamente significativa, di quel drammatico periodo, che tracciano la figura di un uomo, un marito, un padre, un soldato che affronta l’immane tragedia della Grande Guerra, con la sua umanità ed il suo profondo senso del dovere, testimoniato anche laddove scrive:

Faccio quanto posso il mio dovere più specialmente per i miei fratelli, i quali li tengo scolpiti nella mente, notte e giorno”.

Sono le lettere che mi hanno indotto a svolgere quelle ricerche che, come detto all’inizio, non avevo mai prima avuto curiosità di avviare, portandomi infine a dare alle stampe il libro il cui titolo me lo fornisce proprio mio nonno, con l’inizio con il quale si rivolge alla moglie: “Mia Indimenticabile Consorte”.

V’invito a soffermarvi a riflettere per qualche istante su questa frase, su ogni singola parola che la compone e sul profondo senso che ognuna di esse contiene: “Mia” … “Indimenticabile” … “Consorte”

Antonio non ha mai fatto ritorno dalla Grande Guerra: dichiarato disperso, quindi da presumersi morto, il 27 ottobre 1917 al termine dei combattimenti avvenuti su Dosso Faiti, territorio che da tempo non è più nei confini d’Italia.

Il libro ha per sottotitolo “La Grande Guerra dei Bassianesi”, perché le ricerche si sono poi ampliate all’intera Comunità del paese, alle vicende che costituirono tanti tasselli, tante storie, di una medesima Storia, che mi ha consentito di conoscere - sì, penso di poterlo dire ora - un po’ di più, un po’ meglio, chi era mio nonno Antonio.

Era un Uomo! Era mio Nonno!


 

Il libro è acquistabile presso le principali librerie di Latina, Latina Scalo e Sabaudia oppure visitando la pagina Facebook dell'autore ed ordinandolo direttamente a lui. Massimo Porcelli sarà felice di farvi pervenire una copia con dedica

https://www.facebook.com/MiaIndimenticabileConsorte/

I dinosauri di Sezze

I Dinosauri di Sezze

Di Daniele Raponi e Marco Mastroleo

 

No, non sto parlando di personaggi con idee antiquate o professoroni che non vogliono “mollare” la cattedra! Anche quelli sono “dinosauri”, ma di genere diverso! Parliamo di Dinosauri veri… stile Jurassic Park! E non provengono da luoghi lontani tipo Cina, Argentina o America… vengono da Sezze! Anche a Sezze c’erano i Dinosauri, cento milioni di anni fa!

È una storia grandiosa e incredibilmente affascinante. 

È una storia, quella della scoperta delle impronte dei dinosauri, che ha cambiato il volto della paleontologia italiana. 

È una storia che non può far altro che farci sognare ad occhi aperti!

In un articolo pubblicato lo scorso Gennaio 2021 avevamo già “imparato” che da queste parti circolavano bestioni cretacei, grazie all’intervista a Stefano Panigutti che ci ha parlato delle impronte di Rio Martino ma, prima della scoperta di Rio Martino, un’altra scoperta ha tracciato questa via: a Sezze, in una cava, è stata scoperta una serie molto abbondante di impronte prodotta da sauropodi (bestioni erbivori dal collo lungo) e da teropodi (piccoli carnivori che assomigliavano ai moderni struzzi). 

Il tema è talmente affascinante che si è meritato un video di approfondimento, oltre a questo articolo, prodotto in collaborazione con Dario Valeri, alla parte tecnica, ed a Daniele Raponi, un geologo esperto della materia e grande conoscitore di questa scoperta.

Proprio a Daniele lascio la parola per approfondire l’argomento con i giusti termini, come solo un geologo sa fare!

M.M.


Le impronte di Sezze, un tesoro per la scienza

La scoperta delle numerose impronte (circa 200) di sauropodi (dinosauri esclusivamente vegetariani quadrupedi) e teropodi (dinosauri carnivori bipedi) nel comune di Sezze è stata (ed è) di grande rilevanza scientifica, poiché si è inserita all’interno di un dibattito tutto interno al mondo accademico che, negli ultimi anni, ha coinvolto numerosi paleontologi e geologi.
Infatti, la scoperta di queste tracce fossili, avvenuta nel luglio del 2003 ad opera dei geologi Raponi, Morgante e Dalla Vecchia, che si somma a quelle di impronte e resti scheletrici di dinosauri nell’Italia centro-meridionale (Rio Martino/Terracina, Rocca di Cave, Esperia, Rocca di Mezzo, Pietraroja, Altamura, Gargano), è fondamentale per ricostruire l’ambiente nel quale questi dinosauri vivevano circa 95 milioni di anni fa, nel mezzo dell’era Mesozoica e, più segnatamente, nel Cenomaniano, ovvero, la parte basale del Cretacico superiore. 

Le impronte di Sezze si sono impresse, ovvero fossilizzate, su un fango carbonatico da cui poi si sono originate le attuali rocce calcaree/dolomitiche che costituiscono la struttura dei nostri Monti Lepini. Queste rocce indicano che nel momento in cui i dinosauri vivevano, durante il Cretaceo, nell’area che attualmente ospita i Monti Lepini, essi erano ben adattati in un’area che i geologi oggi definiscono di piattaforma carbonatica. Si tratta di un ambiente molto particolare formato da un’ampia distesa di acque poco profonde (10-20 cm), il cui fondale è costituito da sedimenti generati dalla deposizione, dopo la morte, di piccole alghe, molluschi e di altri organismi che per lo più vivevano sul fondale, essenzialmente con guscio esterno formato da carbonato di calcio. Attualmente un ambiente molto simile a quello delle cosiddette piattaforme carbonatiche si ritrova nelle isole Bahamas. 

In questo ambiente, i dinosauri, pur essendo animali prevalentemente terrestri, potevano tranquillamente spostarsi e lasciare impronte grazie al fondale poco profondo, oppure le loro orme venivano impresse su un suolo fangoso che periodicamente veniva ricoperto dalle acque, o al contrario, era esposto in ambiente subaereo ma soggetto a continue oscillazioni del livello delle acque. Un ambiente, tra l’altro, caratterizzato da depositi tipo “tempestiti”, il che testimonia la vicinanza relativa ad una linea di costa, cioè soggetto continuamente ad eventi deposizionali di una certa energia. Inoltre, nel sito di Sezze, il ritrovamento di dinosauri teropodi, predatori carnivori, e di sauropodi erbivori, le loro prede, implica un sistema ambientale molto complesso nel quale era necessaria la presenza di numerosi animali erbivori per soddisfare i bisogni alimentari dei predatori. L’analisi e lo studio delle impronte conservate nel sito paleontologico di Sezze ha fatto emergere dati particolarmente interessanti. 

Il Sauropode di Sezze (una pista integra con diverse coppie mano-piede) sembrerebbe appartenere al Gruppo dei Titanosauridi e, nello specifico, si tratterebbe di Titanosauri “nani”, ovvero, caratterizzati da nanismo insulare, il che dimostrerebbe la presenza di questi animali in aree separate da una zona continentale per un tempo molto prolungato. Il recente rinvenimento di alcuni resti scheletrici di “Tito” nei pressi di Rocca di cave (Roma), un sauropode titanosauriano “nano”, confermerebbe tale ipotesi. Per quanto riguarda, invece, i Teropodi gli studi delle impronte isolate e di alcune piste (orme tridattile e tetradattile) hanno consentito di correlare questi dinosauri bipedi a Ornithomimosauria o Oviraptosauria. 

È da sottolineare, inoltre, che visto il grande volume di piante necessario per nutrire gli erbivori, alcuni paleontologi hanno ipotizzato la presenza di un ambiente continentale emerso dalle acque e con vegetazione rigogliosa, molto vicino alla piattaforma carbonatica (Nicosia et al., 2007). In tal modo i dinosauri potevano vivere in un ambiente a loro favorevole e spostarsi in aree caratterizzate da acque basse e vicine alla terraferma. 

In questo contesto, le impronte di Sezze hanno rafforzato l’ipotesi sulla presenza di un’area continentale emersa nelle vicinanze. Determinare la sussistenza o meno di un continente emerso è molto importante, anzi è fondamentale, per ricostruire l’evoluzione geologica e geodinamica dell’area mediterranea durante il Cretaceo. Infatti, nel mondo scientifico, si contrappongono due ipotesi riguardo l’evoluzione geodinamica di quest’area. Circa 100 milioni di anni fa le rocce carbonatiche si depositavano al di sopra della placca Adriatica (l’attuale penisola italiana), interpretata come un prolungamento verso nord della più grande placca africana posta a sud. Lo studio di Nicosia et al. (2007), dimostra che i dinosauri che hanno lasciato le impronte nel sito di Sezze hanno una chiara origine “africana”. Ciò implica che dinosauri “africani” si sono spostati durante il Cretaceo dalla placca africana verso nord, raggiungendo la placca Adriatica e la piattaforma carbonatica, attraverso un collegamento permanente costituito da un continente emerso o comunque da collegamenti terrestri. 

Tuttavia, queste conclusioni sono in contrasto con quanto affermato da altri autori (es. Dercourt et al., 2000; Catalano et al., 2001; Passeri et al., 2005) che invece propongono la presenza, durante il Cretaceo, di un tratto di oceano con fondali molto profondi (2000-3000 metri) posto tra la placca africana e quella Adriatica. 

Un oceano così profondo sarebbe stato invalicabile da dinosauri terrestri non in grado, con molta probabilità, di nuotare e quindi di spostarsi lungo bracci di mare più o meno ampi. In questo panorama, le impronte di Sezze sostengono la prima ipotesi scientifica. 

Tuttavia, è ancora necessario studiare, approfondire, fare ricerca sul campo, e soprattutto tutelare le testimonianze geologiche e paleontologiche del territorio dei monti Lepini. 

Un’istantanea unica, una ricchezza scientifica enorme, una traccia fondamentale per capire l’evoluzione dell’area mediterranea e quindi contribuire a “ricostruire” la storia del nostro Pianeta.

D.R.

 


Bibliogarfia

  • Catalano, R., Doglioni, C., & Merlini, S. (2001). On the Mesozoic Ionian Basin. Geophysical Journal International, 144, 49–64.
  • Dercourt, J., Gaetani, M., Vrielynck, B., Barriere, E., Biju-Duval, B., Brunet, M.F., Cadet, J.P., Crasquin, S., & Sandulescu, M. (2000). Atlas Peri-Tethys, Palaeogeographical Maps. CCGM/CGMW, 269 p., 24 maps.
  • Nicosia, U., Petti, F.M., Perugini, G., Porchetti, S., Sacchi, E., Conti, M.A., Mariotti, N., & Zarattini, A. (2007). Dinosaur Tracks as Paleogeographic Constraints: New Scenarios for the Cretaceous Geography of the Periadriatic Region. Ichnos, 14, 69-90.
  • Passeri, L., Bertinelli, A., & Ciarapica, G. (2005). Paleogeographic meaning of the Late Triassic-Early Jurassic Lagonegro units. Bollettino della Società Geologica Italiana, 124, 231–245.

da un'idea di Marco Mastroleo

per maggiori informazioni, contattaci su Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Questo sito utilizza cookies di raccolta dati, utilizzando i servizi si acconsente all'utilizzo delle tecnologie descritte nella Politica sui cookie per la raccolta di Dati personali e Dati non personali e la memorizzazione di informazioni sul vostro dispositivo o browser Web secondo le modalità descritte nella pagina dedicata.