Bassiano, la patria di Aldo Manuzio

Bassiano, si sa, è il paese natale di Aldo Manuzio, il grande e famoso editore rinascimentale.
O no? Cioè, prima che Antonio Berardini lo dimostrasse, qualcuno aveva ancora qualche dubbio al riguardo...

È per questo che questa ri edizione del libro di Bernardini, promossa da Atlantide editore è una bella storia... perché ci da uno sguardo nuovo e raffinato su un tempo e su un uomo che vale pena conoscere.

LA PATRIA DI ALDO MANUZIO IL VECCHIO

Di Dario Petti e ALberto cardosi

“... In più di un paese è stato fatto nascere Aldo il Vecchio: a Bassiano, a Sermoneta, a Bassano, a Bracciano. Chi ponga mente al tempo in cui tale varietà di nomi si è venuta svolgendo, potrà di leggieri constatare come Bassiano sia stato il paese incontrastato fino agli ultimi anni e precisamente, fino al 1875, nel qual anno Ambrogio Firmin-Didot trasse in campo Sermoneta. Di più recente data sono Bracciano e Bassano. Ma essi fortunatamente, non hanno avuto l’onore di una dotta difesa …
Antonio Bernardini"

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Questo opuscolo, La Patria di Aldo Manuzio il Vecchio, fu dato alle stampe dal professor Antonio Bernardini nel 1908 per rivendicare a Bassiano, «al nostro paesetto umile e bello», come egli scrisse, «la nascita di Aldo il Vecchio, onde tanta gloria a noi viene». Bernardini in previsione del 400° anniversario della scomparsa di Manuzio, che sarebbe ricaduto nel febbraio 1915, voleva dire una parola definitiva nel dibattito attorno al paese natale del celebre stampatore. Ci aveva già provato nel 1904 quando, allora studente diciannovenne della facoltà di Lettere dell’Università di Roma, scrisse una missiva a Il Giornale d’Italia in cui contestava ad alcuni studiosi l’erronea attribuzione dei natali di Manuzio ad altre città italiane. Riportiamo di seguito l’articolo:

Il piccolo opuscolo che riproduciamo, La Patria di Aldo Manuzio il Vecchio, quasi introvabile nelle biblioteche, mai più ristampato dal 1908, anno della sua uscita a cura della Tipografia Oreste De Andreis di Alatri, è l’occasione per celebrare non solo il 500° anniversario della scomparsa del grande stampatore, editore e umanista, Aldo Manuzio e delle sue origini bassianesi, ma anche per riscoprire la splendida figura di intellettuale e insegnante che fu Antonio Bernardini, autore del testo, anch’egli bassianese, discendente di una influente famiglia del luogo, morto prematuramente nel 1917 a soli 32 anni. 

Allontanatisi i suoi cari dal paese natale, anche il suo ricordo con il passare del tempo era completamente svanito nella comunità d’origine, dove egli tuttora riposa. 

Quando morì Bernardini, Benedetto Croce inviò una lettera alla madre, Rosa D’Erme, residente a Bassiano, manifestando tutto il suo dolore per la perdita di quello che considerava «un giovane di grande avvenire», un «eletto» e «nobile cuore». 

Chi era dunque questo giovane studioso dei Monti Lepini capace di conquistare la stima di uno dei più grandi intellettuali europei del ‘900? 

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Infine, uno sfortunato caso del destino. Alberto Cardosi, giovane e brillante studioso, che, insieme a Dario Petti, di Bernardini ha ricostruito il profilo umano e politico-culturale, come il protagonista del suo scritto è stato rapito alla vita alcuni mesi prima che questo piccolo libro fosse ultimato. Alberto era un amico raro, per la sua alta concezione dei rapporti umani, per il suo spessore morale, per la sua fantasiosa creatività anche in ambito editoriale, spesso si discuteva dei suoi affascinanti progetti, come la riedizione critica degli statuti dei partiti politici all’alba del ‘900 per osservare la parabola dei partiti di massa lungo il XX° secolo o di altri preziosi e ormai introvabili testi storici. In queste pagine dunque si dipana un curioso intreccio di storie, di amore per l’umanità, l’amicizia, la cultura, la scuola, i libri, tutto ciò proprio nella terra di Aldo Manuzio, un fatto casuale? 

Probabilmente sì, ma a noi piace pensare che in qualche modo c’entri anche lo “stampo” di Aldo.


SINOSSI

La ristampa di un piccolo opuscolo del 1908, La Patria di Aldo Manuzio il Vecchio, quasi introvabile persino nelle biblioteche, è l’occasione per celebrare non solo il 500° anniversario della scomparsa del grande stampatore, editore e umanista, Aldo Manuzio e delle sue origini bassianesi, ma anche per riscoprire la splendida figura di intellettuale e insegnante che fu Antonio Bernardini, autore del testo, anch’egli bassianese, morto prematuramente nel 1917 a soli 32 anni. Quando Bernardini morì, Benedetto Croce inviò una lettera a Bassiano, indirizzata alla madre di lui, Rosa D’Erme, manifestando tutto il suo dolore per la perdita di quello che considerava «un giovane di grande avvenire», un «eletto» e «nobile cuore».

Chi era dunque questo giovane studioso dei Monti Lepini capace di conquistare la stima di uno dei più grandi intellettuali europei del ‘900? Il profilo biografico che accompagna la riedizione di questo pamphlet cerca di dare una risposta a tale domanda.

È l’occasione inoltre per conoscere la bellissima storia che sta dietro la pubblicazione di un altro libro del Bernardini, assai più impegnativo e voluminoso, Il concetto di filologia e di cultura classica nel pensiero moderno, che riuscì a vedere la luce, per i tipi della prestigiosa Laterza, solo trent’anni dopo la scomparsa del giovane professore, attraverso due guerre mondiali e vicende rocambolesche, grazie alla tenacia, passione ed affetto di un suo ex allievo, Gaetano Righi, che mai dimenticò il suo “maestro”.

Ma non è tutto. In queste pagine si dipana un curioso intreccio di storie, amore per l’umanità, l’amicizia, la cultura, la scuola, i libri, tutto ciò proprio nella città natale di Aldo Manuzio, un fatto casuale? Probabilmente sì, ma a noi piace pensare che in qualche modo c’entri anche lo “stampo” di Aldo.


LA PATRIA DI ALDO MANUZIO IL VECCHIO di Antonio Bernardini a cura di Alberto Cardosi e Dario Petti è acquistabile nelle principali librerie di Latina e Provincia o direttamente dal sito dell'Editore, spedizione gratuita con Corriere, consegna in 3-4 giorni lavorativi.

https://www.atlantideditore.it/prodotto/la-patria-di-aldo-manuzio-il-vecchio/

Grazie a Dario Petti e ad Atlantide Editore per la disponibilità nella realizzazione di questi articoli

Era mio nonno

Storie di uomini che danno voce alla storia, dal punto di vista dei "piccoli", di quei nomi che non si trovano sui libri ufficiali. Anche per questo è bello esplorare i paesi come Bassiano, perché, a ben sentire, anche un semplice quadro su una parete può raccontare una bellissima storia. 

Ecco quella di Masimo Porcelli e della sua Famiglia.
Grazie Massimo 


Era mio nonno

Di Massimo Porcelli

Quanti di voi ne avevano uno in casa? E’ un’usanza che è appartenuta a tre-quattro generazioni che ci hanno preceduto e che andrà probabilmente scomparendo, soppiantata da altre forme che le tecnologie rendono oggi disponibili …

Quella di esporre su una parete, possibilmente la più “importante” di casa, un fotoritratto di grande formato, naturalmente in bianco e nero o, tutt’al più, acquarellato a colori, raffigurante un proprio avo, i propri nonni nel giorno del matrimonio … chi in posa austera, chi con lo sguardo serio, consapevole dell’immortalità di quell’attimo racchiuso nello scatto.

Nella casa dei miei genitori, quella che, per così dire, ho “frequentato” fin dalla mia nascita, c’era, appunto, un grande fotoritratto, incorniciato in una massiccia cornice scura, incombente sulla sala da pranzo. Si … proprio incombente, perché con le alte pareti, il soffitto a 3 metri e trenta, il “quadro” era stato affisso al chiodo con un sistema che gli faceva assumere un’inclinazione di 10 gradi, così che l’immagine nel ritratto avesse proprio il suo sguardo rivolto verso chi si fosse trovato nella stanza.

L’immagine, il fotoritratto, era quella di mio nonno Antonio Porcelli, ripreso a mezzobusto, in uniforme militare, Soldato della Grande Guerra.

Porcelli

Lui era lì, è sempre stato lì … mentre io crescevo, era presente in tutte le occasioni in cui quella sala è stata frequentata da qualcuno della famiglia, per una pranzo speciale, il festeggiamento di un compleanno, l’incontro con qualcuno che veniva a trovarci … una discussione … lui era lì, una presenza silenziosa, discreta.

Tanto discreta che io, di mio nonno Antonio, sapevo poco o niente.

Quel fotoritratto era una delle poche cose che mio padre Armando custodiva del padre, di Antonio, scomparso, anzi, per l’esattezza “dichiarato disperso”, il 27 ottobre 1917, per fatto di guerra, lasciandolo, suo malgrado, orfano di guerra a 3 anni.

Mio padre ha patito per i successivi 97 anni la mancanza del padre, di cui tuttavia poteva avere forse, sottolineo forse, un ricordo sbiadito ma il vuoto, quello sì, era presente!

Dicevo … di mio nonno Antonio sapevo poco o niente. Certo, il ritratto è stato sempre lì, non poteva sfuggire, anche ad uno sguardo distratto, ma la curiosità di saperne di più, un po’ di più di quei scarni accenni che saltuariamente faceva mio padre, di Lui disperso nel 1917 ed io nato nel 1957, quarant’anni dopo, confesso … non m’è mai venuta!

Fin quando, sistemando delle cartelle custodite da mio padre Armando, ho rinvenuto una serie di lettere fittamente scritte con una calligrafia ordinata ed elegante che si potrebbe stentare a credere siano state scritte, tra il 1916 e il 1917, da colui che, nei documenti ufficiali, alla voce “professione” era indicato: pastore.

Ebbene sì, mio nonno Antonio si qualificava “pastore”, perché nel novero delle professioni dell’epoca era quella che più corrispondeva al suo impiego: custodire, accudire, il bestiame di cui lui, con gli altri familiari, era proprietario. La famiglia accudiva, infatti, ad una decina di bovini e ad almeno cinquanta suini (dati desunti dal censimento effettuato nel 1914 per determinare l’ammontare delle tasse da corrispondere all’Università Agraria, Ente creato per la gestione dei territori in uso civico alla Comunità di Bassiano) con i quali provvedeva, insieme alle terre in affitto nelle lestre di San Donato, al sostentamento economico.

Qui, ora, mi si potrebbe obiettare: ma come fai a dire queste cose su tuo nonno se poco prima hai detto che ne sapevi poco o nulla?

Infatti … quel poco o nulla, piano piano è stato colmato dalle ricerche, e dalle scoperte, che la curiosità suscitata dalla lettura delle lettere ha innescato.

E’ stata una scoperta sapere che circa 80 famiglie di Bassiano - e tra queste quella di mio nonno Antonio - trascorrevano buona parte dell’anno, da ottobre a maggio, nelle lestre nei territori del Quarto di San Donato, parte della Selva di Terracina, concessi in uso civico dalla Famiglia Caetani alla Comunità di Bassiano.

 

E ancora, è stata una scoperta apprendere che è mio nonno, il pastore Antonio, di sentimenti politici socialisti, che nel 1913, appreso delle aperture, nei territori vicini, di alcune scuole rurali ad opera dell’Ente Scuole per i Contadini dell’Agro Romano e le Paludi Pontine - consapevole dell’importanza di elevare il livello culturale degli adulti e di assicurare l’istruzione per i giovani che vivono con le famiglie in palude, promuove la costruzione, insieme ad alcuni altri capifamiglia - della capanna-scuola che consentirà l’istituzione dei corsi feriali diurni e serali, frequentati rispettivamente dai bambini e dagli uomini, e quello festivo per le donne, svolti dai coniugi Nicola e Lina Barbieri, originari di Barletta.Capanna Scuola

Ma l’impulso a migliorare le condizioni di vita della propria Comunità deve costituire una costante del proprio agire. Ed è così che nel 1914 promuove l’iniziativa per la costruzione di un ponte in legno necessario per consentire l’attraversamento in sicurezza del fiume Sisto, che si frappone da ostacolo nei frequenti spostamenti che vengono effettuati tra il paese di Bassiano e le lestre nei territori del Quarto di San Donato, evitando così che si effettui il guado rischiando il ripetersi di “… vittime umane …” per non parlare del “… bestiame asportato dall’impeto delle acque …” o dovendo ricorrere, sia da parte dei viandanti che degli animali che sono al seguito nelle transumanze, alla chiatta gestita da un privato, al quale si deve pagare il pedaggio.Chiatta Sandalo

Con l’istanza diretta all’Università Agraria di Bassiano si chiede quindi l’autorizzazione al taglio del legname necessario alla costruzione del ponte o, in alternativa, si propone che sia lo stesso Ente a farsi carico della realizzazione. La domanda ha, come primo firmatario, l’avvocato Giulio Bernardini, che nel 1920 diverrà il primo sindaco socialista di Bassiano, al quale segue la firma di “Porcelli Antonio di Venanzio” e di ulteriori 39 capifamiglia.

La pratica viene inizialmente accolta dall’Università Agraria ma l’iter amministrativo, non perfettamente definito, incorre nei rilievi del Sottoprefetto di Velletri che ne determina il rigetto.

Saranno quindi gli stessi promotori dell’iniziativa a costruire il ponte sul finire del 1914 “a proprie spese dei pastori dimoranti a S. Donato e di qualche volenteroso Cittadino residente a Bassiano”, scavalcando il Fiume Sisto e mettendo “in comunicazione lo stradone della fossa Migliaria 45 tenuta Foro Appio e il Quarto San Donato tenimento della Università Agraria”.  

E arrivo ora alle lettere rinvenute, una dozzina, solo una piccola parte, ma estremamente significativa, di quel drammatico periodo, che tracciano la figura di un uomo, un marito, un padre, un soldato che affronta l’immane tragedia della Grande Guerra, con la sua umanità ed il suo profondo senso del dovere, testimoniato anche laddove scrive:

Faccio quanto posso il mio dovere più specialmente per i miei fratelli, i quali li tengo scolpiti nella mente, notte e giorno”.

Sono le lettere che mi hanno indotto a svolgere quelle ricerche che, come detto all’inizio, non avevo mai prima avuto curiosità di avviare, portandomi infine a dare alle stampe il libro il cui titolo me lo fornisce proprio mio nonno, con l’inizio con il quale si rivolge alla moglie: “Mia Indimenticabile Consorte”.

V’invito a soffermarvi a riflettere per qualche istante su questa frase, su ogni singola parola che la compone e sul profondo senso che ognuna di esse contiene: “Mia” … “Indimenticabile” … “Consorte”

Antonio non ha mai fatto ritorno dalla Grande Guerra: dichiarato disperso, quindi da presumersi morto, il 27 ottobre 1917 al termine dei combattimenti avvenuti su Dosso Faiti, territorio che da tempo non è più nei confini d’Italia.

Il libro ha per sottotitolo “La Grande Guerra dei Bassianesi”, perché le ricerche si sono poi ampliate all’intera Comunità del paese, alle vicende che costituirono tanti tasselli, tante storie, di una medesima Storia, che mi ha consentito di conoscere - sì, penso di poterlo dire ora - un po’ di più, un po’ meglio, chi era mio nonno Antonio.

Era un Uomo! Era mio Nonno!


 

Il libro è acquistabile presso le principali librerie di Latina, Latina Scalo e Sabaudia oppure visitando la pagina Facebook dell'autore ed ordinandolo direttamente a lui. Massimo Porcelli sarà felice di farvi pervenire una copia con dedica

https://www.facebook.com/MiaIndimenticabileConsorte/

Giallo nella Palude redenta

Giallo nella Palude redenta

A proposito del romanzo di Antonio Scarsella

di Floriana Giancotti

Antonio Scarsella, in questa opera d’esordio, sceglie il giallo come genere letterario. Ma non un giallo alla moda, dove i cadaveri si susseguono, il sangue straborda e gli assassini sono degli psicopatici gravi figli più di Hitchock che di Freud. Il suo libro rientra nel genere, che già si può catalogare così, del giallo italiano. Un giallo d’ambiente, meditativo, storico, in cui l’investigatore mentre interroga luoghi e persone, interroga anche se stesso e l’indagine diventa un itinerario interiore di riflessione sugli uomini e sul potere.

Il romanzo inizia all’americana: c’è un cadavere di un uomo sotto un ponte, lungo l’argine di un canale di bonifica, ed il maresciallo Duilio Spadon, di origini venete come dice il cognome, deve sciogliere il mistero di un’intricata matassa. E così, proprio all’americana per stile e ritmo, comincia la ricerca.

Siamo in un capoluogo di provincia, Latina-Littoria, al centro dell’Agro redento, nel periodo che segue il secondo conflitto mondiale, quando la questione contadina era ancora uno dei problemi più importanti della vicenda nazionale. 

L’occupazione delle terre e gli scioperi alla rovescia  animavano la cronaca locale colorandosi, qui in Agro pontino, di una particolarità tutta interna alla storia di questo territorio, la conflittualità tra coloni assegnatari dei poderi dell’ONC e contadini poveri della collina lepina, che si erano sentiti espropriati delle terre della pianura e ne rivendicavano il possesso. 

La questione si complicava politicamente perché i coloni veneti assegnatari dei poderi votavano in massa per la Democrazia Cristiana, mentre i contadini poveri dei Lepini erano legati al Partito Comunista e al Partito Socialista, insomma i bianchi contro i rossi.

E’ questo il contesto in cui il maresciallo deve dipanare la sua matassa, mentre le indagini si fanno serrate e nutrono contemporaneamente la riflessione politico-filosofica che il giovane carabiniere ama. 

Questo è l’aspetto originale del romanzo: la riflessione storica scaturisce dalla vita quotidiana, dal confronto costante tra un vicino e lontano, tra un prima ed un poi.

Spadon è un carabiniere leale, “fedele nei secoli”, e perciò istintivamente rifiuta la pista politica delle indagini che subito viene imboccata da alcuni giornali locali e dai suoi superiori. 

Portare avanti il filo dei ragionamenti accumulando prove, in tempi brevi e con la sola forza delle sue analisi e della conoscenza del territorio, sarà la sua scommessa. 

Comincia così un doppio viaggio, quello in pianura, tra i poderi dell’ONC, per interrogare amici e familiari e quello sulle colline per inseguire le tracce di un disegno criminoso teso a nascondere le fila di un sistema di sottopotere che imbriglia la vita dei poveri coloni. 

Si realizza così un vero e proprio viaggio conoscitivo del territorio, dalla città razionalista, dalle sue piazze, i palazzi monumentali, i bar e le osterie che connotavano i luoghi, alla campagna: le migliare, l’Appia, la Pedemontana, i canali, i ponti, la ferrovia Velletri-Terracina, l’Abbazia di Valvisciolo, su su verso i paesi, Norma, Bassiano, Sezze. 

E mentre il paesaggio si apre sotto gli occhi del maresciallo, il suo orizzonte conoscitivo si allarga assieme all’orizzonte naturale che si allarga man mano che si guadagna in altezza.

E così camminando, fermandosi, osservando, il giovane arriva ad una prima certezza “gli uomini delle colline … abitavano dentro le mura … il colono invece viveva in campagna” questa distinzione apparentemente ovvia costruisce una differenza antropologica, è una differente percezione dello spazio e della relazione che modifica le modalità di vivere e costruire le azioni.

Antonio Scarsella è evidentemente catturato dalla storia di questo territorio, dal suo incrociarsi di vite, di situazioni, dalla mescolanza delle culture: i percorsi dell’indagine del commissario sono tutti occasioni per cercare di capire la conflittualità e varietà degli interessi che si confrontano e si scontrano sulle terre bonificate. 

Il rapporto tra pianura e collina è il filo rosso che tiene insieme i ragionamenti, suggerisce piste di ricerca per le indagini. Questo è il cuore della storia e della cronaca, nel tentativo di sfuggire agli stereotipi della Grande storia ed a quelli suggeriti dalle trame di potere che vorrebbero insabbiare la verità.

Il maresciallo Spadon, forte della sua fedeltà ai principi della Benemerita, forte della sua limpidezza e correttezza, osserva, riflette, si pone problemi, si fa domande, costruisce risposte. Risposte alle indagini, risposte alle domande che l’osservazione del territorio e degli uomini che lo abitano continuano a porre.

Il territorio è il deuteragonista del romanzo, una presenza costante nel racconto. 

Non è semplicemente sfondo o teatro dell’azione ma contiene i segni che spiegano la storia degli uomini:

«Il contadino sezzese pianta i carciofi, i pomodori, le melanzane, e poi li rivende cercando di ricavarne il maggior utile possibile. Il colono di Borgo Faiti alleva le vacche e consegna il latte a chi dice l’Opera, coltiva il mais, le bietole, il grano ma li consegna all’ammasso, agli stessi che gli hanno venduto i semi e i concimi e con i quali ha le cambiali agrarie. 
Il contadino di Sezze discute con gli altri contadini di come migliorare la propria esistenza, si mette in competizione. Il contadino del Faiti, invece, è da solo, lui con la sua famiglia, di fronte al concedente e al potere economico che lo governa. E il bisogno lo rende ancora più prigioniero di questo sistema».

Mentre la macchina del maresciallo si sposta attraverso le strade che solcano l’Agro redento o s’inerpica su quelle tortuose della collina, l’occhio indugia sul paesaggio, sui luoghi che lo nominano, così anche il lettore percorre quelle strade quei borghi, solca la pianura punteggiata dai poderi, sosta sulle piazze dei paesi, osserva costumi tradizioni ed uomini.

Si anima attorno a noi un mondo, tra le case coloniche si svelano rapporti, ora amorosi, ora nefasti, nei borghi e nelle osterie si raccolgono informazioni, si conoscono gli intrecci di interessi che funestano la vita dei coloni, si conosce la loro dignitosa povertà, il lavoro duro e costante, i lacci che li legano in una soggezione quasi senza scampo all’ONC ed ai Consorzi. Ed al centro c’è sempre la terra. L’atavico desiderio di diventarne proprietari, i sacrifici, le promesse, il riscatto, l’indebitamento, le speculazioni sul loro bisogno.

E poi l’opportunismo che non conosce cambiamento di regime: basta cambiare la camicia ed il mondo torna all’ordine di sempre,

La conclusione delle indagini è amara per il nostro maresciallo ed investe le sue scelte di vita. Così, mentre gli sembra di aver capito finalmente le caratteristiche di quel territorio che ha imparato ad amare, deve sperimentare un’incompatibilità tra la sua coscienza e la sua realtà lavorativa.

Insomma questo romanzo nasce come un giallo, ma diventa occasione per un’approfondita analisi sulla storia locale e sulle eterne caratteristiche del potere e dell’uomo in generale. Senza pedanteria, senza tracotanza interpretativa, con uno stile piacevole, con un ritmo incalzante che consente al lettore di non perdere mai di vista l’elemento “romanzesco” che ne giustifica la lettura.


SINOSSI

GIALLO NELLA PALUDE REDENTA, "Agnelli, lupi e figli delle tenebre" nella Latina dei primi anni Cinquanta
Di Antonio Scarsella, Atlantide Editore

C’è il cadavere di un uomo sotto un ponte, lungo l’argine di un canale di bonifica, e il maresciallo Duilio Spolon, di origini venete, deve sciogliere il mistero di un’intricata matassa. Siamo a Latina-Littoria, al centro dell’Agro redento, nel periodo che segue il secondo conflitto mondiale, quando la questione contadina era ancora uno dei problemi più importanti della vicenda nazionale.
L’occupazione delle terre e gli scioperi alla rovescia  animavano la cronaca locale colorandosi di una particolarità tutta interna alla storia di questo territorio: la conflittualità tra coloni assegnatari dei poderi dell’ONC e contadini poveri della collina lepina che si erano sentiti espropriati delle terre della pianura e ne rivendicavano il possesso.
La questione si complicava politicamente perché i coloni veneti assegnatari dei poderi votavano in massa per la Democrazia Cristiana, mentre i contadini poveri dei Lepini erano legati al Partito Comunista e al Partito Socialista, insomma i “bianchi” contro i “rossi”.
È questo il contesto in cui il maresciallo deve dipanare la sua matassa, mentre le indagini si fanno serrate e nutrono contemporaneamente la riflessione politico-filosofica che il giovane carabiniere ama e che lo porterà, contro la stampa locale e i suoi superiori, a percorrere un’impervia pista tracciata dal filo dei ragionamenti e delle analisi scaturiti dalla conoscenza dei luoghi e delle persone.
Un doppio viaggio, quello in pianura, tra i poderi dell’ONC, per interrogare amici e familiari delle vittime e quello sulle colline per inseguire le tracce di un disegno criminoso teso a nascondere le fila di un sistema di sottopotere che imbriglia la vita dei poveri coloni. Durante questo viaggio, il paesaggio si rivela agli occhi del maresciallo e rivela pure le differenze antropologiche, gli incroci di vite, la mescolanza delle culture, gli interessi che si confrontano e si scontrano sulle terre bonificate.
Il rapporto tra pianura e collina è il filo rosso che tiene insieme i ragionamenti, suggerisce piste di ricerca per le indagini. Il territorio è costantemente presente nel racconto, non semplice sfondo o teatro dell’azione ma colui che contiene i segni che spiegano la storia degli uomini.
Al centro c’è sempre la terra. L’atavico desiderio di diventarne proprietari, i sacrifici, le promesse, il riscatto, l’indebitamento, le speculazioni sul loro bisogno. E poi l’opportunismo che non conosce cambiamento di regime: basta cambiare la camicia ed il mondo torna all’ordine di sempre.
Un romanzo che nasce come un giallo ma diventa occasione per un’approfondita analisi sulla storia locale e sulle eterne caratteristiche del potere e dell’uomo in generale.


GIALLO NELLA PALUDE REDENTA è acquistabile nelle principali librerie di Latina e Provincia o direttamente dal sito dell'Editore, spedizione gratuita con Corriere, consegna in 3-4 giorni lavorativi.

https://www.atlantideditore.it/prodotto/giallo-nella-palude-redenta/

Grazie a Dario Petti e ad Atlantide Editore per la disponibilità nella realizzazione di questi articoli


da un'idea di Marco Mastroleo

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