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Passo Genovese, c'era una volta un ponte

c'era una volta un ponte... il ponte di passo genovese

Una strana “riscoperta”

In queste poche righe vogliamo raccontarvi una storia insolita di “riscoperta” del patrimonio archeologico e culturale. 
È proprio vero: "quando vuoi nascondere qualcosa, mettila sotto gli occhi di tutti!". Diventerà parte del paesaggio, parte del tutto, e diventerà "invisibile"! 

È quello che succede ogni giorno con i nostri  oggetti, con i modi di fare, con le strutture, in sostanza con la cultura del quotidiano: con il passare del tempo sparisce, risucchiata dal nuovo e dall’abitudine.
Ecco perché quando qualcuno comincia a “ricordare”, in un certo senso è come se facesse una  scoperta, è come se quello che vede fosse del tutto “nuovo” anche se realisticamente non può che essere definito “vecchio”!
Si chiama “archeologia”, le sue fondamenta stanno tutte lì, nella riscoperta del vecchio che viene liberato dagli strati di abitudine che l’hanno ricoperto per anni, per secoli o addirittura per millenni.

È quello che è successo anche al ponte di Passo genovese. 

Era lì, sotto gli occhi di tutti i frequentatori di foce verde e del litorale di Latina ma poi, un po’ per incuria, un po' per via dell’abusivismo, un po' perché la foresta che componeva la cosiddetta “selva di Cisterna” prima della bonifica prepotentemente si riprende ogni spazio che le apparteneva quando viene lasciato incustodito … il ponte era scomparso, anche se è sempre rimasto lì ed anche se era “sotto gli occhi di tutti”.

Chi, quando e perché

È stato il gruppo di Protezione Civile “Passo Genovese” di Borgo Sabotino che lo ha “scoperto”, in tutti i sensi!
Sono passati più di dieci anni ormai: ad Ottobre del 2009, i volontari dell’associazione ripulirono il ponte da sterpi, arbusti e rifiuti per riportarlo alla luce, all’aria... a respirare: un primo passo verso l’adozione di questo monumento.
Venni invitato a fare l'archeologo supervisore dei lavori e, per questo motivo, ho deciso di raccontare ancora una volta, a distanza di dieci anni, quello che è venuto fuori, perché penso che possa servire a qualcosa ed a qualcuno.
Penso che questo lavoro, infatti, abbia un notevole valore, sia dal punto di vista pratico che dal punto di vista simbolico.
Il lato pratico lo lascio al resto dell’articolo, quello simbolico eccolo qui. 

L’associazione ha scelto il ponte di passo genovese come suo simbolo, lo ha inserito nel nome ed anche nello stemma. Sembra una cosa banale ma non lo è, questo interesse nei confronti di un monumento è "notevole" e rispecchia quello che dovrebbe succedere normalmente nei confronti dei beni culturali, che sono il simbolo della nostra identità e del nostro territorio. Si tratta brutalmente di “marketing della cultura”. Serve a far circolare nomi e fatti che rendono più vicini questi monumenti al sentire collettivo. Chiunque avrà a che fare con la Protezione Civile di Borgo Sabotino si chiederà: perché “Passo Genovese”? Cos’è? E scoprirà un pezzo in più della sua storia e del suo territorio!
Se tutte le associazioni o le aziende facessero così, i Beni Culturali Italiani avrebbero valori inestimabili e noi non avremmo perso il senso dell’appartenenza e delle radici come invece stiamo facendo.

C’è anche un altro valore che sta dietro questo gesto: un valore “civile”.

L’area di foce verde non è sicuramente una “perla” della Provincia: inquinamento, centrale nucleare, Terna, progetti di porti faraonici e soprattutto, abusivismo edilizio ed abbandono sono le uniche parole che ti vengono in mente quando passi da lì. Di certo non viene da pensare a quel tratto di costa come ad un pezzo fondamentale della storia della Provincia, né ad un parco archeologico!

E poi i problemi sono tanti e vari che interessarsi alla tutela di un monumento non è certo la priorità, neanche se intorno ci costruiscono una baraccopoli abusiva ed una mezza discarica a cielo aperto!
”Pulire” un monumento in quella zona equivale a dire: noi teniamo a questo posto e, se ci teniamo, un motivo ci deve essere! 

         

 PASSO GENOVESE PRIMA DELLA PULIZIA

Un pezzo di storia da raccontare

Non si può certo dire che il ponte di passo genovese sia uno dei monumenti più importanti della zona, tuttavia, la sua presenza ha un pezzo significativo di storia da raccontarci, soprattutto per quello che oggi si chiama Borgo Sabotino.
Partiamo dal nome: Passo Genovese
Durante la bonifica integrale degli anni 20-30, tutti i borghi della provincia hanno perso il loro nome originario e sono stati ri-battezzati con i nomi delle battaglie principali della Prima Guerra Mondiale. Stessa sorte è toccata a Borgo Sabotino che, in precedenza, si chiamava Passo Genovese.

Non a caso, la toponomastica è una delle scienze che contribuiscono alla ricostruzione della storia dei luoghi.
Il fatto che quella zona si chiamasse Passo genovese lascia intendere che Genova vi abbia qualcosa a che fare.
Prima della bonifica, la zona era sotto lo Stato Pontificio, commerciava molto con i genovesi ed era nota in tutta Italia per tre aspetti strettamente legati alla palude stessa:

  • le bufale e la produzione di latte e mozzarelle.
  • Il legname di tipo forte delle foreste della allora “Macchia di Cisterna”, soprattutto querce, che Genova utilizzava per costruire le sue imbarcazioni
  • Il pesce di acqua dolce e salata che proveniva dai laghi, dagli stagni e dalle peschiere oltre che dal mare e che veniva trasportato a Roma, dove era molto apprezzato. 

L’intenso commercio con i genovesi era anche dovuto allo scambio di minerali metallici che loro portavano qui dall'isola d'Elba per alimentare Le Ferriere di Conca. Un rapporto privilegiato che ha dato il nome alla zona, sancito anche a livello formale dallo Stato Pontificio, anche a seguito di alcuni favori di guerra per i quali la Chiesa era debitrice. 

Borgo Sabotino in quanto tale, venne costituito come villaggio di appoggio per i lavori di bonifica che si dovevano realizzare nella zona. L’opera più importante era proprio l’apertura del tronco inferiore del Canale Mussolini, come sfocio a mare del Fosso Moscatello presso la torre di Foce Verde.
Il fosso Moscarello scendeva dai Colli Albani, e si “inpantanava” nella zona retrostante la duna marina fino a tracciarsi un vero e proprio alveo alle spalle della duna e parallelo alla costa.
A nord della torre di Foce Verde avveniva la stessa cosa con il Canale di Mastro Pietro, un derivatore del Fiume Astura che portava, anche attraverso il Moscatello, acqua dolce nel lago di Fogliano.
Si veniva a creare quindi, una vera e propria via acquatica, un sistema di collegamento in parte artificiale ed in parte naturale tra i vari fiumi e laghi costieri, quella che è stata chiamata “fossa Augusta”, la via di collegamento tra il litorale Romano (il Tevere) ed il Circeo (il Lago di Paola).

Il ponte di Passo Genovese serviva a “scavalcare” questi fossi (in particolare il Rio Giordanello) e consentire il carico delle navi genovesi (ma non solo) ormeggiate al largo, in mare.
Non si tratta quindi, di un vero e proprio ponte ma di un pontile di carico, un molo ed un “braccio murario” di collegamento tra il mare ad una probabile strada posta sulla duna quaternaria (quella dove ora scorre la via litoranea).

La parte in muratura del ponte di Passo Genovese (vedi architettura del ponte) passava probabilmente proprio sul fosso Moscarello, ora interrato e parallelo alla costa. Ecco perché l’andatura del ponte è perpendicolare alla costa e parallela all’attuale Foce verde. 

La strada di cui si ipotizza la presenza potrebbe essere stata la via Severiana.

La leggendaria Via Severiana era una strada litoranea di collegamento tra Roma ed il Circeo, fatta costruire o forse, più probabilmente “rintracciare e valorizzare” sulla base di un tracciato già esistente, da parte della dinastia dei Severi, gli imperatori che governarono Roma nel I sec d.C..
La via Severiana comprendeva diverse “stazio” (stazioni di posta, luoghi destinati al rifornimento ed al risposo), tra le quali molte possono essere riconosciute negli stessi posti in cui adesso sorgono Torre Astura, B.go Sabotino, la foce di Rio Martino (B.go Grappa),  e così via fino al Circeo a Torre Paola.
La via Severiana era importante perché serviva a collegare la costa pontina ed il suo sistema di laghi (dove, tra l’altro, sorgevano diverse ville romane) a Roma, con notevole movimento di merci, che avveniva sulle chiatte lungo la già citata “fossa augusta”. È evidente che il trasporto su carro doveva, in alcuni casi, essere molto più rapido di quello su chiatta trainata.

Come era fatto il ponte: l’architettura

Quello che vediamo adesso è il risultato finale di quello che potremmo definire un “restyling strutturale” del ponte avvenuto sotto Pio VI (1775 – 1799) 

Prima di essere in muratura, il ponte doveva essere in legno e doveva esistere già dall’epoca romana, contemporaneo alla via Severiana.

La struttura attuale ricalca i canoni dell’architettura settecentesca, è composto di tre parti realizzate con due tecniche costruttive diverse e forse se ne può ipotizzare una quarta: 

  • Prima parte: tra la duna ed il ponte, realizzata con la cosiddetta tecnica a sacco, ovvero un terrapieno foderato in pietra che doveva essere una vera e propria rampa o strada sopraelevata fino al ponte in muratura,
  • Seconda parte: al di sopra di un canale parallelo al mare, probabilmente un affluente del canale di foce verde, in muratura. Quattro archi in mattoncini realizzati su 4 pilastri in pietra con facciata in cortina decorata in pietra. 
  • Terza parte: un altro terrapieno che doveva superare il secondo livello di dune, più basse rispetto alla duna quaternaria.
  • Quarta parte: dal terrapieno al mare. Non essendoci resti né fonti che lo testimonino, possiamo solo ipotizzare la sua presenza. è in dubbio se fosse in muratura o in legno e doveva servire da vero e proprio molo di imbarco, passando sopra la spiaggia ed arrivando fino in mare. Non essendoci neanche resti delle fondamenta in pietra al largo, è possibile ipotizzare che fosse in legno come la prima versione del ponte.

In conclusione, questo posto della Provincia Pontina, è importante per quattro ragioni:

  • è la testimonianza di una realtà pre - bonificafondamentale per l’economia della zona: lo sfruttamento della già citata “selva di Cisterna”come fonte di legname. 
  • dimostra l’esistenza di un discreto traffico di merci tra la terraferma ed il mare
  • dimostra probabilmente l’esistenza di una via di comunicazione di una certa importanza, quella che qualcuno ha riconosciuto come la via Severiana.
  • è la testimonianza dell’esistenza di una idrografia complessa(sia naturale che artificiale) che doveva tenere collegati i laghi con i fiumi e le coste.

Lavoro di pulizia e scelte tecniche

I problemi che si affrontano quando si decide di pulire un monumento sono soprattutto di carattere conservativo. Quando si va a togliere l’involucro di piante, spazzatura e terra che lo hanno ricoperto per anni si corre il rischio di “esporlo” di più alle intemperie ed al vandalismo. Anche se è brutto dirlo, quando un monumento è sepolto, si conserva meglio e può sopravvivere più a lungo. 

Ecco perché bisogna fare molta attenzione ed avere una certa lungimiranza, senza esagerare e pulire troppo.
I volontari della Protezione Civile, con ruspe, motoseghe e roncole hanno eliminato tutti gli arbusti, i giunchi e le canne che crescevano sopra ed intorno al monumento ma, insieme, abbiamo deciso di lasciare in loco le radici degli arbusti e di tenerle sotto controllo lasciandogli continuare quel lavoro di imbrigliamento delle strutture che hanno fatto così bene negli ultimi anni. Abbiamo deciso inoltre di lasciare un letto di terra e muschio sulla sommità del ponte che aiuti a proteggerlo dalle intemperie. I fianchi invece sono stati puliti del tutto per lasciarli respirare ed asciugare ed è scavato un canaletto per il deflusso delle acque stagnanti verso i vicini canali di deflusso per evitare il ricrearsi di quelle terribili mini-paludi che stavano inzuppando le gambe del ponte.

 

OPERAZIONI DI PULIZIA DEL PONTE e PONTE A LAVORO FINITO

La domanda finale

Se questo fosse un quiz, questa sarebbe la domanda finale, quella a cui, se rispondi bene, vinci cifre esorbitanti: e dopo? Cosa è successo dopo la pulizia?
L’associazione decise di “adottare” il ponte, che si tradusse in: ci pensiamo noi a tenerlo pulito ed a valorizzarlo per bene. Ed, in effetti, con iniziative di pubblicità e di pulizia, ci stanno pensando loro. 
Si tratta indubbiamente di una azione nobile e riguardevole ma io mi chiedo: basta? 

Nel senso, può una associazione di volontariato impegnarsi a tempo indeterminato per la salvaguardia e la tutela di un monumento? E soprattutto, spetta davvero a loro farlo? Hanno i mezzi e le competenze necessarie?

È vero che non stiamo parlando del Colosseo ma la domanda è quella che tutti coloro che si occupano di Beni Culturali in Italia si trovano a fare di frequente: Dov’è finito lo Stato? Che dovrebbe salvaguardare il patrimonio pubblico attraverso risorse specifiche ed istituzioni che trà l’altro già esistono!
La verità è che questo tipo di azioni fatte da parte dei privati sono lodevoli ma se le facesse lo Stato sarebbe parte del suo dovere Costituzionale!

In conclusione la domanda rimane: cosa ne sarà del ponte di passo genovese? Verrà restaurato? Le costruzioni abusive che sorgono intorno (a ridosso della spiaggia e quindi anche a rischio idrogeologico) verranno abbattute? I terreni di accesso al ponte che attualmente sono incredibilmente privati (stiamo parlando di un pezzo della duna quaternaria, parte del demanio dello Stato), verranno espropriati? Il ponte sarà accessibile e fruibile?

Per ora, la risposta è: forse, chissà... speriamo, non per il momento... un'altra occasione caduta nel vuoto!


di Marco Mastroleo

Gran parte dei dati storici provengono dal prezioso lavoro di Francesco Tetro.
In particolare, per la redazione di questo articolo, ho consultato:
Paola de Paolis – Francesco Tetro, La Via Severiana. Da Astura a Torre Paola, Regione Lazio Ente Provinciale per il Turismo Latina, 1986 

PER MAGGIORI INFORMAZIONI SULL'ASSOCIAZIONE PASSO GENOVESE E SUL PONTE, VISITATE IL SITO http://www.passogenovese.org

Viaggi nell'Agro Pontino - Vita Vitis Vinum

a proposito del libro di Mauro D’Arcangeli e Antonio Scarsella 
Intervista di Marco Mastroleo

In questo blog, fatto di passi, musiche e racconti, non poteva mancare una storia fatta di profumi e di sapori. 

E così, tra i libri pubblicati da Atlantide Editore, abbiamo voluto raccontare “Viaggi nell’Agro Pontino, Vita vitis vinuum”. Lo raccontiamo attraverso le parole di Antonio Scarsella, che abbiamo intervistato per farci raccontare questo libro davvero particolare.

- Antonio Scarsella, perché un romanzo e non una guida?

L’idea alla base del libro è legata all’identità culturale del territorio e non ad un intervento turistico. Un racconto definisce l’identità culturale di un territorio, meglio rispetto ad una guida. Ci siamo chiesti, qual è l’identità culturale di questa zona?
Da Velletri al Circeo… quali sono le nostre radici? 

Dopo aver effettuato una ricerca storica, abbiamo scoperto che l’identità di questa zona non va collocata al periodo della bonifica, come per lunghi decenni abbiamo pensato. Questo territorio aveva una identità definita già nel 500 a.C e si chiamava Latium Vetus.

- Quale elemento collega questa identità al vino?

Abbiamo capito che la nostra identità, dal 500 a.C. ad oggi, è stata tramandata attraverso due elementi: la viabilità e l’agricoltura. Quindi, il nostro spirito, nei secoli, ha viaggiato lungo tre strade: la pedemontana, l’Appia dal 300 a.C., poi di nuovo la pedemontana quando nell’800 d.c. l’Appia fu abbandonata ed infine la Severiana, ovvero la litoranea, che da Ostia, correva fino a Sabaudia ed a Terracina. 

satricum1SATRICUM, TEMPIO DELLA MATER MATUTA

Attorno a queste strade è nata l’altra identità, quella rurale, agricola. A Roma, non potevi far parte della vita pubblica e politica se non avevi un po’ di terra da coltivare. Questo territorio è stato il bacino agricolo principale per i senatori di Roma, soprattutto per il vino e per l’olio. I vini di questa zona erano molto rinomati a Roma: il Bellone, il Moscato di Terracina, il Nero Buono di Cori, il Cecubo coltivato a Sezze e nella Piana di Fondi...
I vigneti correvano e corrono, lungo la pedemontana e lungo la Severiana. 
La vite ha determinato la vita di questo territorio e lo ha delineato. 
Latina è figlia di questa cultura, una cultura latina e romana, fondata sull’agricoltura. Ed ecco che abbiamo due identità, il Latium, la cultura latina profonda e la Vitis!

- Quali sono i luoghi principali in cui è ambientata questa storia?

Il romanzo è collocato in due tempi: il tempo è una metafora, che viaggia su binari paralleli.
Nel tempo moderno, la storia è quella di un professore Olandese che, ogni anno, viene a scavare a Satricum con i suoi studenti. Gli scienziati non si limitano a scavare, si pongono il problema di conoscere il territorio e lo fanno attraverso il vino, seguendo le strade dell’antichità: viaggiano, seguendo le strade del vino, da Velletri a Giulianello, a Cori, e poi giù, fino a Terracina, dove incontrano i vitigni antichi che dicevamo prima. 
(NdR: come si chiama il professore protagonista del romanzo? Ve lo lascio scoprire… sappiate solo che è il pro pro nipote di un illustre viaggiatore …)

Parallelamente, sulle stesse strade, rivive un’altra storia, la storia di Tullio Flavio Apuleio, che cuce l’identità del territorio in epoca romana. Questa affascinante vicenda viene scoperta dagli archeologi presso l’archivio comunale di Sezze dove un documento del 1600, racconta della rivolta degli schiavi di Setia.

- Questa storia ve la lasciamo scoprire leggendo il romanzo…
Antonio, a che tipo di pubblico è rivolto questo libro?

Con Mauro D’Arcangeli, abbiamo avuto l’ambizione di rivolgerci rivolgerci ad un pubblico vasto, non solo agli appassionati di storia o di enologia, si rivolge ad un pubblico curioso, che ha voglia di “gustare” il territorio combinando storia e profumo di vino.

- … un vino che “sa di antico”, direi…
Così, su due piedi, ci suggerisci dei luoghi simbolo di questa storia? Luoghi in cui è possibile rivivere pezzi del racconto o che lo rappresentano?

A me vengono in mente, ovviamente Satricum ed il monumento naturale di Campo Soriano a Terracina, dove ora si coltiva di nuovo, come una volta, il moscato… altri?

Oltre a quelli che hai citato tu, vi indico due posti in cui è possibile associare buon vino a ricette della tradizione: Ristorante Da Checco, a Cori, dove il Nero Buono si sposa con i piatti coresi e l’Agriturismo La Valle dell’Usignolo dove è il Bellone che incontra il buon cibo dell’agro pontino.

CampoSorianoMONUMENTO NATURALE DI CAMPO SORIANO E VIGNETO CON MOSCATO

Grazie Antonio


Sinossi

«… Il vino dei Lepini sa di terra vulcanica e di profumi di bosco, la vite respira insieme agli olivi. Come le genti che vivono su quei monti è forte e gentile. Le colline da cui proveniva il vino degli imperatori continuano, abbracciate dal sole, a produrre nettare di vita e sogni alcolici. Quello di Satricum si nutre di storia, di tufo e dell’annuncio del mare. Il vino della Litoranea affonda le sue radici nella sabbia, nella duna. È dolce come il miele e odora di salsedine e di mito…»

Un romanzo che è un viaggio nei sentieri dell’Agro Pontino, seguendo illustri e antiche orme, lungo il filo conduttore del vino, secolare eccellenza e linfa vitale di queste terre. Il vino come sublimazione del rapporto dell’essere umano con il territorio e il paesaggio, sia dal punto di vista dell’appartenenza e del radicamento che della sua trasformazione, della mobilità degli uomini e delle idee. Un legame fatto dell’ancestrale vincolo tra uomo e natura e, in questo senso, i viaggi qui raccontati sono prima di tutto frutto di un percorso interiore, che dal territorio in cui vivono prendono vita ma che, inevitabilmente, finiscono per andare oltre fino ad appartenere a tutti e a tutti i luoghi.

Viaggi AgroPontino


Viaggi nell'Agro Pontino, Vita Vitis Vinum è acquistabile nelle principali librerie di Latina e Provincia o direttamente dal sito dell'Editore, spedizione gratuita con Corriere, consegna in 3-4 giorni lavorativi.

https://www.atlantideditore.it/prodotto/viaggi-nellagro-pontino/

Grazie a Dario Petti e ad Atlantide Editore per la disponibilità nella realizzazione di questi articoli


da un'idea di Marco Mastroleo

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