Giorno 3: il fuoco

Il giorno dopo, a gran richiesta dei bambini, Elena e Michele organizzano un’uscita in mare. Sono tutti curiosi di vedere questa bellissima fioritura di fitoplancton. Il viaggio doveva durare cinque giorni, ma questo evento ha cambiato tutto. È una festa, una celebrazione del successo di anni di lavoro. Non si può lasciar andare così.

Eccoli, allegri e spensierati, pronti a questa bella giornata in mare. Con questa stupenda visione romantica del mare.

Eppure, negli ultimi anni, proprio il mare è stato l’incubo più ricorrente nella mente degli uomini, il nemico numero uno!

Sembra facile e banale dire, come raccontavo prima, che il mare si è alzato di un metro negli ultimi venti anni, ma avete idea di cosa voglia dire?

Ci siamo tristemente abituati ad ascoltare notizie di migrazioni di massa di popoli che, dalle coste sulle quali vivevano, cercavano posto nell’entroterra, invadendo città e territori di altri. Abbiamo raccontato gli uragani, le alluvioni e le pianure invase dall’acqua, le coltivazioni e le case distrutte. L’economia che collassava sotto il peso di cambiamenti così grandi! Trasformazioni così epocali non avvengono senza causare disastri. 

Gli sceneggiatori di Hollywood vedevano i loro film diventare realtà. Chiunque, come era di moda nell’era dei social network, aveva la sua idea da esprimere, e lo faceva a suo modo: chi urlava al complotto, chi ne sapeva sempre più degli altri, chi cercava solo e soltanto qualcuno a cui addossare le colpe, senza neanche provare a cercare una soluzione… 

Certo, i climatologi avevano previsto tutto questo, ma si aspettavano che accadesse nel giro di cinquant’anni, non di venti!

Invece noi uomini avevamo accelerato il processo naturale di riscaldamento del clima in maniera talmente incisiva da non poterlo invertire. Non con i nostri mezzi!

Il Mediterraneo poi, essendo sostanzialmente un immenso lago collegato agli oceani con un solo sbocco, subiva questi fenomeni con un peso cento volte maggiore. Le città lungo la costa del mare nostrum sono state le prime ad essere invase dall’acqua, le prime a subire tempeste mai viste prima, le prime a dover organizzare delle vere e proprie migrazioni di massa.

Ve l’ho detto: il mare era il nostro nemico numero uno!

E pensare che i segnali c’erano tutti già dagli anni Duemila! I ghiacciai sulle Alpi si stavano sciogliendo molto più in fretta di quelli del resto del mondo, i livelli delle acque sotterranee stavano cambiando un po’ dappertutto e tempeste ed alluvioni erano all’ordine del giorno. Ogni anno, tra settembre e dicembre, si aspettava il peggio. Un clima monsonico a tutti gli effetti.

Per questo, entrare in mare, nel 2040, in modo così spensierato e leggero, era il segno preciso che qualcosa era cambiato davvero. Che si poteva tornare al mare amandolo, e non solo avendone paura.

Le piscine naturali di Ponza si chiamano così perché, un tempo, una fila di scogli divideva una pozza d’acqua, “incisa” nella roccia, dal resto del mare. Oggi, quegli scogli si vedono solo con la bassa marea, ci si cammina sopra, passeggiando con i piedi in ammollo. Il paesaggio è cambiato!

Ma torniamo al nostro gruppetto, mette gioia solo a guardarlo: bambini che strillano, adulti che si prendono in giro e scienziati emozionati come al primo giorno di scuola: si va a Palmarola, l’isola del fuoco! 

Escono con le barche elettriche che usano per il lavoro intorno all’isola. Devono prepararne due. Non è possibile ospitare tutto il gruppo in una sola imbarcazione: sono piccole e la potenza del loro motore non consente di superare un certo peso a bordo. Sono stati Arianna e Gino ad inventare queste "lance" snelle, agili e silenziose, adatte al lavoro di studio e ricerca dei biologi, e sono sempre loro a prendersene cura. Ma sono barche un po’ lente rispetto allo standard. Tocca accontentarsi. 

– Zio Gino, perché Fùfilo non può venire?

– Perché è grosso assai… Pesa troppo per queste barchette, e non c’è spazio sufficiente.

– Mi dispiace lasciarlo a terra, tutto solo…

– Non preoccuparti, Licia. Ne approfitterà per ricaricarsi un po’. Lo lasciamo al sole, con i pannelli tutti aperti, e così, al ritorno, lo troviamo bello carico.

– Va bene, però gli lascio il mio pupazzo, così non si sente solo.

Licia è la seconda figlia di Michele e Alisea. Una strana combinazione di freddo calcolo matematico, misto ad affetto e premura. Quando ti guarda con quegli occhi verde oliva non sai mai quale parte di lei stia affiorando, fino a che non apre la bocca. Ed ha una gran passione per i robot. Per questo viaggia praticamente appiccicata a Fùfilo, e a Gino e Arianna, ovviamente!

Il gruppo si distribuisce sulle due barche in modo omogeneo: adulti e bambini su una barca e sull’altra, per equilibrare i pesi sulle due lance. 

Elena guida il gruppo della sua barchetta. Si posiziona a prua e, più eccitata dei bambini, racconta a tutti quello che potrebbe accadere. O, quantomeno, quello che lei si aspetta che accada.

– Come vi ho detto ieri, il fitoplancton potrebbe attirare banchi di pesci, anche di specie nuove. Per cui, silenzio assoluto e… occhi aperti!

Ma dopo più di quindici minuti di silenzio, osservazione e rollio della barca sul mare, i bambini cominciano ad essere impazienti…

– Quanto saranno grandi questi pesci?

– Non lo so, è una sorpresa anche per me…

– Arriveranno anche gli squali?

– Non so neanche questo, è probabile…

– E i pesci tropicali, che sono arrivati nel nostro mare negli ultimi anni per via del riscaldamento globale?

– Ettore, sì, penso di sì. È una domanda difficile, bisogna studiare...

– Zia, i pesci che arriveranno saranno grandi quanto quei pescioni che saltano sull’acqua, laggiù?

– …

– Zia? Zia, mi hai sentita?

– Sì, Laura, scusami... Penso che quelli non siano semplici pesci. Do una occhiata con il binocolo… Mi manca il fiato… Potrebbero essere delfini… e sarebbe la prima volta che li vedo da anni. Da più di dieci anni… 

– Non è possibile, i delfini non esistono!

– Luca, ancora con questa storia... Eccoli, li vedo anche io. Esistono eccome! E ci portano al pesce, come avevo previsto io. Cavolo, dovevo portarmi il drone…

– Ettore, silenzio. Goditi lo spettacolo…

Ettore, il figlio di Aurelio e Arianna, è il capogruppo dei bambini, un ruolo che si è guadagnato per via dell’età e della sua corporatura massiccia. Zittito lui, tutti quanti rimangono in religioso silenzio. Luca, invece, è il più piccolo fra loro. È il figlio di Flavio e Sara, l’agronomo e la matematica del gruppo (avranno anche loro una parte importante in questa storia…)

L’aria si satura di tanta umidità, e dalle goccioline piano piano emergono delle virgole nere, all’orizzonte. Il mare comincia ad incresparsi ed una serie di zampilli, flutti e schizzi piroetta nell’aria, come se i vulcani che hanno fatto nascere le isole si fossero risvegliati, come se tutto si fosse rimesso in moto, come se la terra ricominciasse a respirare. I flutti e gli schizzi, simili a lapilli di lava, prendono vita con la stessa potenza di un’eruzione, portando a galla un’energia del tutto simile. Un’energia di muscoli e respiri: i delfini!

Un branco di stenelle, piccoli delfini tipici del Mediterraneo, dorso grigio e pancia bianca e gialla, compare a Sud. Lo spettacolo è incredibile: venti o trenta animali che, sincronizzati, sbucano fuori dall’acqua mostrando il loro dorso, che riflette i raggi del sole. Le stenelle in testa al gruppo accennano anche qualche salto acrobatico, forse per segnalare agli altri la direzione da seguire.

Tutti rimangono a bocca aperta.
Quello che li impressiona di più è il suono. Certo, hanno visto documentari o video nei quali i delfini nuotano, si incrociano, sfrecciano sotto il pelo dell’acqua, ma averli lì, davanti ai propri occhi, e “sentirli” allo stesso tempo è una sensazione che lascia col fiato sospeso.

Quando emergono, i cetacei sbuffano fuori l’acqua contenuta nello sfiatatoio ed inspirano, prima di immergersi di nuovo. Questo suono, questo soffio rotondo e intenso, è l’elemento che rende la scena profonda, che la rende concreta. E che permette di capire che sta avvenendo davvero, che due mondi si stanno incrociando. E che siamo fatti tutti della stessa materia, di aria, acqua e fuoco...

– Io… Io ieri vi dicevo che ci sarebbero voluti mesi, ed invece già oggi abbiamo visto tornare i delfini. È proprio vero che la natura ha tempi e modi che ancora non riusciamo a capire! Ogni volta che pensiamo di aver compreso dei meccanismi, ecco che arriva una sorpresa, una nuova sfida…

Spengono i motori e rimangono tutti in silenzio ed immobili, a godersi la meraviglia. E sui visi di molti di loro compare una lacrima di gioia. Elena, invece, filma tutto. Seria e professionale. Si è già sfogata la sera prima…

I bambini, presi dall’euforia, immergono le mani nell’acqua e cominciano a schizzarsi. Forse attratti da quei gesti, alcuni delfini si avvicinano agli scafi. Giocano e sfrecciano tra le barche e, dopo venti minuti, si allontanano seguendo le scie della fioritura del fitoplancton. Macchie lucenti su un orizzonte verde e blu.

Divertimento ed emozione pura, questo si legge sul volto dei bambini. Uno spettacolo del genere non è così frequente nel 2040. 

Riaccendono i motori e ripartono. Nessuno parla, sono ancora tutti troppo emozionati.

Stanno arrivando presso le coste di Palmarola quando Laura, la sorella maggiore di Ettore, comincia a urlare:

– Lì! Lì! Guardate lì, cos’è? Cos’è? È grande…

Elena punta la telecamera nella direzione indicata da Laura e, dopo aver zoomato e guardato, si siede. Questo è troppo anche per lei.

Un grande sbuffo d’acqua, altissimo, un’eruzione pliniana di acqua, accompagnata da una ricaduta di vapore…

– È una balenottera. Non ne avevo mai vista una in questi mari. È incredibile! Che… che bello!

Le balenottere, perché sono due, in realtà, venendo in superficie sollevano grandi spruzzi in aria e immergendosi lasciano vedere la loro lunga coda, che spunta come la vela di una nave. Dolci ed eleganti nel loro delicato nuotare.

Di nuovo si spengono i motori, e si osserva. Le balene vengono su a bocca aperta, raccogliendo e filtrando tutto quello che può passare dalle loro enormi bocche. 

È un momento quasi mistico, un’apparizione. Il rumore ritmato degli sfiati che saturano l’aria di vapore, il suono delle code che si infrangono sulle onde… La consapevolezza che gli animali che stanno osservando sono dei veri e propri giganti, incredibilmente più grandi ed eleganti di qualunque cosa abbiano visto prima, rende questo momento quasi estatico.

Elena racconta, prendendo spesso fiato:

– Al largo di Palmarola c’è la fossa più profonda del Tirreno. Una grande valle sottomarina che arriva a toccare i 5000 m di profondità. È la porzione di mare con la più grande massa di acqua e di ossigeno di questa zona. Dovrebbe essere normale vedere animali così grandi qui, eppure non ne avevo mai visti. Troppe navi, troppo movimento, troppo poco pesce… con Clorofilìa, con le politiche di rispetto del mare che abbiamo messo in piedi, abbiamo permesso a questi splendidi esseri di tornare in questi mari. Viva la Vita… 

Osservano in religioso silenzio questi enormi animali immergersi e riemergere mostrando ora le pinne, ora il dorso, ora la pancia. Una danza di un’eleganza difficile da immaginare per degli animali terrestri come noi.

Quando le balenottere sono ormai lontane, le barche si rimettono in marcia alla volta di Palmarola.

Sulla seconda lancia, Gino, “il dissacratore”, si gira verso Flavio e rompe il silenzio, commentando:

– Uè, Flavio, occhio che mo’ attacca Francesca! Ogni volta che jamm a Palmarola tira o’ pippone de l’ossidiana. Navigavano ’ncopp, navigavano arrèt, l’ossidiana di Palmarola... E che du’ palle, come dite a Roma!

– Ah ah, Gino, sei ’na bestia! Però è vero, hai ragione. Anzi, sai che ti dico, secondo me tra un po’ parte pure il pippone della geologa! Ogni volta che attraversiamo questo tratto, Chiara si gira verso Ponza e dice: “Si vede proprio che è vulcanica… Guarda che cono, che cratere… Sono proprio isole nate dal fuoco...”.

– E ’nfatti. Che du’ palle… Per quanto la rispetti, Flavio, ogni tanto scassa pure lei!

– Eh eh! Comunque, pensa, senza di loro, la Soprintendenza non ci avrebbe mai fatto lavorare qui. E poi, diciamoci la verità, per scalfire il tuo duro e puro cuore da ingegnere ce ne vuole... Non t’emozioni co’ niente!

– E come no? Certo che m’emoziono… Le femmine, Flavio... Quelle mi emozionano sempre! Si può dire che sia l’unico motivo per cui abbia accettato questo lavoro sull’isola: femmine a volontà, tra maggio e settembre, turiste in abiti succinti e “aperte agli scambi culturali”...

– Ah ah ah! E gli altri mesi?

– L’attesa, Flavio. L’attesa! Comm’è doce l’attesa… Il fatto di sapere cosa mi allieterà da maggio a settembre... L’attesa è la cosa migliore! Sogno ad occhi aperti…

Flavio Vignaroli è l’agronomo del gruppo, ed è l’unico, da buon romanaccio, che riesce a tenere testa a Gino e alle sue battute. Mentre il dialogo truce va avanti, come da copione, Chiara e Francesca si scatenano.

Chiara è la geologa di Clorofilìa, madre del piccolo Mattia. È arrivata sull’isola da sola ed incinta. Sempre ben vestita, linguaggio forbito, portamento altero, “fighetta” direbbe Gino (ed in effetti lo dice…), sembra uscita da un film dei primi del Novecento, ma quando parla di “pietre”, e quando si tratta di scavare, picconare e sporcarsi le mani, si trasfigura… s’accende… diventa una ruspa!

– Il punto di vista che si ha da Palmarola è sempre unico. Da qui si apprezza veramente bene la geologia delle isole, sia di Ponza che di Palmarola stessa. Sono bellissime sculture di fuoco, guardarle da qui mi emoziona sempre…

– Non dimenticarti dell’ossidiana, l’oro nero della Preistoria…

– A Flavio, che t’ho detto… ? So’ partite, ’e ddoje... 

– Gino, sei ’na bestia davvero… Lasciale fare... E poi, stanno con i bambini, oggi hanno il pubblico! 

– Certo, Francesca… In effetti, proprio partendo dalla storia dell’ossidiana si potrebbe riassumere tutta la geologia di queste isole… La loro storia comincia 2,5 milioni di anni fa, quando, dal fondo del Tirreno, in questo punto, spuntò una catena di vulcani. Da quei vulcani nacquero Ponza, Palmarola e Zannone. Ventotene e Santo Stefano, invece, sono più recenti e risalgono ad eruzioni di circa un milione di anni fa. La caratteristica di questi vulcani è data dal fatto che si sono formati tramite eruzioni sottomarine di magma acido, silice pura. A contatto con l’acqua, il magma si raffredda bruscamente e genera una roccia chiamata ialoclastite. Bianca e cristallina, un vetro vulcanico. È bellissima! È la bianchezza della ialoclastite che rende Ponza così bella, il suo mare così trasparente. In alcuni punti, i clasti conservano la loro grandezza originale, non si sono frammentati e sono visibili in noduli neri: la famosa e preziosa ossidiana!

 

Me lo chiedevo sempre, prima di arrivare qui, sull’isola: com’è osservare la natura con gli occhi di un tecnico? Noi vediamo spiagge bianche, acqua pulita e limpida in cui nuotare, e loro, loro vedono la… ialocosa. Mah! Già la sola parola mi fa passare la voglia di tuffarmi.

E invece, col tempo, ho capito che c’è una certa poesia anche in questo. Sapere come sono nate le cose, da dove “arrivano”, quanto tempo hanno, qual è la loro storia, te le fa apprezzare ancora di più. Se ti tuffi nel mare di Ponza non puoi fare a meno di goderti la sua pulizia e lo spettacolo che ti offre ma, se sai qual è la sua storia… allora ne apprezzi il valore, lo ami ancora di più, perché capisci che stai nuotando in qualcosa di unico. E puoi anche chiamare per nome ciò che lo rende unico: Ialo… ialo… Ialo… tu: non ti temo… Prima o poi devo imparare a nominarla, ’sta roccia! 

— Oltre alla ialoclastite ed all’ossidiana, qui si può trovare anche la perlite. Il magma, fuoriuscendo e raffreddandosi, si “contrae”, si rimpicciolisce ma, se nelle sue fratture entra l’acqua, il magma la ingloba e tende ad espandersi di nuovo formando delle bolle, delle sferette, la perlite appunto, che si chiama così perché ricorda le perle. 

– Ho capito, zia. Ecco, allora, cosa sono quelle montagnette di Palmarola! Se l’isola una volta era un vulcano, quelle sono i suoi coni, vero?

– Sì e no. Insomma, i magmi acidi di questi vulcani sono molto viscosi, molto densi; non scorrono molto bene, si accumulano e formano delle cupole. Le isole sono quello che resta di una serie di cupole vulcaniche sottomarine che i geologi chiamano domi. Se poi il domo trattiene la lava al suo interno, si formano i cosiddetti dicchi, pezzi di lava che fuoriescono, allargandosi a forma di cono verso l’alto o di lato. Si vedono bene sulle falesie, le pareti a picco sul mare. Si distinguono chiaramente perché sono rossi o marroni e spiccano bene sul bianco della ialoclastite, come ’o core della storia dei giganti. Quando un dicco, durante l’eruzione, si fa strada nella ialoclastite e poi fuoriesce si raffredda molto velocemente. È proprio qui che si forma la famosa ossidiana. Tutto chiaro? 

– Sì, dicchi… 

– Ok, osservando la disposizione dei dicchi su una carta geografica si nota che formano dei cerchi, l’interno dei cerchi indica il centro dei domi, le cupole che formano le isole. Ce ne sono tre a Ponza ed uno a Palmarola. Piano d’Incenzo, dove eravamo il primo giorno, è molto particolare, perché è un criptodomo. Ovvero, è un domo che non è fuoriuscito. Ha spinto i depositi di lava dall’interno, questi si sono sollevati ed hanno formato una collina.

– Come un brufolo, zia? 

– Sì. Insomma, non è una bella immagine ma rende bene l’idea. Anche Zannone è formata da un criptodomo: al centro dell’isola c’è un enorme e bellissimo dicco. 

– Chiara, bambini, guardate! Ecco il dicco più grande e spettacolare delle due isole. È pieno di bellissima e nerissima ossidiana! 

La barca è ormai arrivata nei pressi della spiaggia di Palmarola. Ogni volta che arrivano lì, Francesca si fa prendere dall’entusiasmo.

– Questo grande dicco era conosciuto già dalla Preistoria. Pensate che nel Neolitico, circa 5000 anni fa, le persone attraversavano il mare, dal Circeo a qui, in canoa, per venire a prendere l’ossidiana. La caricavano sulle barche, venivano a Ponza, la “sbozzavano”, la pulivano e la lavoravano, per poi riattraversare il mare e tornare al Circeo, dove c’erano dei piccoli villaggi che realizzavano frecce, lame ed altri strumenti, da vendere in tutta Italia. Tutto il “percorso” veniva chiamato la “via dell’ossidiana”. Partiva da qui ed arrivava fino in Veneto e poi in Slovenia. Che meraviglia! Ogni volta che ci penso mi vengono i brividi. 

– A me, invece, fa impressione pensare che solo venti anni fa qui c’era una spiaggia enorme, il mare era più basso di quasi un metro. Ora si attracca vicino alla falesia ma prima si camminava sulla spiaggia di ciottoli!

– Le “case-grotta” che vedete qui sulla falesia sono state scavate dai primi abitanti dell’isola, tra il 1700 ed il 1800. Vivevano qui per qualche mese all’anno, coltivando legumi e vigne: “agricoltura eroica” la chiamano!

– Fico! Possiamo farci il bagno, ora? 

– Ok, sì, la lezione è finita: bagno! E non dimenticate la maschera, ché andiamo a vedere l’ossidiana… È bellissima! 

Immergersi al largo di Palmarola è sempre, anche oggi, nel 2040, un’esperienza unica, che va vissuta almeno una volta nella vita. Il fondale bianco, le rocce brillanti e le acque cristalline ti lasciano addosso la sensazione del volo. Quando ti immergi in questo mare vedi sempre il fondo. Quando galleggi sembri sospeso a mezz’aria. E ti senti leggero.

Da ragazzo sognavo spesso di volare, di poter planare tra i tetti delle case o sui parchi di Roma. Niente, nella vita, mi ha fatto provare questa sensazione come immergermi al largo di quest’isola. Ed oggi so che è tutto merito della ialoclastite e di tutte le sue bellissime sfumature. Ehi, finalmente ho imparato a dirlo!

Fare snorkeling nel 2040 è fico come essere nello spazio. Si indossa una maschera ipertecnologica con una videocamera sulla fronte, una serie di sensori che segnano profondità e distanza dalla costa, ed un quadrante incorporato che ti permette di leggere queste informazioni sulla maschera stessa. Ti senti un po’ astronauta, un po' androide.
Ma, per fortuna, nessuna tecnologia potrà mai sostituire la sensazione che si prova entrando in acqua. Quel brivido che ti sale lungo la schiena, quella sensazione di liberazione che ti mette in contatto con quello che ti sta intorno.

I bambini nuotano come pesci, d’altra parte sono cresciuti su un’isola, il mare è la loro dimensione. Elena li guida, come sempre quando si immergono, a cercare pesci, spugne ed altri animali strani. Aurelio e Michele, invece, lasciano la maschera e tutto il resto in barca.

– Oggi ho voglia di nuotare così, come si faceva un tempo, senza troppa tecnologia addosso. Ho voglia di sentirmi in puro contatto con il mare, festeggiare così l’evento incredibile che abbiamo vissuto. Le balene, Aurè… Ma chi ci aveva mai sperato?

– Michè, mi preoccupi. Non starai sviluppando una sorta di spiritismo naturista? A parte gli scherzi, sì, sono d’accordo con te. Il bagno di oggi ha un sapore diverso...

Dopo un pranzo frugale a bordo delle barchette, il gruppo rientra a Ponza ed attracca vicino alle piscine naturali, è ormai pomeriggio inoltrato.

– Fùfilo ci ha aspettati qui, buono buono. Posso riprendermi il pupazzo?

– Sì, Licia, certo. Grazie, piccola. Fùfilo è stato molto contento di avere il tuo pupazzo.

Gino, cinico e truce, in realtà, ha un cuore di panna!
Si preparano per la seconda notte a Cala Feola. La giornata è stata intensa, ricca di emozioni.
Sulla bellissima falesia bianca di ialoclastite, in una casa-grotta a picco sul mare, da sempre c’è un piccolo ristorante. Stasera il gruppo mangerà qui. Menù: frittura di paranza. Per l’occasione, Giovanni, il cuoco, abbonda con le alici. Per ricordare quanto sono importanti per la salute del mare. Anche a lui Elena ha fatto ’na capa tanta con la storia del fitoplancton!

– Grazie a tutti per la bella giornata. Mi tremano ancora le gambe per l’emozione. Mai come oggi, quando ho visto le balene, mi sono sentita parte del mare, una sua creatura. Propongo un brindisi al mare ed alla vita!

Elena, le sue emozioni, e il mare, che un tempo era il nostro peggior nemico…


Marco Mastroleo, Latina 31/01/2021

con la revisione editoriale di Gioconda Bartolotta

Se questo capitolo vi è piaciuto, vi aspetto la prossima Domenica per il Capitolo 8 (il programma completo delle uscite è su www.clorofilia.org).

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Ringraziamenti:

Grazie a Giulia Santoro per il supporto ed i consigli.

Per saperne di più sulla Geologia di Ponza:

palmarola, stenelle, delfini, eruzione, dicco, lava, balena, barca elettrica, piscine naturali, ponza, cetacei, balenottera

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da un'idea di Marco Mastroleo

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